L’ARTIGLIO DELLA PALOMBA - IL LIBRO DI FRIEDMAN RIVELA UN PARTICOLARE: ALTRO CHE RITIRO, CARLO DE BENEDETTI, TESSERA NUMERO UNO DEL PARTITO “REPUBBLICA”, È PIU’ VISPO CHE MAI

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Barbara Palombelli per "Il Foglio"

Carlo De Benedetti è un uomo molto curioso e, quando vuole, anche piuttosto cordiale. Il suo ruolo nell'immaginario complotto svelato dall'agente segreto Alan Friedman almeno un particolare lo svela: la tessera numero uno del partito di Repubblica è ancora attiva. Altro che ritiri, altro che vita nascosta nella discreta campagna piemontese. Non se ne parla proprio. Dai primi anni Novanta, quando vinse la battaglia dell'editoria, cercò di strappare all'ingombrante e temuto Eugenio Scalfari la leadership dell'unica forza politica che non ha - da allora - cambiato vessilli e ragione sociale.

Sistemati dal punto di vista azionario e finanziario Scalfari e Carlo Caracciolo, Cdb iniziò ad appassionarsi sul serio alla politica. Prima di allora, correvano gli anni Ottanta, si fidava delle analisi del direttore di Panorama, Claudio Rinaldi, seguiva e ascoltava soprattutto Bruno Visentini e Carlo Azeglio Ciampi - nelle vesti di governatore della Banca d'Italia e di amico vero - votava repubblicano e combinava incontri che lo stesso Rinaldi definiva con ironia "noiose cene di regime".

Quando l'avversario-nemico Bettino Craxi sta per essere messo all'angolo l'editore vede, nel crollo della Prima Repubblica, anche la fine della sua area di riferimento. Giorgio La Malfa, erede del Pri, si fa coinvolgere in una storia di finanziamenti opachi e il partito scompare, si dissolve. Repubblica inizia a lanciare i referendum di Mario Segni, una parte della redazione viene appositamente distaccata, con Sandra Bonsanti e Sebastiano Messina alla guida e alla fondazione del "partito che non c'è" (e non ci sarà), cui seguirà "alleanza democratica", format geniale dell'allora editorialista di casa, Nando Adornato.

E qui, le strade di Cdb e di Scalfari si dividono sull'analisi. Il partito di Repubblica, apparentemente trionfante, sta per sbattere contro il muro berlusconiano. E qualcuno lo ha capito prima degli altri. Il pessimista Rinaldi diffida della gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto e racconta, questa volta sull'Espresso - con un anno di anticipo - che l'avversario della guerra di Segrate sta per scendere in campo. Il resto, il ventennio che abbiamo alle spalle, è noto a tutti.

La novità è che accanto a De Benedetti arriva in quel periodo una signora - Silvia Cornacchia ex Donà delle Rose - che si diverte da matti a studiare e commentare le prime pagine, adora raggomitolarsi con lui sul divano e vedere fino all'ultimo talk-show. Le fidanzate precedenti (una delle quali mia amica d'infanzia) nemmeno accompagnavano l'editore alle cene. Silvia non lo molla mai, nemmeno ai vertici mondiali di Davos, dice la sua e riscuote simpatie. Più moderata del marito, con snobismo raccontava di avere sempre votato "per la diccì, come quasi tutti".

Diciamo la verità. Carlo e Silvio si tonificano con gli scontri: un avversario ti rafforza, come capitava ai condottieri. Non mollano di un millimetro. Quando pensarono di mettersi in società, li univa una ossessione: sistemare ex mogli, figli e imprese, come si usa nelle grandi famiglie operose del nord. Le ragioni del tentato accordo, e poi quelle della rottura, restano sì un segreto ancora da svelare.

Il complotto per mettere su uno dei governi più opachi della storia repubblicana (a parte la legge Fornero, uno choc che soltanto ai tecnici sarebbe stato consentito) invece, non sta in piedi. Perfino Bettino Craxi, su suggerimento di Gennaro Acquaviva, pensò a Mario Monti al governo... almeno 25 anni prima di Giorgio Napolitano.

 

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