
DAGOREPORT – PUTIN NON HA PER NULLA DIGERITO L’INTESA TRA USA E UCRAINA (MEDIATA CON TRUMP DA BIN…
di Tina A. Commotrix per Dagospia
Cose che accadono soltanto nella Grande Fabbrica dell'informazione di via Solferino. Da quattordici anni l'Rcs-Corriere della Sera non è riuscita ancora a rimettere i conti in sesto per tornare a garantirsi, anche in tempi di crisi, uno straccio di redditività . Come, invece, è accaduto agli altri gruppi editoriali italiani. "E neppure a invertire il suo declino...", ha aggiunto maligno sul quotidiano concorrente "la Repubblica", l'economista Alessandro Penati.
L'ex collaboratore del Corriere che, ai tempi della primogenita direzione di Flebuccio de Bortoli, fu costretto ad un umiliante confronto con l'allora socio forte, Marco Tronchetti Provera a causa delle sue analisi poco gradite all'ex patron di Telecom. Che dopo avergli stretto la mano nei suoi uffici, lo ricoprì d'insulti.
Un trattamento "rieducativo" riservato pure, nella seconda gestione di Paolo Mieli, all'editorialista Massimo Mucchetti. Sia pure attraverso metodi subdoli (oltre la sua emarginazione dalla scrittura) ora al vaglio della magistratura ("Dossieraggio" Telecom).
Sì, proprio quel Massimo Mucchetti, l'autore bazoliano del "Baco del Corriere" che voleva licenziare i padroni, e che oggi, invece, nell'affare (sporco) Mediobanca-Ligresti si è trasformato nell'avvocato d'ufficio di Alberto Nagel.
O, meglio, nel suo Avvocato del Diavolo vestendo i panni (altrettanto macchiati) del protagonista di quel film, Al Pacino, che a un certo punto e citando il miltoniano "Paradiso perduto", afferma: "Meglio regnare all'Inferno (Corriere) che servire in Paradiso (informazione corretta)".
Tra i tanti accordi pattizi (alias "papelli") sottoscritti nei sottoscala di piazzetta Cuccia, l'ottimo Mucchetti invece di anticipare la linea difensiva di Nagel, dovrebbe riprendere le carte sull'acquisto da parte dell'Rcs del gruppo spagnolo Recoletos.
La madre, un miliardo di euro, di tutti i debiti accumulati dall'holding che edita il "Corriere della Sera". E dal suo amico di gite in bicicletta, Vittorio Colao - oggi alla guida del colosso Vodafone -, si potrebbe far spiegare perché lui, ai tempi amministratore delegato di Rcs, si rifiutò di comprare il "pacco" spagnolo per 700 milioni di euro. E su come (e perché), dopo essere stato brutalmente messo alla porta, i nuovi manager del gruppo si sono affrettati (aprile 2007), advisor Mediobanca e Banca Leonardo, ad acquistare per oltre un miliardo di euro, attraverso El Mundo, la Recoletos del gruppo Banesto, guidato da Jaime Castellanos.
In quell'operazione, giudicata "spregiudicata" dalla stessa finanza spagnola, a guadagnarci, oltre a Banesto (plusvalenze calcolate in 350 milioni di euro nel giro di un solo anno) furono Mediobanca, primo azionista del patto in Rcs, e la Banca Leonardo di Gerardo Braggiotti (ex Lazard).
Come già rivelato da Dagospia, il passaggio di Recoletos alla Rcs porta alla luce quanto sia vasto e ramificato il conflitto d'interessi dentro e fuori piazzetta Cuccia.
Ecco cosa scrivevamo nel primavera di quest'anno: "La figura finanziaria di Jaime Castellanos, numero uno di Lazard a Madrid ed ex partner di Braggiotti nella banca d'affari francese, s'incrocia con quella di Emilio Botin, con cui è imparentato. La figlia del presidente del Santander, Ana Patricia Botin, fino all'aprile del 2011 sedeva nel consiglio delle Generali (altro azionista di riferimento dell'Rcs). E ancora. La banca dei Botin, il Santander, è sponsor della Ferrari-Fiat (50 milioni alla casa di Maranello).
Cioè di un altro "pattista" forte dell'holding di via Solferino. Per carità si tratta - terminavamo - soltanto di uno spaccato economico-finanziario che tuttavia sembra riflettere qualche ombra sugli intrecci tra i compratori italiani di Recoletos (Rcs) e i venditori spagnoli".
"Cioè i Botin e i suoi cari. Famiglia che in Spagna è sospettata dalla Corte nazionale spagnola di frode fiscale per alcuni conti detenuti in Svizzera dal patron del banco Santander".
Ecco perché, con buona pace di Max Mucchetti e di Max Giannini (vice direttore de "la Repubblica") da qualunque parte si guardi la vicenda del "papello" sparito (e ritrovato) solo su pressione dei magistrati (o "desiderata" per dirla con le parole soavi espresse in sintonia dall'inedita coppia Nagel&Mucchetti), per Mediobanca (primo azionista nel "patto di sindacato" Rcs con il 14,2%) anche questo caso Unipol-Fondiaria si è rivelato un episodio a dir poco degradante per la banca che fu di Cuccia&Maranghi. E, come con Recoletos-Rcs, tutto è accaduto in pieno conflitto d'interesse.
Di là dalle eventuali colpe penali, sia si tratti di un "papello" sia di una "desiderata": del valore comunque di 45 milioni da destinare ai Ligresti, resta il fatto che, all'inizio della vicenda, Alberto Nagel ne ha negato cocciutamente l'esistenza. Mentendo spudoratamente ai magistrati inquirenti. Almeno fino a quando l'avv. Cristina Rossello, segretaria del patto di Mediobanca, dopo lunga resistenza (sei ore d'interrogatorio) non è stata costretta a confermarne l'esistenza al pm Luigi Orsi.
Un "papello" d'oro siglato da Nagel e consegnato ai magistrati da Jonella Ligresti che aveva registrato (di nascosto) la conversazione con la Rossello in cui le confermava l'intesa "contra legem". Altro che "salotto buono" della finanza italiana!
Ma questa è un'altra storia. Ancora dai contorni oscuri e grigi che, tuttavia, appare destinata a riflettersi sui destini futuri del Corrierone (e del suo patto scellerato) di cui Pagliaro e Nagel da aprile, cioè dopo l'uscita di Diego Della Valle, ne sono diventati "i padroncini". D'Intesa (banca) con Abramo Bazoli e con il giovane Yaky Elkan (Fiat). E chi sale al trono del Corrierone spesso viene colpito dalla sua storica "maledizione"...che non sembra aver risparmiato neppure Alberto Nagel.
Già , da quattordici anni - da Agnelli a Romiti sempre passando per Abramo Bazoli -, si assiste al balletto dei signori dei Poteri marci nella Grande Fabbrica dell'informazione di via Solferino. Con i loro grandi progetti e propositi di rilancio e risanamento rimasti sulla carta. Ma oltre il tunnel ancora non s'intravede alcuna luce.
Un balletto di "arzilli vecchietti" e della "meglio gioventù anziana", accompagnato da un valzer turbinoso di manager, da Calabi a Romiti jr da Vitali a Tatò (tanto per citarne alcuni), che tra liquidazioni e bonus sono costati all'azienda oltre 100 milioni di euro, lasciandola ovviamente in profondo rosso.
Una montagna di soldi messi tutti sul "conto" dei giornalisti e dei poligrafici falcidiati dai pre pensionamenti attraverso lo stato di crisi.
La solita politica di Lor Signori: tagli pesanti ai piani bassi di via Solferino, e incentivi milionari ai piani alti. Ammontavano a oltre 10 milioni gli emolumenti distribuiti ai consiglieri tra le fila dei Poteri marci. E in quel di Crescenzago, alle porte di Linate, si costruivano cattedrali nel deserto (una nuova sede) forse in attesa di trasferirci prima la "Gazzetta dello Sport" (entro l'anno) e, a seguire, il Corrierone?
L'ipotesi di traslocare dalla storica sede di via Solferino, sempre smentita, non è stata abbandonata dal nuovo amministratore delegato dell'Rcs, Pietro Scott Jovane.
Del resto per far cassa in fretta, con i soci di manica stretta e contrari all'aumento di capitale, la strada dell'alienazione dell'immobile in zona Brera potrebbe essere la sola essendo stato valutato tra i 250-300 milioni di euro. Sempre se ci siano dei compratori e se il Comune di Milano ne cambierà l'uso della destinazione.
L'altra via potrebbe essere quella, da sempre preferita da Mediobanca, di un prestito azionario convertibile, cioè un bond che alla scadenza può trasformarsi in capitale. Un giochino che ha sempre avuto successo nei "salotti buoni" della finanza: si ripagano i propri debiti senza metterci un euro e senza perdere il potere di controllo dell'azienda.
Così da evitare, senza mettere mano al portafoglio, che il Titanic-Corriere si schianti contro l'iceberg dell'indebitamento. Ora ridotto a 500 milioni per effetto della vendita di Flammarion.
Un vero gioiellino editoriale tanto caro a Flebuccio dei Bortoli, che ci aveva lavorato bene ai tempi della sua presidenza all'Rcs libri. Ma non sembra bastare quest'ennesimo taglio alla cultura e alla missione stessa dell'azienda Corriere. Nel 2013 dovranno essere restituiti alle banche prestiti per un miliardo ricevuti al tasso di favore del 2%, (di cui ben 300 proprio a Banca Intesa di Abramo Bazoli). Alla faccia del conflitto d'interessi, sempre evocato per gli altri dalle colonne flebili del giornalone milanese.
Nell'attesa degli eventi (catastrofici?) in via Rizzoli si convocano "assemblee straordinarie tecniche per l'ordinaria amministrazione" (sic). E in via Solferino torna il braccio di ferro tra la redazione e il suo direttore, Flebuccio de Bortoli. Nelle ultime settimane c'è stato un durissimo scambio epistolare tra il Comitato di redazione e la direzione. Al documento sindacale (ampiamente diffuso anche da Dagospia) ha replicato, altrettanto tostamente, Flebuccio de Bortoli, senza tuttavia sopire i mal di pancia dei giornalisti, che ora temono di perdere l'indennità notturna se, d'accordo con "la Repubblica", sarà anticipata la chiusura del giornale.
Da una parte (il direttore) respinge le accuse ingenerose del comitato di redazione incensando il suo operato (55 promozioni interne) ma non spiega il perché si spendono ogni anno 12 milioni di euro (tre più dello scorso anno) per collaborazioni esterne anche da parte di giornalisti che lavorano in altre testate. Mentre i redattori del Corriere sono vincolati all'esclusiva.
Dall'altra (il sindacato) replica all'ultima missiva di Flebuccio de Bortoli prendendo atto che la direzione riconosce i suoi "errori e eccessi nell'uso dei collaboratori (...) crediamo - aggiunge il Cdr - di non avere il bisogno di ricordarti che in passato Pietro Citati ha anche pubblicato sul Corriere fotocopie esatte, parola per parola e virgola per virgola di interi paragrafi di suoi articoli già usciti su Repubblica...".
Per ogni articolessa scritta (o scopiazzata dal suo archivio) Citati mette in tasca 4 mila euro. L'equivalente dello stipendio mensile (alto) di un capo-redattore del quotidiano!
Il che rende inquieta una redazione costretta da anni a tirare la cinghia in nome di un'austerity che non tocca mai i piani alti della buzzatiana e malconcia Fortezza Bastiani.
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