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Malcom Pagani per www.vanityfair.it
A quasi 55 anni, il cantante italiano più conosciuto nel mondo si racconta in esclusiva sulla copertina di «Vanity Fair»: gli inizi da comparsa per Fellini, il successo inatteso, l’amore, i figli, gli incontri sgraditi e ora «Vita ce n’è», il nuovo disco, «che per me rappresenta un passo epocale, una sfida con me stesso, la mia rinascita»
«Ho passato qualche anno in cui non sapevo se continuare o fermarmi per sempre. Mi sono chiesto se continuare avesse un senso perché mi sono detto: “Che lo compongo a fare un disco tanto per farlo?”. Ci sono tanti artisti che vivono di memoria, non volevo iscrivermi al club».
La risposta che Eros Ramazzotti si è dato si chiama Vita ce n’è, ed è il suo quindicesimo album, che definisce rivoluzionario. «Per realizzarlo ho speso un anno e mezzo della mia vita in studio. È un disco che considero un nuovo inizio», racconta a Vanity Fair, dove torna a parlare a quasi tre anni dalla sua ultima intervista e alla vigilia del lancio (il 23 novembre) cui farà seguito – prima data 17 febbraio 2019, Monaco di Baviera – un tour mondiale.
«Sulla mia storia gli americani avrebbero già fatto un film». La madre casalinga, il padre imbianchino, la vita «in armonia, con le tasche vuote» a Cinecittà, dove Fellini lo prese come comparsa in Amarcord e si trovò in un hangar caldissimo, sotto una fitta (e finta) nevicata, a tirare «palle di neve sudando sotto il cappotto».
Tutto era già scritto, ricorda nella storia di copertina di Vanity Fair, nel suo carattere di adolescente: «Ero chiuso, più che timido. Il mio migliore amico era Billy, il mio cane. Un pastore belga con il quale correvo e andavo in piazza a osservare e ascoltare gruppetti pieni di persone che non facevano altro che dire “andiamo a ballare, a divertirci, a mangiare una pizza”. Cazzeggiavano tutti. Io stavo in disparte e pensavo che la mia vita dovesse essere comunque un’altra roba». La precoce passione per la musica («Suono da quando ho cinque anni, provavo a insegnare a tutti il rock and roll»), gli inizi da «autodidatta di merda», l’arrivo a Milano «in cuccetta, perché all’epoca dell’aereo avevo paura», i primi anni massacranti dopo il successo («Da Terra Promessa, che vinse a Sanremo Giovani, avrò fatto il giro del mondo in 80 giorni, come Giulio Verne, almeno 200 volte»).
Ora che ha quasi 55 anni, e oltre 35 di carriera, non cova nessun rancore verso chi un tempo non credeva in lui. «Dicevano che invece di cantare belavo? Me ne sono sempre fregato. Scherzavano sul fatto che avessi la mascella come l’uomo di Neanderthal? Ci ridevo e pensavo: ’sti cazzi». Lo snobbavano perché cantava d’amore? «Ho vinto sempre con quello e adesso, dopo anni di irrisioni, sentire il coro di quelli che riscoprono quel sentimento un po’ mi fa sorridere». L’unico parametro credibile per valutare una carriera, spiega a Vanity Fair, è la durata: «Oggi se i giovani resistono due generazioni sono dei mostri e sarebbe difficile emergere anche per me. Imbarcano chiunque per fare cassa e dopo una stagione li accantonano per dare spazio ad altri dieci disgraziati».
Dice di apprezzare Coetz, Calcutta, Ghali, e anche un musicista del pallone come Cristiano Ronaldo: «Fa girare il denaro, crea un indotto, scuote il mercato, dà lavoro a tanta gente. Criticarlo è demenziale. Con i social adesso si dà addosso a chiunque, ma aggredire chi procura introiti è autolesionista. L’hanno fatto anche con me e posso dire che anche io come Ronaldo muovo una piccola economia che fa bene a qualcuno. Non sarò mai geloso dei numeri di Vasco Rossi ad esempio. Ha fatto lavorare decine di migliaia di persone per mesi. E io quando gli altri lavorano e guadagnano sono contento».
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Definisce il suo rapporto con il denaro «pulito», e ricorda il padre comunista che «immaginava un mondo equo in cui a tutti toccasse in sorte un pezzo di pane. Era utopia e lo scoprì sulla sua pelle. La tessera del Pci la presi anche io, ma solo per sei mesi. (…) Alle ultime elezioni ho votato 5 Stelle e lo rifarei. Ci vuole tempo per cambiare e migliorare l’Italia: parliamo di decenni, non di un anno o due». Non avrebbe firmato un appello contro Matteo Salvini che a volte gli appare «duro e pesante» ma non pensa che abbia tutti i torti «in assoluto» e possa vantare almeno un pregio: «Smaschera l’ipocrisia generale».
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