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Gian Guido Vecchi per il "Corriere della Sera"
Dario Fo non rappresenterà all'Auditorium di proprietà vaticana la pièce In fuga dal Senato tratta dal libro di Franca Rame, però la tappa romana non salterà perché nel frattempo si è fatto avanti il Sistina, e queste sono al momento le due uniche cose certe. Il resto, non fosse che ne è il personaggio principale, parrebbe una commedia degli equivoci uscita dalla penna del Nobel. E chissà che non accada davvero. «Ma certo che lo farò, vuole che non lo adoperi?», ride ironico. «Il tema sarà : ci siamo cacciati fuori da soli, noi della compagnia. Uno faceva il vescovo, l'altro il direttore del teatro...».
Così è, se vi pare. Da una parte Dario Fo che accusa urbi et orbi il Vaticano di aver posto il veto allo spettacolo. Dall'altra il Vaticano che smentisce e contrattacca: «In realtà nessuna autorità vaticana ne sapeva nulla, né alla Presidenza dell'Apsa, proprietaria dell'Auditorium, né in Segreteria di Stato, né ai Consigli della Cultura o delle Comunicazioni Sociali», ha detto ieri padre Federico Lombardi.
«Ma dopo queste uscite mediatiche, che cercano di mettere in mezzo il Vaticano e il Papa in modo non corretto e forse addirittura strumentale, penso proprio che sia meglio che lo spettacolo non si faccia all'Auditorium».
Del resto, era stato il cardinale Domenico Calcagno, presidente dell'Apsa (l'Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica) a spiegare al Corriere : «Non ne so niente e a me nessuno ha chiesto nulla». Nell'entourage del Nobel, ieri, allargavano le braccia: «Ci siamo mossi in base a quello che ci hanno scritto, se no non avremmo fatto nulla».
Il riferimento è alla lettera nella quale la «Murciano iniziative», che agisce da promoter, scriveva alla compagnia di Fo: «La Santa Sede non ci ha autorizzati».
Il teatro è dato in gestione a una società privata e Valerio Toniolo, amministratore delegato dell'Auditorium, ieri ribatteva: «Lo stesso Fo dice che è venuto qui altre volte, come fa a dire che ora viene censurato?». Lo spettacolo «non era confermato», il teatro «ha il diritto di stabilire la propria programmazione e ha fatto altre scelte».
Dario Fo non ci crede: «Nelle risposte dal Vaticano si ritrova una costante della politica italiana: dire "io non sapevo niente, non c'ero e se c'ero dormivo"». Pensa a un «gioco delle parti», il Nobel: «Lo spettacolo non è contro la Chiesa. Piuttosto, Franca svela i meccanismi della politica italiana. E questo dà fastidio. Non è un atto contro di me, ma contro un Papa che smonta le vecchie logiche del clero». Oltretevere si scrolla la testa: «Macché. Non c'è persona autorevole che sia intervenuta».
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