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Pia Capelli per Il Sole 24 Ore
Nel mondo dell'arte contemporanea, dieci anni sono tantissimi. In dieci anni ciò che è supergiovane può trasformarsi in ovvio, ciò che è "cool" diventare stantio. E, all'inverso, ciò che nasce di nicchia diventare troppo mainstream. Frieze, la fiera d'arte contemporanea londinese, è nata nel 2003 con un tempismo perfetto: gli artisti inglesi della generazione di Damien Hirst stavano conquistando il mondo, i galleristi prosperavano insieme a loro.
Si apriva una nuova era del mercato d'arte in Inghilterra e in Europa. Spiega Neil Wenman, direttore di Hauser and Wirth, che da Zurigo ha deciso di aprire la sua sede a Londra nello stesso anno in cui Frieze è nata (e oggi ha un impressionante spazio pressoché museale a Piccadilly):
«Già dagli anni Novanta in poi gli young british artists avevano fatto accendere nuovi riflettori sulla scena, ed era cominciata una storia d'amore tra i media e l'arte contemporanea. Ma nel 2003 la mappa dell'arte contemporanea è cambiata per sempre: quell'anno è stato chiaro che l'importanza di Londra come città d'arte globale non sarebbe più retrocessa».
Questa settimana Frieze, che apre giovedì in una nuova tensostruttura nel "suo" Regent's Park, compie dieci anni. Dall'anno scorso è una e trina: a Londra è nata la sorella Frieze Masters, a New York in primavera c'è Frieze NY. Ed è interessante - soprattutto dall'Italia, dove il mercato è in contrazione e si sta ripensando per fronteggiare le difficoltà - osservare quali misure anti crisi e anti inflazione i fondatori Amanda Sharp e Matthew Slotover continuino a introdurre perché la fiera non perda mordente, anche oggi che da fenomeno di mercato si è decisamente trasformata in qualcosa di più ampio.
I numeri: quest'anno le gallerie di Frieze London sono 152, in lieve diminuzione, con il consueto meccanismo di selezione feroce e un turnover che vede entrare gallerie da Brasile, Cina, Colombia, Ungheria, India, Corea, Messico e Sudafrica. Le italiane sono sei, qualcuna meno degli anni scorsi: resistono bene quelle che sono a Frieze sin dalla prima ora, come Giò Marconi, Franco Noero e Massimo De Carlo.
Nonostante il prezzo del biglietto sia in continuo aumento - 32 sterline per una fiera, 50 per vederle entrambe - e gli ingressi vadano prenotati con largo anticipo, le persone destinate a infilarsi tra gli stand della fiera sono circa sessantamila: numerose al punto che la prima novità del 2013 riguarda l'architettura, ripensata da Carmody Groarke per dare più respiro agli spazi, che si erano fatti troppo stretti per il gran movimento di collezionisti, direttori di museo, curatori e appassionati d'arte.
Un piccolo fiume di persone che per una settimana invade l'intera città e che Timothy Taylor, autorevole dealer londinese imparentato con i Windsor, con galleria in Carlos Place, definisce scherzosamente «the pilgrimage», il pellegrinaggio.
In concomitanza con la fiera, giovedì e venerdì si tengono le aste più appetitose - comprese le ricchissime Italian Sale del Novecento italiano -, si inaugurano le mostre più attese, sia nei musei sia nelle gallerie private, si lanciano giovani artisti e si frequentano quelli affermati, in una frenesia di eventi e inaugurazioni che è stata ribattezzata la «Frieze Week», a testimonianza di come la fiera ne sia sempre rimasta l'evento centrale.
E infatti sono proprio i Talks, i Films, i Projects di Frieze a trasformare ogni anno Londra in un laboratorio di nuove pratiche artistiche e curatoriali. Quest'anno per esempio Pilvi Takala, artista finnico con studio a Istanbul, ha vinto l'Emdash Award trasferendo la commissione ricevuta a un gruppo di ragazzini dodicenni, che diventano protagonisti dell'opera d'arte. I Projects, commissioni originali, avranno una dimensione - e una struttura - interamente performativa, e andranno in scena su un palco pensato dal greco Andreas Angelidakis.
Per i Talks interverranno personaggi come la compositrice e filmmaker americana Meredith Monk (che ha anche composto la colonna sonora 2013 di Frieze), e il fotografo Stephen Shore. Nello Sculpture Park della fiera, che si arricchisce ogni anno, si vedono grandi sculture e installazioni che vanno dai gargoyle medievali ai nuovi lavori di Oscar Murillo e Alice Channer.
Timothy Taylor spiega infatti che la caratteristica più interessante della Frieze Week ha a che fare con l'intrinseca diversità culturale di Londra, «la capacità di mettere insieme arti molto diverse in cambiamento costante: quello che succede a Londra muta la percezione globale dell'arte contemporanea».
Tant'è che allo sponsor storico Deutsche Bank si accosta quest'anno per Frieze un partner che arriva dal mondo della moda, Alexander McQueen, in segno che (gli inglesi lo hanno capito molto bene, noi un po' meno) siamo in un'epoca in cui le avanguardie e le sperimentazioni sono necessarie, perché hanno un ruolo non solo creativo ma di vero e proprio business.
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