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Marco Pasqua per www.ilmessaggero.it
Nel suo live c'è tutto, passato e presente della musica, del cinema e, quindi, dei nostri costumi. E il suo show, “Vita da libidine”, non è solo un'operazione revival: è la rivisitazione delle canzoni che hanno reso unica un'epoca, in chiave contemporanea. Jerry sale sul palco del Piper, a distanza di pochi mesi dalla sua ultima performance: ancora una volta il locale di via Tagliamento è sold out. Pubblico di over 30, ma non mancano i ventenni curiosi, investiti dall'energia di un Calà mattatore infaticabile, che nella "tana" di Marco Bornigia, il padrone di casa, sembra essere a suo agio.
Era il 1983 quando Billo, per la prima volta, entrava nelle case degli italiani. E ancora oggi, Jerry si sente così. Anche se i tempi sono cambiati, il modo di vivere la discoteca pure, e il pubblico anche. Resta, però, la voglia di divertirsi, ascoltando i più grandi successi della musica italiana, da quelli di Patty Pravo a Vasco Rossi, stelle che Jerry omaggia riproponendo alcune loro hit. Ecco Maracaibo, I like Chopin, La pelle nera: gli smartphone si scatenano, parte la gara di selfie con un Billo che macina serate su serate. «Una media di 8 al mese», dice, in giro per l’Italia, e sempre da sold out. «Alla Capannina di Forte dei Marmi avevo davanti a me solo ragazzi di 20 anni», ricorda. «La gente mi segue perché magari sono il nuovo ragazzo del Piper – scherza prima di salire sul palco – o semplicemente perché chi viene al mio spettacolo si diverte e, quindi, il passaparola funziona». «Mi diverto ancora molto – racconta – altrimenti non lo farei». «I miei film sono diventati i manifesti di un'epoca – sottolinea - e molti ragazzi li scoprono sui nuovi canali digitali: quando li vedono, ci si affezionano, perché capiscono che quell'epoca è stata speciale».
DIARIO DEL MERCOLEDI’
Post di Jerry Calà
Con Marina avevo lavorato già prima, nel 1982, in uno dei miei più grandi successi commerciali, Sapore di mare.
Ve la ricordate mentre finge di essere sofisticata e dice di chiamarsi Barbara, mentre la mamma popolana la chiama perché «ci sta la frittata calda calda»? Mentre stavo doppiando Vado a vivere da solo passai negli uffici della produzione. Su un tavolo vidi un copione che portava scritto in copertina Sapore di mare. Sarà che ho il sesto senso per i titoli, però la cosa mi intrigò e chiesi di cosa si trattava. «Cos’è questa cosa qua?»
«Ah... Niente, Ge’… Non è robba per te, questa. È un film sugli anni Sessanta. Tu mo’ costi troppo e già dobbiamo spendere ’na cifra per i diritti d’autore delle canzoni che usiamo. Questo è un film low budget. Stiamo prendendo attori che costano meno.»
Tra questi attori c’era anche Christian De Sica, che allora costava davvero meno di me, avendo fatto solo partecipazioni a film senza mai essere stato protagonista.
Poi c’era Marina. Per il momento Sapore di mare era solo un copione che io chiesi con insistenza di leggere, al punto che il produttore cedette e me lo diede.
«Il film mi piace. Se unite i due personaggi del Nord in uno solo, lo faccio. Giuro che mi accontento di quanto può darmi il budget. Però oltre a questo minimo garantito voglio una cosa: una bella percentuale dopo i primi otto miliardi di incasso» dissi; grassa risata della produzione, che evidentemente non credeva troppo nel film. Si fregarono le mani, prepararono il contratto e si partì con le riprese.
Successe un casino come per il primo film dei Gatti. A Roma a un certo punto intervenne la polizia, perché la gente voleva entrare a tutti i costi nel cinema già pieno. Io me ne stavo buonino da parte e intanto seguivo gli incassi: tre miliardi, quattro, cinque, sei, sette… Otto!
A otto miliardi e una lira mi presentai nell’ufficio della produzione con il contratto in mano.
«A’ Ge’, che desideri?» Facevano gli svagati. Poi scoppiarono a ridere.
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Sapore di mare aveva una colonna sonora eccezionale, con tutti i pezzi che avevano segnato le vacanze degli italiani un ventennio prima. L’album non solo vendette ottocentomila copie, ma innescò un revival degli anni Sessanta che riportò alla ribalta cantanti fermi da tempo. Sapore di mare per me fu un film molto importante perché mi fece capire una cosa: potevo fare dell’altro.
Ricordate tutti il finale che dopo tante risate faceva provare un brivido di commozione al pubblico? C’è un salto di vent’anni rispetto al resto della storia, siamo ai giorni
nostri (cioè a quelli di quando fu girato il film, ovvero i primi anni Ottanta). Con sotto Celeste nostalgia, la canzone di Cocciante, io, truccato e invecchiato, non riconosco Marina Suma che mi viene a salutare. Dopo le mando un biglietto di scuse che lei legge mentre io faccio uno sguardo in una scena che Carlo Vanzina ha girato con un espediente imparato da Sergio Leone: carrello avanti
e zoom indietro. Abbasso lo sguardo che poi si alza per perdersi nel nulla, mentre Marina Suma mi guarda da lontano. In quel momento, vent’anni dopo, entrambi pensiamo a tutto ciò che è stato e a quello che non è stato e che sarebbe potuto essere se…
Alla prima del film ebbi una conferma. Seduto accanto a me c’era Carlo Verdone. Durante il finale,
davanti a quello sguardo, Carlo mi strinse il ginocchio e mi sussurrò una cosa che suonava come un insulto ma che era il più grande complimento: «Che fijo de ’na mignotta…».
3. LA VITA DA LIBIDINE DI JERRY CALA’
Francesco Persili per Dagospia – 26 aprile 2016
Qualcosa, non tutto, può durare. L’amicizia che oggi lo lega agli altri Gatti di un vicolo veronese poco lontano dall’Arena, la voglia di nuovo e il continuo ritorno al futuro che scatta ogni volta con le battute di “Sapore di Mare” e “Vacanze di Natale” o sulle note di “Maracaibo”. Fuggire sì ma dove? Negli anni ’80, naturalmente. Forse perché per Jerry Calà quel decennio - un po’ come l’estate - è prima di tutto uno stato d’animo. Nessuna nostalgia canaglia, solo allegria nelle sue parole a Dagospia.
«Gli yuppies erano dei cazzoni e hanno fatto qualche danno al nostro Paese ma il loro entusiasmo servirebbe per rimettere in carreggiata l’Italia. Naturalmente mi riferisco all’atteggiamento perché gli yuppies avevano fame e sogni e non aspettavano, come tanti ragazzi di oggi, che qualcuno li scodellasse il futuro sul tavolo ma se lo andavano a prendere con le unghie e con i denti. Poi anche loro hanno fatto un sacco di cazzate».
La parola chiave è cambiamento. «Mio padre ascoltava Claudio Villa, io i Beatles e poi sempre cose nuove. Ancora oggi sono così: faccio quel che mi pare, non piango sul vinile, sono curioso del mondo che cambia», scrive l’attore nel suo primo libro “Una vita da libidine” (Sperling&Kupfer).
Un armadio di sorrisi, canzoni e leggerezza che tiene dentro 65 anni di vita, 40 di film e 20 di serate alla Capannina, e una varietà di generi: il beat di Verona, «la Liverpool italiana», il progressive anni ‘70 dei Gatti di Vicolo Miracoli, il pop anni ’80, il revival, fino al rap di Jerry Calàshnikov con J-Ax che di recente ha conquistato il web. «Tu ti facevi le seghe, io la Venier». Il manifesto della libidine coi fiocchi.
Già, perché negli anni ’80 Calogero Calà in arte Jerry (omaggio a Jerry Lewis) è diventato uno dei volti cinematografici più amati da una generazione cresciuta a pane e commedia. Ha baciato Stefania Sandrelli, ha preso 10 schiaffi da Virna Lisi, ha descritto “quel certo piacersi” con Marina Suma con uno sguardo sul finale di “Sapore di Mare” che alla prima del film fece dire a Carlo Verdone una cosa che suonava come un insulto ma che era il più grande complimento ( «Che fijo de ’na mignotta…») ma nel cuore di Jerry Calà un posto speciale lo occupa Karina Huff: «La sua morte è profondamente ingiusta. Era una ragazza solare, piena di vita. Con la sua allegria è stata l’icona femminile degli anni ’80 insieme a Sabrina Salerno che aveva una dimensione internazionale e spopolava con i suoi successi dance in tutta Europa».
Dal Derby di Milano alle serate al "Ciucheba" di Castiglioncello con lo storico patron del locale Mauro Donati, il primo a far esibire Renato Zero, e Beppe Grillo (che dopo l’incidente d’auto gli mandò il biglietto più spiritoso: “Jerry, resisti o ci toccherà vedere tutta la tua retrospettiva”), l’attore “che non ha paura del nuovo” nel libro squaderna aneddoti su film, colleghi (vince per distacco Angelo Infanti con la frittatona di cipolle su un aereo per la Norvegia), su una serata americana con Woody Allen e sul passaggio al cinema d’autore con Marco Ferreri.
La partecipazione a “Diario di un vizio” gli valse una ovazione in un ristorante di Berlino da parte di quei critici spocchiosi che non gli hanno mai perdonato nulla e che Ferreri demolì con una frase: «Se io in mezzo a una scena ce faccio passà un nano, quei cojoni ci scrivono sopra quattro libri. E invece ce faccio passà un nano perché non avevo altro da mettece».
Dalle stroncature alle scuse, una bella rivincita: «Nella mia vita non sono mai andato a caccia di rivincite – spiega Jerry Calà – mi sono sempre sentito un vincitore». Anche quando una certa critica cinematografica con la puzza sotto il naso snobbava le sue commedie. «E’ sempre stato così – prosegue Calà – basti vedere come è stato trattato Zalone…»
SABRINA SALERNO JERRY CALA'JERRY CALAJERRY CALA E LINO BANFIJERRY CALAlibro presentatojerry cala col suo libroJERRY CALAgerry cala al suo arrivo alla feltrinelli (3)jerry cala claudio bonivento sarina biraghi e franco oppiniEZIO GREGGIO - JERRY CALA - MASSIMO BOLDI - CHRISTIAN DE SICAcarlo verdone e enrico vanzina
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