DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
1. I FALSI AMICI DI PASOLINI
Gian Paolo Serino per “Libero Quotidiano”
Una premessa: Enrique Irazoqui non è Gesù Cristo, anche in molti continuano a considerarlo tale. È suo il volto de Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini. Un’opera oggi diventata di culto, tanto che l’Osservatore Romano l’ha recentemente definita «il miglior film mai realizzato sulla vita di Gesù».
A 50 anni dalla sua realizzazione - Pasolini lo presentò al Festival del Cinema di Venezia il 3settembre del 1964 - Enrique Irazoqui, da Cadaqués, a est della Spagna dove vive, ci ha concesso un’intervista in esclusiva.
Uomo di tempra e coraggio, nato a Barcellona nel 1944, prima della sua partenza a Venezia,dove approderà il 31 agosto per l’omaggio dedicato dal Festival a Il Vangelo secondo Matteo, il volto del Gesù pasoliniano non le manda a dire: da Abel Ferrara (che proprio al Festival presenterà il film dedicato a Pasolini), ad alcuni «amici» dello scrittore, poeti e registi (come Giorgio Agamben o Enzo Siciliano, autore di quella che è considerata la sua biografia più autorevole), alla Chiesa («È colpevole di celebrare Pasolini rubandogli l’anima») fino al Pd («Pasolini oggi sarebbe all’opposizione perché questa sinistra è corrotta»). Prima dell’intervista dobbiamo ricordare che Enrique Irazoqui, a differenza di molti altri, non ha mai cavalcato l’onda delle celebrazioni del «rivalutato»Pasolini.
abel ferrara pasolini con willem dafoe
Che oggi è diventato un’icona, viene trattato come un profeta, ma come tutti i profeti è celebrato quando ormai è stato ridotto al silenzio. Irazoqui giunse in Italia proprio nel 1964: in Spagna c’era la dittatura di Franco e l’allora studente all’Università di Barcellona venne a Roma per cercare fondi utili a finanziare la lotta contro il regime. Tra gli intellettuali che aderirono ci fu Pasolini che si recò a Barcellona per dialogare con gli studenti della Facoltà («Ci concessero solo la sala delle autopsie, una metafora potente di come erano considerati gli oppositori a Franco. Era comunque gremitissima con tantissimi ragazzi anche in piedi»).
Prima, però, trovò in Irazoqui quel «volto di Cristo» che stava cercando da tempo.Come lo stesso Pasolini scrive in una lettera indirizzata a Pietro Nenni: «Cristo era lui: tutto preso dal suo unico ossessivo sentimento, la lotta per la libertà, povero ragazzo, non perceviva neanche le mie parole, con cui timidamente cercavo di proporgli di lavorare con me (vergognandomi della sproporzione tra l’umile, ma immenso, idealismo per cui era venuto a trovarmi, e ciò che invece gli offrivo). Sa perché infine si è deciso ad accettare? Perché i soldi che avrebbe guadagnato, li avrebbe dati alla sua Causa».
Signor Irazoqui è d’accordo con il ritratto che le ha fatto Pasolini in questa lettera? «Per niente. Il mio non era un umile idealismo. Può mai essere umile una causa che vuole far perdere il potere a un dittatore? Penso il contrario. Era il progetto di Pasolini, un capolavoro d’arte ma pur sempre un film, a essere umile in confronto alla lotta di un popolo contro una dittatura».
I soldi però non arrivarono mai in Spagna…
«Semplicemente perché non li vollero.Con il film avevo guadagnato diversi milioni, ma quando andai alla direzione del Partito socialista catalano di Parigi - da lì per ovvi motivi gestivano i denari per la Causa contro la dittatura di Franco - a ricevermi trovai soltanto dei piccoli burocrati che si sentirono offesi emi risposero che di fondi ne avevano già.
Fui disgustato, allora ero giovane e decisi di tornare a Roma per sperperarli. Al contempo,però, riuscii a convincere moltissimi scrittori, oltre a Pasolini, a venire a Barcellona per tenere delle conferenze congli studenti. Feci intervenire Pratolini, Bassani, Nenni».
PASOLINI - IL VANGELO SECONDO MATTEO - ENRIQUE IRAZOQUI
Cosa pensa della recente «canonizzazione» del film da parte dell’Osservatore Romano?
«L’idea di Pasolini era fare un film epico-lirico in chiave nazional-popolare che restituisse il Cristo alla gente comune. Pasolini, e per questo scelse il Vangelo di Matteo, voleva cacciare i mercanti dal tempio, da una Chiesa fondata da un imperatore. Infatti ho concesso un’intervista qualche giorno fa a Radio Vaticana, l’hanno resa pubblica anche su Internet e chiunque può verificare come mi abbiano brutalmente censurato».
In Italia si parla molto del film di Abel Ferrara su Pasolini. Che ne pensa?
«Ho avuto occasione di vederlo in anteprima. Ferrara ha realizzato solo un prodotto commerciale, una bio-pic, mentre l’interpretazione di Willem Dafoe è terribile: Dafoe ha fatto con Pasolini quello che i tedeschi hanno fatto con la Polonia». Eppure molti critici gridano già al capolavoro. «Pasolini era come un bambino, si appassionava a tutto come un bambino, sempre, ogni minuto. Nel film di Ferrara non c’è questa intensità, questa vitalità, questa “infinita angoscia”. Manca, e allora manca tutto».
Quindi un ritratto molto lontano dal Pasolini che ha conosciuto.
«Pasolini era un immenso bruciato vivo da dentro, sempre segnato dall’angoscia che non lo lasciava mai. Quando insieme andavamo la sera a casa di Elsa Morante si sedeva subito e per commentare la giornata ripeteva sempre “Che angoscia!”».
Mentre sul set?
«Appassionato, perfezionista, anche se molto spesso disturbato ».
Da cosa?
«Ad esempio dai suoi “amici” Enzo Siciliano e Giorgio Agamben: venivano da noi attori chiedendoci di scioperare. La prima volta perché maltrattava la madre - e non c’era essere umano che Pasolini amasse più della madre. La seconda per chiederci di sospendere le riprese perché non era “etico” e “morale”, queste le parole esatte, che Pasolini facesse lavorare Ninetto Davoli, che allora aveva una relazione non solo artistica con Pier Paolo.
Questo faceva molto soffrire Pasolini: perché Siciliano e Agamben non avevano il coraggio di riferirgli le loro rimostranze, ma lui intuiva sempre».
Cosa ne penserebbe oggi Pasolini del Pd al governo?
«Pasolini mi confidò, ma credo l’abbia anche scritto, che se il Partito comunista fosse
mai salito al potere lui sarebbe stato all’opposizione. Per Pasolini se un giorno il
partito comunista avesse vinto significava che il partito si era corrotto».
2. IL RICORDO DELLA MORANTE: “VOLEVI ESSERE UN UOMO NORMALE MA LA POESIA TI HA RESO UN DIVERSO”
Gian Paolo Serino per “Libero Quotidiano”
Pubblichiamo in questo articolo ampi stralci della lettera in forma di poesia firmata da Elsa Morante che Enrique Irazoqui ricevette dagli amici CarloCecchi e da Cesare Garboli. Pier Paolo ed Elsa, testimonia anche Irazoqui, «sono stati molto amici per anni. Ed Elsa è stata la mia migliore interlocutrice, quasi una sorella, che mi ha fatto scoprire il vero mondo della cultura italiana. A lei devo molto: certo i suoi rapporti con Pier Paolo si sono alternati tra infinita stima e litigi continui, credo sia normale tra due grandi autori come loro».
PASOLINI CON VELTRONI NEL A ROMA
«A Pasolini », continua Irazoqui, «non perdonerò mai di essere stato poco obiettivo, nello scrivere una stroncatura cattivissima su La Storia di ElsaMorante: un romanzo che neanche io ho amato,ma in quell’occasione si evince che Pasolini era prevenuto e ne scrisse con astio personale. I rapporti tra idue sideteriorano con la divergenza di idee nei confronti della rivoluzione del Maggio 68 per poi terminare definitivamente nel 1971.
Ai funerali di Pasolini, seduta in un angolino, c’era anche Elsa: non si parlavano da anni, dopo litigi furibondi,ma ho apprezzato molto quel gesto. Tra tutti quelli che lo celebravano ad alta voce, mostrando lacrime spesso false, Elsa se ne stava in disparte piangendo, ferita per la morte dell'amico. Un’immagine che mi porterò sempre nel cuore».
La Morante scrisse a Pasolini, morto il 2 novembre 1975, solo più di un anno dopo, il 13 febbraio 1976, questa lettera poesia intitolata In nessun posto: «E così, tu - come si dice - hai tagliato la corda./ In realtà, tu eri - come si dice - un disadattato/ e alla fine te ne sei persuaso/ anche se da sempre lo eri stato: Un disadattato./ I vecchi ti compativano dietro le spalle/ pure se ti chiedevano la firma per i loro proclami/ e i “giovani” ti sputavano in faccia perché fascisti come i loro baffi/ (già, tu glielo avevi detto, però/ avevi sbagliato in un punto:/ questi sono più fascisti dei loro baffi)/ ti sputavano in faccia,ma ovviamente anche loro/ ti chiedevano la propaganda per i loro volantini/ e i soldi per le loro squadrette ».
La Morante ricorda poi come Pasolini non si negasse mai a nessuno «e loro pigliavano,pigliavano» per poi criticarlo «nei loro pettegolezzi», accusandolo di essere «diverso».
Un diverso perché Pasolini non si piegava alle logiche della dittatura dei consumi, anche culturali, osteggiava e li affrontava a viso aperto I suoi interlocutori, invece, lo elogiavano davanti , per poi sparlargli alle spalle.
Continua la Morante: «La tua vera diversità era lapoesia./ È quella l’ultima ragione del loro odio/perché i poeti sono il sale della terra/ e loro vogliono la terra insipida./ In realtà, Loro sono contronatura».
Elsa Morante sottolinea anche le apparenti contraddizioni di Pasolini: «Tu eri un povero/E andavi sull’Alfa come ci vanno i poveri/ per farne sfoggio tra i tuoi compaesani: i poveri, nei tuoi begli abitucci da provinciale ultima moda/ come i bambini che ostentano di/ essere più ricchi degli altri/ per bisogno d'amore degli altri».
Una poesia capolavoro che si conclude con versi struggenti: «Tu in realtà questo bramavi: di essere uguale agli altri,/ e invece non lo eri. DIVERSO, ma perché?/ Perché eri un poeta./ E questo loro non ti perdonano: d’essere un poeta/.Ma tu ridi[ne]./ Lasciagli i loro giornali e mezzi di massa/ e vattene con le tue poesie solitarie al Paradiso./ Offri il tuo libro di poesie al guardiano del Paradiso/ e vedi come s'apre davanti a te/la porta d’oro/ Pier Paolo, amico mio Roma, 13 febbraio 1976».
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