
FLASH! – GRAN ATTOVAGLIAMENTO IERI SERA AL RISTORANTE PARIOLINO “AI PIANI”: ELENA BECCALLI,…
tratto dall'autobiografia di Neil Young - da Repubblica
Vi siete mai domandati cosa serve per fare una canzone? Vorrei tanto potervi dare gli ingredienti esatti, ma non mi viene in mente nulla di specifico. A me pare che le canzoni siano il prodotto dell'esperienza, un allineamento cosmico delle circostanze. Ovvero, chi sei e come stai in quel dato momento.
LE CANZONI SONO COME LE LEPRI
Io ho scritto tante canzoni. Alcune fanno schifo. Altre sono splendide e certe vanno bene. Ma queste sono le opinioni di altre persone. Per me sono delle figlie. Sono nate, sono cresciute e sono state mandate nel mondo per cavarsela da sole. Il mondo non è un posto facile per una canzone. Potresti ritrovarti su un nastro nella spazzatura, o su un cd buttato via da qualcuno o ancora ritrovarti nel cesto delle occasioni.
Magari diventi una canzone dimenticata che langue su un vinile nella discarica o, se ti va bene, nello scaffale di un negozio di musica indipendente. In uno dei casi peggiori, potresti essere relegata a essere nient'altro che un mp3 con meno del cinque per cento del suono originale.
Da quando ho smesso di fumare erba, nel gennaio 2011, non ho scritto canzoni, dunque al momento siamo nel pieno di un grande esperimento chimico. Quando scrivo una canzone, inizio da un'emozione. In testa o nel cuore sento qualcosa. Magari mi è capitato di prendere in mano la chitarra e di aver cominciato a suonarla senza pensarci. Quando fai così, non pensi. Per scrivere una canzone, pensare è la cosa peggiore. Dunque tu inizi a suonare e poi esce qualcosa di nuovo.
Da dove viene? Che importa? Tienilo e vai avanti. Io faccio così. Non giudico mai. à arrivato come un dono quando ho scelto il mio strumento, mi è passato attraverso mentre lo suonavo. Semplicemente, gli accordi e la melodia sono apparsi. Non è questo il momento per interrogarsi e analizzare. Adesso è ora di conoscere la canzone, non di cambiarla prima di averla conosciuta. à come un animale selvatico, una creatura vivente. State attenti a non spaventarla. Scappa.
Questo è il mio metodo - o comunque uno dei miei metodi.
Le canzoni sono come le lepri, a loro piace uscire dalla tana mentre non guardi, se stai lì ad aspettarle scavano un cunicolo e poi escono in qualche altro posto, lontano, dove non puoi vederle. Io adesso mi sento come uno che sta sopra la tana di una canzone. Non finirà mai con una vittoria. Più ne parliamo, peggio sarà (...).
TANTA COCAINA E UN SOLO OMICIDIO
A Woodstock accadde una cosa buffa. Io non volevo telecamere sul palco, non volevo essere distratto mentre suonavamo. Odiavo l'atmosfera da prime donne di quelle riprese, ero convinto che distraessero dalla musica. La musica era una cosa tra noi e il pubblico. Secondo me tutto ciò che si metteva in mezzo era tabù. Se ascoltate bene la presentazione della band, sentirete dire «CSN»: avevano tolto la Y come ritorsione.
Comunque fu un vero divertimento. Mi ricordo di avere incontrato Jimi Hendrix in un piccolo aeroporto e di aver viaggiato su un pickup per andare al concerto insieme al famoso avvocato Melvin Belli. Fu necessario prenotare un charter per arrivare più vicino. Poi presero alcuni di noi e ci portarono dentro. CSN c'erano già . Erano ansiosi di arrivare presto. Naturalmente c'era una folla oceanica, quello fu un momento di svolta nella storia del rock. Era così enorme da fare paura. Nessuno riusciva a sentire. Io ero molto a disagio perché erano tutti veramente su di giri.
Ci fu un altro festival che vale la pena ricordare: Altamont. La security sul palco era curata dall'Hells Angels Motorcycle Club e allo spettacolo ci fu solo un omicidio. Partivamo molto lontano dal palco, così per arrivarci fummo trasportati su un pickup attraverso la folla. Io ero in cabina, gli altri dietro. Stephen urlava a squarciagola: «Crosby, Stills, Nash and Young!» nel tentativo di aprire una via attraverso la folla per arrivare al palco.
Il pickup arrancava. Le urla continuavano. Io cercavo di scomparire nel cruscotto. Era surreale, avrebbe dovuto esserci Fellini a filmare. Sul palco facemmo schifo. Tra quelli che riesco a ricordare fu uno dei concerti con le peggiori sensazioni. Che mostruoso ego trip alimentato dalla cocaina! La musica girava a vuoto. Non ho mai dimenticato la sensazione di malessere che provai durante il concerto. Fortunatamente non l'ho mai più avuta.
Sentivo la musica morire. Alcuni concerti di CSNY furono molto belli, ma non quelli nei grandi spazi, solo gli altri nelle sale da concerto, dove potevamo sentirci e dove la band era concentrata sulla musica invece che sul divismo (...).
NOI ERAVAMO SINCERI
Era appena successa la tragedia alla Kent State.Time aveva in copertina la foto di Allison Krause, la ragazza uccisa dalla Guardia Nazionale insieme a altri tre ragazzi (4 luglio 1970, ndr). Stavamo leggendo insieme. Lei era distesa sull'asfalto con uno studente inginocchiato che la guardava, almeno così ricordo. Queste persone erano il nostro pubblico.
Erano esattamente quelli per cui suonavamo. Era il nostro movimento, la nostra cultura, la nostra Woodstock generation. Eravamo un tutt'uno. Il legame stretto tra i musicisti e le persone di quella cultura era una questione personale: hippie, studenti, figli dei fiori, chiamateli come volete. Eravamo tutti insieme. Il peso di quella foto ci toccò nel vivo. Avevamo visto e ascoltato la notizia in tv ma questa immagine per la prima volta ci aveva costretti a fermarci a riflettere. Eravamo tristi e increduli. Presi la chitarra, iniziai a suonare degli accordi e scrissi subito "Ohio".
Il giorno dopo andammo in studio a Los Angeles per registrare la canzone. Tempo una settimana e Ohio si sentiva su tutte le radio. Per quell'epoca fu una cosa veramente rapidissima. Non c'era la censura. Sulle stazioni Fm i deejay trasmettevano quello che volevano. Eravamo underground. Non si veniva rifiutati per aver criticato il governo. Questa era l'America.
Ai nostri tempi la libertà di parola veniva presa sul serio. Parlavamo a nome di una generazione. Parlavamo per noi stessi. Eravamo sinceri. Il governo americano non si è ancora scusato con le famiglie dei quattro caduti in Ohio. Nel corso degli anni la band si è riunita per altre cause politiche. à sempre bello sentire cantare, e provare amore e rispetto, ce n'è davvero tanto.
Durante la guerra in Iraq CSNY sono andati in tour a cantare i brani del mio ultimo album â'Living with Ware'', un gruppo di canzoni più vecchie che riflettevano la politica e la vita americana. Così abbiamo ritrovato il senso delle vecchie intenzioni. Ma poi le cose sono cambiate; con quella musica abbiamo diviso in due il nostro pubblico, invece di unirlo. à stato un segno dei tempi. Insieme abbiamo vissuto molte esperienze: l'estate dell'amore, l'inferno, la sfiducia e il dolore. La vita.
SII GRANDE, OPPURE SPARISCI
Oggi, quando suoniamo, il pubblico lo avverte ancora, è come il tremolìo di una candela, il tramonto di un sole. Sta arrivando la nebbia. Queste sono davvero le nostre vite insieme. Per me CSNY sono stati questo. Il legame con la nostra generazione era profondo e noi lo sentivamo. Io la amavo tutta quella gente. Dopo quel periodo di innocenza, molto è cambiato. Oggi siamo diversi. Non eravamo uniti da un'alchimia simile a quella degli Springfield. Eravamo amici che stavano vivendo un fenomeno insieme.
Crosby era sempre il catalizzatore, lui era sempre intenso e ci portava sempre oltre. Bastava guardarlo negli occhi per farmi venire voglia di dare tutto dal profondo del cuore. Ci credeva davvero a quello che stavamo facendo. Graham era il professionista consumato, sempre pronto con le sue parti, sempre disposto a incoraggiare mentre si provava, mentre si scrivevano le canzoni per le quali siamo diventati famosi.
Stephen è mio fratello, lui è quello sempre appassionato e combattuto, ha le sue battaglie con demoni invisibili e belve multicolori giorno e notte, ci diede quel taglio che divenne inconfondibile. Al loro apice, CSNY erano la combinazione di quell'energia, tutta insieme... con il nostro pubblico! Ma poi arrivarono la fama, le droghe, i soldi, le case, le auto e gli ammiratori; infine gli album solisti.
Dovevo andarmene. Avevo veramente tanto da dare, tante canzoni dentro, tante idee e tanti suoni nella testa. Lo dovevo fare. La band non si sciolse; semplicemente si fermò. Non si rigenerò. Smise di funzionare come se avesse una crisi o un attacco di cuore o roba del genere. Non arrivarono più canzoni da nessuno di noi. Ognuno stava facendo le sue cose. Avevamo bisogno di una ragione per ritrovarci e per avere uno scopo oltre la musica. Alla fine diventammo una celebrazione di noi stessi e non c'era modo di andare avanti. Non ci si rigenerava. Abbiamo vissuto l'età dell'oro e poi abbiamo smarrito la strada. Sii grande, oppure sparisci.
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
L'ANARCHICO CHE CENTRÃ IL CUORE DELLA MUSICA
Gino Castaldo per Repubblica
Così come la sua autobiografia, Neil Young può essere amabilmente insopportabile, un maniacale anarchico dal cuore d'oro, con una passione musicale talmente indomita che già da sola dovrebbe essere materia di insegnamento nelle scuole. Scrive come pensa, e pensa come suona, il che fa sembrare il flusso delle sue parole una canzone mai del tutto finita.
E non è detto che a sessantasette anni compiuti non stia cercando ancora la canzone perfetta, lui che in tutti questi anni ha irriso ogni certezza, ha partecipato ad alcuni momenti leggendari della storia del rock, passando dal natìo Canada alla temperata e fertile bellezza della California, ha inventato un gruppo che si chiama Crazy Horse, Cavallo pazzo, e ancora ne va fiero come unica possibile garanzia di libertà e imprevedibili accadimenti.
Comunque si rivolti la frittata una cosa è certa: Neil Young è uno di quelli, e non sono poi tanti, che sono arrivati a toccare il cuore della musica, il suo misterioso e sfuggente centro poetico. Su questo ha giocato per anni, decenni, fregandosene altamente di mode e tendenze, oppure utilizzandole a suo piacimento, guadagnando un rispetto immacolato - e anche questa è cosa rara - da parte dei rocker arrivati dopo di lui, e che non smettono di idolatrarlo, di cercarlo, qualche volta di imitarlo.
Detto in altro modo, è uno che trasforma i dubbi in certezze, e viceversa, affrontando ogni volta l'atto del fare musica come se fosse la traversata di un oceano in tempesta. E se anche deve raccontarsi lo fa a suo modo, insopportabilmente dylaniano nel non scrivere tutte quelle cose che tutti vorrebbero leggere, e scrivendone altre, di minor interesse per il pubblico, ma per lui fondamentali. Un gioco di specchi si direbbe. Ma lui, anche in questo sincero, è il cantautore struggente e delicato di Harvest, così come il rocker acido e straziante di Cortez the Killer.
Sa stare in compagnia, come quando usciva ed entrava al fianco di Crosby, Stills e Nash, ma anche procedere dritto e solitario per sue strade impervie. à uno che lancia campagne, che vorrebbe abbattere governanti indesiderati, che al momento opportuno è sempre capace di spogliarsi, di mettersi a nudo e cercare tra le macerie i resti di quelle rivoluzioni che il rock ha sempre sognato. E anche di passare intere giornate a giocare con i trenini o con le sue amate automobili d'epoca. Ma arrendersi mai, non se ne parla nemmeno. Fino all'ultimo giorno, fino all'ultima parola.
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