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Bruno Ruffilli per “La Stampa”
Non si sa bene chi sia stato il primo a lanciarla, ma si sa dove la moda è partita. Dalla California, terra di hipster per eccellenza. Dopo i pantaloni skinny, gli occhiali da nerd, i tatuaggi, le camicie a quadri e i sandali, il «flowerbeard» è l’ultima frontiera dell’hipsterismo.
Alla barba eravamo già abituati, ma questa volta si tratta di decorarla. Con penne, matite, mattoncini Lego, come ha fatto il pioniere Pierre Thiot, art director con base a Los Angeles. Che poi ha virato decisamente sui fiori, con una serie di foto fatte dalla moglie e apparse sul suo «Tumblr Will it Beard». Alcune sono divertenti, altre semplicemente ridicole, ma intanto la moda è esplosa e su Pinterest e Twitter è tutto un fiorire di barbe. Decorate con semplici fiori di campo, perfide rose, tralci di edera, rami di agrifoglio.
L’effetto è straniante (almeno in foto, perché dal vivo gli avvistamenti sono rarissimi anche nella terra d’origine del fenomeno): una virilità allo stesso tempo affermata e messa in discussione con ironia. Già, perché a un europeo molte di queste facce ricorderanno certe fotografie sbiadite della Kakania di Musil, o magari qualche lontano parente di un Savoia minore. E invece margheritoni e orchidee ridimensionano tutto: in quantità e qualità che nessuno sospetterebbe possibili, si infilano tra i peli e donano un nuovo tocco di gentilezza, che è assolutamente contemporaneo. Perché i fiori oggi non si mettono nei cannoni, ma nei barboni.
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