VIDEO-FLASH! - L’ARRIVO DI CECILIA SALA NELLA SUA CASA A ROMA. IN AUTO INSIEME AL COMPAGNO, DANIELE…
Kelsey L.Munger per “Salon”
Avevo 10 anni quando presi le mie prime lezioni di astinenza sessuale in chiesa. Lo decisero i miei genitori, i preti ogni settimana ci descrivevano i pericoli delle pomiciate, senza che io sapessi cosa fossero. Le lezioni mi confondevano. Mi chiedevo perché i francesi baciassero in modo diverso dagli americani e perché quei metodi inducessero al peccato. Mi era proibito vedere film in cui ci si scambiava baci e baciarsi mi sembrava solo uno spiaccicamento di due facce, una contro l’altra.
Più tardi, le mie amiche pre-adolescenti seguivano lezioni di educazione sessuale, imparavano a infilare il condom su una banana, e mia madre mi dava da leggere libri sulla purezza e sulla castità. La masturbazione, apprendevo, svalutava la tua verginità. E la verginità dava valore alla tua persona.
Andare con una donna che già aveva fatto sesso, ci insegnava il prete, era come mangiare una gomma già masticata, bere un bicchiere d’acqua dove qualcun altro aveva sputato. Era off limits anche imparare qualcosa della mia anatomia, o fare domande sugli orgasmi delle donne. Mi dicevano che avrei trovato le risposte una volta sposata.
Il sesso fuori dal matrimonio era cosa sporca, depravata e peccaminosa. Poteva rovinarti la vita. Al liceo indossavo l’anello della castità, regalato da mia madre. Perdere la verginità mi spaventava e speravo che l’anello tenesse lontani i malintenzionati.
All’università mi sembrava più l’insegna che segnalava il mio essere ancora una bambina, così a 18 anni lo tolsi. Non volevo più spiegare ai ragazzi che non avevo mai fatto sesso. Ma non era quello l’inizio della mia rivoluzione sessuale. Quell’anno scoprii Jack Johnson. Ancora non riuscivo ad ascoltare le sue canzoni a tema sessuale e, andando indietro nella storia, fortunatamente scoprii Bob Dylan. La prima canzone du “Lay, Lady Lay” e non la cancellai, al contrario, la ascoltai ripetutamente.
Fino a quel momento non dovevo frequentare ragazzi non cristiani. Il sesso era mancanza di controllo e basta. L’importante era trovare un uomo che mi offrisse l’anello e il cognome. Anche nel matrimonio, il sesso non avrebbe avuto un ruolo importante.
Ma la canzone parlava di altro, raccontava di un uomo che voleva svegliarsi nel letto accanto alla sua donna, per guardarla con la luce del mattino. Era poesia. Poi ascoltai “I’ll be Your Baby Tonight”, immaginavo quelle scene, e Dylan mi insegnava tutto sul sesso. Non c’erano illustrazioni o istruzioni precise, ma mi mostrava il sesso come qualcosa di meraviglioso. Ogni sua canzone “sexy” erodeva la negatività del sesso che avevo immagazzinato negli anni, ripuliva la mia sessualità.
A 23 lo vidi dal vivo al festival Bumbershoot di Seattle, ci andai con mia madre e con quello che volevo diventasse il mio ragazzo. Lui mi strinse forte alla vita, io mi lasciai andare. Mia madre si chiuse in stanza a piangere ore per la sua figlia traviata. Il concerto di Dylan è stato uno dei momenti più romantici della mia vita. Il ragazzo che mi piaceva si era innamorato di me e cantavamo stretti “Don’t Think Twice, It’s Alright.” Dylan può aver vinto il Nobel con la motivazione di aver creato nuove espressioni poetiche, ma io glielo darei per avermi mostrato la più antica delle espressioni poetiche.
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