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Estratto dell'articolo di Tiziano Lo Porto per il Venerdì-la Repubblica
«Little Richard did it first». Little Richard lo ha fatto per primo. Così Mick Jagger nel descrivere l'importanza per lui, per i Rolling Stones e per il resto del mondo, di Little Richard, all'anagrafe Richard Wayne Penniman, glorioso cantante, musicista e attore di Macon, Georgia, che dal suo irrompere nella scena del rock non ha fatto che cambiarne regole e fattezze, senza mai risparmiare se stesso.
A lui è dedicato oggi il documentario Little Richard: I Am Everything della regista e produttrice afro-latina Lisa Cortés, in selezione ufficiale all'ultimo Sundance Film Festival e il prossimo 29 giugno in prima europea al Taormina Film Fest. Il film è un eccellente lavoro di archivio e attualità, che nonostante la vastità e complessità del personaggio, capace di abbracciare un'identità al tempo stesso queer e mistica e di creare nel frattempo hit leggendarie come Tutti Frutti, riesce a metterne a fuoco la natura di pioniere.
Come appunto diceva Jagger (intervistato nel documentario): lo ha fatto per primo. «Little Richard è stato il primo a indossare il mascara; il primo a togliersi la camicia; il primo a giocare con le norme di genere», spiega Cortés, che ha alle spalle una carriera musicale come dirigente della Def Jam Recordings e della Mercury. «Tutto quello che faceva, lo faceva senza imitare né seguire nessuno» continua la regista, evocando una lista potenzialmente interminabile di musicisti (dai Beatles a David Bowie a Lizzo) con un debito di gratitudine verso opere e vita di Richard.
(...) Essere queer nella Georgia degli anni 50 richiedeva un coraggio che oggi è difficile anche solo immaginare. Come abbandonare la carriera al suo apice per studiare la Bibbia e diventare un predicatore. Ed è incredibile vedere alle proiezioni l'impatto emotivo che ha su un pubblico che letteralmente spazia dai 18 agli 80 anni, e che a volte prima di vedere il film non sa assolutamente nulla di lui».
Nei giorni scorsi Cortés, già co-regista con Liz Garbus dell'ottimo All-In: The Fight for Democracy (su Prime), ha presentato al Tribeca Film Festival il suo nuovo documentario, co-diretto da Diego Hurtado de Mendoza e prodotto da National Geographic, La corsa allo spazio. Il film è dedicato a Guion Bluford, Ed Dwight, Charles Bolden e ad altri eroici astronauti afroamericani, pionieri anche loro nel cercare di eliminare i pregiudizi all'interno della Nasa. E anche questo è un ennesimo tassello dell'opera di Cortés e altri validi registri che affidano al cinema il delicato compito di creare una memoria storica più vasta di quella fino a oggi tramandata. Dice Cortés: «Il passato è un preludio al momento in cui viviamo. Va raccontato».
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