DAGOREPORT – NEL NOME DEL FIGLIUOLO: MELONI IMPONE IL GENERALE ALLA VICEDIREZIONE DELL’AISE.…
John Buntin per “Wall Street Journal”
A metà anni ‘30, Hollywood era la quarta industria americana. Le sue figure preminenti – il capo della ‘MGM’ Louis B. Mayer, Jack e Harry Warner della ‘Warner Bros’., Joseph Schenck della ‘20th Century-Fox’ – erano tutte ebree. Così come ebrei erano i produttori e gli attori più influenti.
Eppure Hollywood accolse in silenzio l’ascesa di Adolf Hitler. Bramosi di mantenere l’accesso al mercato tedesco e timorosi di soffiare sul fuoco dell’antisemitismo in casa, gli studi cinematografici permisero agli ufficiali nazisti di controllare le sceneggiature e di suggerire revisioni. Solo nel 1939 la Warner Bros rifiutò la censura tedesca e fece un film apertamente anti-nazista, intitolato ‘Confessioni di una spia nazista’. Si poteva fare prima?
Secondo lo storico Steven J. Ross, autore del libro “Hitler in Los Angeles: How Jews Foiled Nazi Plots Against Hollywood and America”, Hollywood combatté i nazisti in segreto. Racconta di una organizzazione di spie sotto copertura, fondata dagli studi, che si infiltrò nei gruppi nazisti che operavano a Los Angeles negli anni ’30. A capo dello spionaggio c’era l’avvocato Leon Lewis che reclutò coraggiosi veterani di guerra per combattere i cattivi.
Tra loro c’erano Herman Schwinn di ‘Friends of New Germany’, il fascista Leopold McLaglen e Leslie Fry, il nazista che ideò il piano per uccidere gli ebrei più importanti (e attori come Charlie Chaplin) immettendo gas cianuro nelle loro case. Mr. Ross ha naso per la narrazione e per il dettaglio, ma il numero di trame, cospiratori e informatori, è così alto da rischiare di sopraffare il lettore.
Man mano che la storia avanza, il significato di certi schemi si confonde. Schwinn e compari sognavano il “der Tag,” il giorno in cui i nazisti avrebbero sconfitto i comunisti e preso il controllo del governo americano. Fu solo un sogno delirante o qualcosa di più?
Per fortuna la risposta che manca nel libro di Ross, la dà Laura Rosenzweig nel libro “Hollywood’s Spies: The Undercover Surveillance of Nazis in Los Angeles”. All’epoca, a Los Angeles, tutti spiavano tutti: gli agenti della “Red Squad” spiavano i comunisti, i cittadini spiavano gli agenti corrotti, il Ku Klux Klan spiava sia fascisti che comunisti. Lewis si occupava di assistere legalmente i veterani della guerra, così incontrò figure come John Schmidt, il suo primo agente sotto copertura. La grande missione di Lewis, e la sua grande conquista, fu definire il fascismo nazionale ‘antiamericano’ in un periodo di antisemitismo rampante.
hitler reagisce a una sua fan americana agosto 1936
Lewis iniziò ad investigare su Hilter già nel 1933. Provò a raccogliere fondi per le sue operazioni segrete nell’establishment ebreo ma non ci riuscì, allora si rivolse all’avvocato Mendel Silberberg, che rappresentava la ‘MGM’ e altri studi. Insieme individuarono Hollywood come fonte di finanziamento (circa 400.000 dollari di oggi). Per i successivi 7 anni, i dirigenti di Hollywood avrebbero sostenuto le operazioni di spionaggio di Lewis, che si arrestarono con l’attacco di Pearl Harbor e la dichiarazione di guerra della Germania agli Stati Uniti.
hitler dichiara guerra agli stati uniti damerica 11 dicembre 1941
A quel punto FBI, servizi segreti della marina e dipartimento di polizia di Los Angeles, chiesero a Lewis i file per arrestare Schwinn e soci, finiti in galera per il resto della guerra.
Leon Lewis morì di infarto nel 1954 a 65 anni. Fu così discreto che le sue attività di capo dello spionaggio furono dimenticate. Il che probabilmente non lo infastidì troppo. Come dice la Rosenzweig, lui ebbe la sua soddisfazione quando, 4 mesi dopo l’ingresso dei russi a Berlino che pose fine alla guerra, il suo ex collega Pvt. Art Arthur scoprì l’ufficio in rovina di Hermann Goering e da lì, dalla cancelleria nazista, gli inviò un documento.
Si trattava del certificato della Croce di Ferro, la più alta decorazione militare tedesca, con uno spazio vuoto da riempire con il nome di chi l’aveva meritata. Arthur ci scrisse su il nome di Leon Lewis, con la didascalia finale ‘nuova gestione’. Il giusto tributo ad un uomo straordinario.
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