“IL DESIDERIO NON HA SCADENZA” – MONICA GUERRITORE RIVENDICA IL RUOLO PICCANTE NELLA MINISERIE “INGANNO”, IN CUI HA INTERPRETATO UNA DONNA MATURA ANCORA INGRIFATA, CHE SI LASCIA ANDARE AL SESSO SELVAGGIO CON UN GIOVANE AITANTE: “LE DONNE, ANCHE A SESSANT’ANNI, HANNO VOGLIA DI PASSARE DALL’EMOZIONE AL CORPO” – IL “NO” AI “RITOCCHINI”: “NON VOLEVO CONFORMARMI A UNA CERTA ESTETICA RASSICURANTE” – LA FINE DEL MATRIMONIO CON IL REGISTA TEATRALE GABRIELE LAVIA: “È STATO MOLTO DOLOROSO QUANDO IL DOPPIO LEGAME SI È ROTTO. SI PERDE FIDUCIA E...” – VIDEO

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Estratto dell’articolo di Giovanni Bogani per “Il Giorno”

 

monica guerritore

«Accadde tutto per caso, come in una favola. Avevo sedici anni, quando accompagnai un’amica al Piccolo Teatro di Milano. Provava un ruolo per ‘Il giardino dei ciliegi’ nell’allestimento di Giorgio Strehler. Strehler stava cercando la sua Anja, la protagonista. E quel giorno, fra tutte, scelse me. Era il 5 gennaio 1974, il giorno del mio compleanno. Da lì mollai il collegio, mollai tutto. E cominciai a sentirmi al posto giusto».

 

E in quel luogo, il teatro, in quel posto «giusto», Monica Guerritore ha abitato per tutta la sua vita. Frequentando anche il cinema e la televisione, ma sapendo che si parte da lì, dalle tavole del palcoscenico, e lì sempre si ritorna. «Tu farai l’attrice: e lo farai bene», le disse Giorgio Strehler. E aveva ragione.

 

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monica guerritore inganno

Prestissimo irruppe nella sua vita il teatro. Che cosa ha imparato, da Giorgio Strehler?

«Ho capito, grazie a lui, che teatro non significa ‘mettersi in scena’, ma essere un tramite. Devi portare qualcosa allo spettatore, non ti devi guardare allo specchio. E ogni gesto conta, ogni silenzio pesa».

 

Poi c’è stato Gabriele Lavia, presenza importantissima nel suo percorso artistico e nella sua vita.

«Gabriele è stato tanto: non solo regista, ma compagno, padre. La nostra relazione è stata intensa, sul piano artistico e sul piano umano. Con Gabriele, il mio primo marito, ho due figlie, Maria e Lucia. E ho condiviso tante serate, tanti sipari che si alzano e che si chiudono. Gabriele è stato maestro, compagno, punto di riferimento costante.

 

monica guerritore

Naturalmente è stato molto doloroso quando il doppio legame si è rotto. Si perde autonomia, fiducia, si perde confidenza nella propria visione artistica».

 

Ha sempre esplorato, a teatro e al cinema, personaggi che sono profonde esplorazioni dell’universo femminile. Senza celare, o edulcorare, la rappresentazione del desiderio.

«Credo che il desiderio non debba avere scadenza. Le donne, anche a sessant’anni, hanno voglia di amare, di sentirsi desiderate, di passare dall’emozione al corpo.

 

In ‘Inganno’, una miniserie diretta da Pappi Corsicato e uscita su Netflix, interpreto una donna matura che prova una attrazione fortissima per un ragazzo più giovane, e riscopre grazie a lui il suo lato femminile. In generale, non ho mai avuto paura, timore o ipocrisie nel mostrare anche questo aspetto dell’animo femminile».

 

Ha scelto di non «aggiustare» niente con filtri, trucco, «aiuti».

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«Volevo che il pubblico potesse vedere una donna di sessant’anni che ama, che desidera, che sbaglia, che è fragile. E non volevo conformarmi a una certa estetica rassicurante: volevo che il personaggio fosse vero, e io con lei. È stata una scelta coraggiosa, ma per me è stata una liberazione: accettare anche le rughe come parte del racconto».

 

Un ruolo che rappresenta una sorta di riscatto.

«Sì: spesso le donne dopo i sessant’anni vengono considerate finite. Ho sentito che questo ruolo mi dava la libertà di mostrare che non tutto è stabilito, che la vita può cambiare anche tardi».

 

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Recentemente ha parlato dell’affetto per sua madre. Quale ricordo porta con sé di lei?

«Ricordo i suoi sguardi, la sua forza anche quando ha iniziato a stare male. Anche nei momenti in cui l’Alzheimer la stava cambiando, lei c’era, anche se non sapeva chi ero. Mi cercava lo stesso con gli occhi. Il suo amore era fatto di silenzio».

 

Adesso ha portato a compimento, come regista e protagonista, il progetto a cui teneva di più. Un film su Anna Magnani. Chi è Anna Magnani per lei?

«Anna Magnani è da molti anni una presenza che mi accompagna: la amo, la penso, la frequento immaginandola. E ho scelto di raccontarla partendo da un momento preciso: quello della gioia e insieme della frattura profonda di tutta la sua vita».

 

Qual è questo momento?

«È quella notte del 1956, quando Anna attendeva la telefonata degli Oscar. La telefonata con cui le avrebbero potuto comunicare se avesse vinto l’Oscar, per il film ‘La rosa tatuata’. Lei a Hollywood aveva scelto di non andarci. Rimase sola, nella sua casa di Roma. E all’alba, quella telefonata arrivò davvero. Aveva vinto l’Oscar, prima attrice italiana, prima donna non inglese o americana a vincere l’Oscar come miglior attrice protagonista».

 

GABRIELE LAVIA MONICA GUERRITORE

Che cosa fece Anna, quella notte?

«Invece di aspettare accanto al telefono, scese in strada. Camminò nelle strade di Roma, fra i gatti e Campo de’ Fiori deserta, fino all’alba a piazza del Popolo. Poi sentì le prime persone, le prime grida: aveva vinto l’Oscar!».

 

Un trionfo storico.

«Ma fu anche, paradossalmente, l’inizio del suo declino. Da quel momento fece meno film, venne quasi messa ai margini dal ‘sistema’ del cinema italiano. In qualche modo era diventata ingombrante, il suo talento era diventato un peso. Anche Pasolini la chiamò, la usò in ‘Mamma Roma’, ma non riuscì ad amarla».

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