MÜLLER SPACCA ROMA - PER LA PRIMA VOLTA, IL CONSOCIATIVISMO INCIUCIONE ALLA LETTA-VELTRONI SALTA IN ARIA PER LA NOMINA DI MARCO MÜLLER ALLA DIREZIONE DEL FESTIVAL DEL CINEMA - E LA SCONFITTA PER BETTINI E COMPAGNI È SU TUTTA LA LINEA: MÜLLER INCASSA IL SÌ AL PROGETTO E CONTRATTO TRIENNALE, BUDGET A 11 MILIONI E SEDE ALL'AUDITORIUM. MA DOVRÀ VIVERE MEDIATICAMENTE ASSEDIATO - AGGIUNGERE LO “SGARBO” AL FESTIVAL DI TORINO, SACRO ALLA SINISTRA-CHIC, E PER IL CINE-SINOLOGO LA BATTAGLIA SARÀ DURA…

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1 - IL FESTIVAL DEI «MUSCOLI»
Paolo Fallai per il "Corriere della Sera - Edizione Roma"

Alla fine è arrivato il giorno dei muscoli. In poche ore il Festival degli annunci, delle smentite e dei nodi irrisolti, cerca di spazzare via tutti i dubbi: apre la guerra con Torino, confermando le date di novembre, e porta finalmente alla firma i contratti di Marco Müller e Lamberto Mancini. Marco Müller non canterà più «Roma non fa' la stupida stasera» e può partire per Cannes per cominciare a raccogliere quello che ha seminato in questi mesi di turbolenza.

L'impegno è ambizioso come l'uomo: «Anteprime mondiali», grandi nomi (Tarantino?), spazio ai film italiani («Ce ne sono almeno quaranta in uscita»), addirittura una conferenza stampa già fissata il 25 settembre per illustrare il programma. Tutto quello che Marco Müller ha dovuto comprimere è uscito ieri nel fiume delle dichiarazioni post partum. Parla Lamberto Mancini, l'uomo chiamato a sostituire Francesca Via alla direzione generale, che promette «un'attenzione particolare a tutti i conti».

Il budget, come ha confermato il presidente Paolo Ferrari (il più sollevato di tutti ieri sera) «è di circa 11 milioni di euro». Non parlano i big della politica, un po' estenuati da questa vicenda cominciata sotto Natale. Lo fanno gli assessori alla cultura del comune, Dino Gasperini, e della Regione, Fabiana Santini, «Sarà un grande festival», «Ci aspettiamo grandi cose», e via così. È soddisfatto il capogruppo regionale dell'Udc Francesco Carducci, che ha presentato Müller a Renata Polverini e si concede un «Ciak si gira». Tutto risolto dunque? Piuttosto il lavoro comincia adesso e bisognerà correre per portare a casa il risultato che è lecito aspettarsi.

La questione Torino
La mediazione del ministero non ha mai avuto chanche. Inconciliabile la posizione di chi, come Gianni Amelio, cercava di allontanare l'ombra di Roma dal festival piemontese e Müller che andava dritto per la sua strada. La ferita è profonda («Ci hanno preso in giro» ha detto Amelio), il ministro non ci fa una bella figura e sembra già aperta la querelle sulle date del 2013.

Difficile pensare a una serena disposizione d'animo.
La sede Müller e Ferrari hanno ribadito che resterà l'Auditorium. Ma ormai anche i sassi sanno che la sala grande sarà occupata da Santa Cecilia. Certo, ce ne sono altre, ma l'ingorgo è assicurato. Non si capisce se ci sarà un villaggio e anche se ieri sono state escluse altre sedi, vuoi vedere che salteranno fuori esigenze «imprescindibili» all'ultimo momento.

L'organizzazione Marco Müller ha voluto rassicurare tutti: «Ci sarà un potenziamento e un arricchimento di concorso, fuori concorso ed Extra. Per Alice nella città chi l'ha sempre organizzato presto dirà come intende ripensarlo». In realtà Gianluca Giannelli sta già lavorando a questa edizione di «Alice» con un programma autonomo e un budget indipendente, «sulla falsariga delle Giornate degli autori di Venezia». Le promesse anteprime estive non ci saranno «ed è un rammarico», ma Marco Müller promette di tornare alla carica nel 2013.

Un'idea di festival Tutte le decisioni ieri sono state prese a maggioranza. Hanno votato contro Massimo Ghini (Provincia) e Andrea Mondello (Camera di commercio). Sul contratto di Müller si è astenuto anche Carlo Fuortes (Musica per Roma). A favore il presidente Ferrari e i rappresentanti di Comune (Michele Lo Foco) e Regione (Salvatore Ronghi).

È una spaccatura verticale per un giocattolo che aveva superato indenne il cambio di colore della guida del Campidoglio tra Veltroni e Alemanno. La prova muscolare di ieri chiude la faticosa fase dell'incertezza, ma inaugura un metodo che ne riserverà altre. Al soggetto di questo film non mancheranno nuove scene forti.

2 - AMELIO È UNA VERGOGNA CON LUI PURE UN PEZZO DEL CDA...
Fulvia Caprara per "la Stampa"

Finale prevedibile. Il direttore del Tff Gianni Amelio confessa che, già l'altro giorno, alla fine dell'incontro tra le parti presso il Ministero dei beni Culturali, aveva capito come sarebbe andata a finire: «Ci sono andato senza farmi illusioni, ma non sono un ragazzino e certe cose le fiuto. Gli esseri umani li capisco con uno sguardo, mi sono sentito subito come il vaso di coccio in mezzo ad altri, molto più forti».

Da Roma, nella serata che segna la sconfitta del Tff, gli arrivano già segnali di solidarietà e lui spera che «gli spettatori si facciano sentire, anche sul web», perchè è la loro voce quella che più gli sta a a cuore: «Non vorrei perdere il calore e l'affetto del pubblico».

Le decisioni, comunque, non sono state prese all'unanimità. Hanno votato contro la Camera di Commercio con Andrea Mondello e la Provincia di Roma con Massimo Ghini che dice: «C'erano alcuni punti che potevano essere approfonditi e invece sembravano tutti indiscutibili. I contratti prima erano rinnovabili di anno in anno, e la maggioranza del Cda non ha mai voluto prendere in considerazione altre date. Di questa posizione, Müller deve prendersi la responsabilità». Lo stesso Amelio conferma di aver avuto subito la sensazione che il faccia a faccia nelle stanze del Ministero non avrebbe smosso posizioni già definite.

Insomma, Amelio, secondo lei non c'è mai stata una reale volontà di salvare il Tff?
«Dal Ministro sono andato per correttezza, l'ho considerato un atto dovuto. Ci è stato detto che dovevamo parlare, esporre i nostri problemi, ascoltare quelli degli altri e poi uscire dalla stanza con visi sereni e sorridenti».

E invece?
«La prima sensazione spiacevole era che noi andavamo a chiedere un favore a loro, cioè ai nostri invasori. Non si vedeva alcuno spiraglio, abbiamo chiesto se potevano spostarsi almeno di una settimana, fare il Festival dal 3 al 10 novembre, anche se prima, la distanza con Roma, scelta di comune accordo, era sempre stata di un minimo di tre settimane».

Che cosa vi è stato risposto?
«Hanno accolto tutti la proposta con serenità e buon senso, hanno detto che era ottima e che non avrebbe causato nessun danno, hanno giudicato secondario anche il fatto che in quel periodo c'è l'American Film Market».

E allora?
«L'unica cosa che hanno aggiunto è stata che bisognava sentire l'Auditorium, capire la disponibilità. A quel punto è stato tutto chiaro. Avrebbero detto che il cattivissimo Auditorium non gli permetteva di spostare le date...ma queste sono favole che si possono raccontare a chi crede ancora a Babbo Natale».

Che cosa ha pensato, lasciando il Ministero?
«Ho detto a Ugo Nespolo che il suo viaggio, da Torino a Roma, era stato inutile. Sono andato all'incontro con un certo scetticismo, ma con buona volontà, mi sono sentito preso per i fondelli. Siamo stati presi in giro senza meritarlo, avrebbero potuto dire prima al Ministro che le le loro decisioni erano quelle e non gliele avrebbe fatte spostare nessuno. Non mi pento di essere stato gentile e educato, ma sono davvero desolato per l'arroganza e la mancanza assoluta di voglia di ragionare».

Adesso che cosa farà?
«Non posso confrontarmi con quello che io non ho, nè con gente che ha poteri che non ho».

Da Roma dicono che il Tff e il Festival di Roma sono due cose diverse.
«Torino non è un ghetto, nei limiti del suo budget, cerca di essere un festival popolare, aperto, con personaggi come Coppola e con i film di Eastwood e Clooney...cercherò anche quest'anno di seguire questa linea. D'altra parte se vai in bici e ti arriva addosso un Tir non hai scelta».

 

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