marcello panni

“A STRAVINSKY PIACEVA L’ELEGANZA MA SOPRATTUTTO IL WHISKY. DICEVA CHE GLIELO AVEVA ORDINATO IL MEDICO. LO RIBATTEZZARONO “STRAWHISKY”! – MARCELLO PANNI, COMPOSITORE E DIRETTORE D’ORCHESTRA, SI RACCONTA, DALLA FOTO CON GIORGIO DE CHIRICO E STRAVINSKIJ (DI CUI DIVENTO’ AMICO GRAZIE ALLA MADRE) AGLI ANNI CON PAVAROTTI (“UN UOMO CAPRICCIOSO ED ESIGENTISSIMO”) – IL PADRE CHE GLI DISSE. “SARAI SEMPRE UN MORTO DI FAME COME IL TUO PADRINO PETRASSI”, LA MUSICA D’AVANGUARDIA E QUELLA VOLTA CHE CON JOHN CAGE FECE CUCINARE UN MINESTRONE SUL PALCO AL BALLERINO E COREOGRAFO MERCE CUNNINGHAM – “PER DIVENTARE UN GRANDE DIRETTORE OCCORRONO TANTE QUALITÀ, FORSE TROPPE PER UNO COME ME…”

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marcello panni by mannelli

Antonio Gnoli per la Repubblica - Estratti

 

Ha la grazia robusta dei talenti pigri. Marcello Panni mi riceve, mentre fa colazione, in una mattina troppo estiva per non finire nella penombra del salottino: un pianoforte, uno spartito, libri e quadri che un po’ riassumono l’andamento dell’arte del Novecento in Italia. Vedo un paio di Mafai, un Savinio, un Pirandello, un grande ritratto di Marcello fatto da Isabella Ducrot.

 

A 85 anni compiuti il compositore e direttore d’orchestra — l’uomo che ha compenetrato l’alto e il basso della musica contemporanea — sembra ancora fremere davanti al periodo straordinario della sua vita: gli anni Settanta.

 

Allora conobbe John Cage e Bob Wilson, dei quali divenne amico, ma già nei tardi anni Cinquanta aveva incontrato Igor Stravinskij.

 

C’è una foto datata Venezia 1957: si vedono Giorgio de Chirico e Stravinskij vicini. Ai loro lati Isa e Vera, le rispettive mogli, e Adriana Panni, la mamma di Marcello, quest’ultimo sullo sfondo della foto: «La ricordo perfettamente. Io e Stravinskij eravamo i soli a portare la cravatta. C’era anche Robert Craft, collaboratore prezioso del maestro. Quella foto fu scattata all’uscita dal teatro La Fenice. Subito dopo andammo tutti a cena».

venezia 1957 Rufina Ampenof agente di Stravinskij Marcello Panni Vera Stravinskij Giorgio de Chirico Igor Stravinskij Robert Craft Isa de Chirico Adriana Panni

 

Come hai conosciuto Stravinskij e perché tanta familiarità?

«Venne a Roma nel 1954 invitato da Nicolas Nabokov, cugino di Vladimir, per un concerto di sue musiche. Per mia madre Adriana, presidente della Filarmonica Romana, fu un’occasione per invitarlo. Così ebbe inizio da parte di mia madre un vero assedio a Stravinskij».

 

Come lo conquistò?

«Con una corte spietata alla moglie Vera. Di lei si diceva fosse stata una ballerina del Bolshoi, ma in realtà era una pittrice. Aveva anche disegnato i costumi per Diaghilev. I suoi quadri incuriosirono Irene Brin che organizzò, l’anno dopo alla galleria l’Obelisco, una mostra.

 

La mamma, per ingraziarsi Vera, acquistò una sua opera. Una tale tenacia alla lunga diede i suoi frutti.

 

Milano 1981 Augusto Loppi Marcello Panni Carmelo Bene Angelo Persichilli alle prove di Hyperion di Bruno Maderna

Nel 1956 ci fu un secondo concerto a Roma diretto da Stravinskij. Alla fine della serata seguì una cena in casa nostra. Fu il momento in cui mia madre e Stravinskij divennero amici e io, appena sedicenne, ebbi la fortuna di entrare nelle sue simpatie».

 

A parte incontrare Stravinskij a 16 anni cosa facevi?

«Ero un ragazzotto un po’ ribelle. Aver vissuto con una madre dedita anima e corpo alla musica mi ha influenzato. Fin da piccolo ascoltavo lirica e studiavo privatamente pianoforte. A casa veniva spesso Nino Rota e capitava che suonassimo a quattro mani. Era un uomo delizioso e paziente. Fu lui a insegnarmi il contrappunto. Feci un esame privatamente e alla fine Goffredo Petrassi, che era stato mio padrino alla prima comunione, mi prese a studiare con lui all’Accademia di Santa Cecilia».

 

(...)

Che effetto provasti ascoltando quella musica?

marcello panni 9

«Fu una rivelazione. La musica d’avanguardia — rappresentata da Boulez, Stockhausen, Nono, Maderna, Berio — aveva una nuova protagonista, direi quasi una rivale, nella musica sperimentale. Era un modo originale di intendere il suono e il tempo».

 

Ossia?

«Ricordo che Feldman mi diceva: “Voi europei siete troppo hegeliani, considerate il tempo un gioco dialettico di contrasti e di superamenti. Io invece immagino il tempo senza un prima né un dopo: un tempo infinito”. In effetti, i suoi pezzi non avevano inizio né fine.

 

Ma la cosa che più mi colpì fu il modo in cui Cage interpretava il suono. Qualunque rumore fuori dalla partitura era il benvenuto. Mi resi conto che la musica non era solo un semplice risultato sonoro ma altresì visivo e intrinsecamente teatrale, un happening insomma. Cominciai così a comporre musica aleatoria».

 

Musica dettata dal caso?

«Cage aveva indicato la direzione. A quel punto l’improvvisazione divenne più importante della scrittura».

A questo proposito, è leggendario un tuo happening degli anni Settanta, quando eseguisti la musica di Cage.

«Fu un evento in pieno sperimentalismo. Cage, del quale ero diventato amico, sul palco improvvisò una musica per me. L’evento si rappresentava a Roma al Teatro delle Arti. Cage componeva la partitura mentre un microfono registrava il rumore della matita sul foglio. Sempre sul palco Merce Cunningham, grande ballerino e coreografo, invece di danzare cucinava un minestrone».

Roma, 1971 Alle Prove di Passaggio di Berio al Teatro Olimpico marcello panni con Elise Ross e Luciano Berio

 

 

Immagino che il pubblico non fosse abituato a quel tipo di spettacolo.

«La verità è che si divertì tantissimo. Alla fine del concerto nessuno pensò di raccogliere quei fogli, che andarono persi. Così fu come se la sinfonia per Marcello Panni di John Cage non fosse mai esistita. In questo senso fu davvero una leggenda. Un gesto gratuito che accarezzò ruvidamente gli anni Settanta».

 

Un decennio da rivalutare?

«Lì dentro abbiamo dato il meglio e il peggio di noi. Il trionfo dell’utopia e la sua morte. Forse una non può esserci senza l’altra. Una volta Cage disse che la musica non è un atto di responsabilità ma un atto di vita. E la vita, mi viene da pensare, è un gioco assurdo e imprevedibile di contrasti che finiscono nel riso o nella tragedia».

 

Hai conosciuto bene Bob Wilson?

marcello panni 7

«Tantissimi anni fa quando ancora faceva le performance da solo nelle cantine e poi quando progettò e diresse nel 1974 Einstein on the Beach, su musiche di Philip Glass. Con lui lavorai a diverse opere. La prima fu Civil War. Diressi per la sezione italiana le musiche scritte da Glass. Per Wilson realizzai la musica per un’opera tratta da un racconto di Mishima. Ricordo che Nono, Petrassi e lo stesso Berio mi invitavano paternalisticamente a non perdere tempo con quella gente. Salvo anni dopo ricredersi».

 

 

A proposito, tuo padre era contento delle tue scelte professionali?

«Per niente. Lui era ingegnere e costruttore e voleva che percorressi le sue orme. Quando gli dissi che avrei fatto musica, mi guardò come fossi un alieno. “Lo sai che sarai sempre un morto di fame come il tuo padrino Petrassi?”, disse sconsolato».

 

(...)

Che giovinezza è stata quella che stai rievocando?

«Molto divertente e difficile perché in mezzo a tutto questo fervore di scoperte, di musica e di arte, dovevo capire che cosa avrei voluto fare nella vita. Una volta lo chiesi a Berio e lui mi disse: non ti preoccupare, la vita sceglierà per te. Un po’ è stato così perché la casualità regna nella vita oltre che nell’arte. In fondo sono arrivato al Metropolitan per puro caso».

marcello panni 3

 

Come accadde?

«Il direttore dell’Opera di Parigi mi chiamò dicendomi che quello che avrebbe dovuto dirigere Pavarotti ne L’elisir d’amore aveva litigato con il tenore. Mi propose di sostituirlo. Raggiunsi Pavarotti a Modena, suonai per lui e andò benissimo. Da allora non so quante repliche abbiamo fatto. Alla fine con lui sono stati anni meravigliosi. Anche se era un uomo capriccioso ed esigentissimo».

 

Come hai fatto a dividerti tra musica d’avanguardia e lirica?

«Alla fine ho trovato il modo di farle convivere. La vera svolta per me è stata la musica americana. Da Cage a Terry Riley, che ha inaugurato la musica minimalista».

 

Hai curiosità verso altri generi.

Igor Stravinskij MARCELLO PANNI

«Col jazz mi fermo ad Armstrong. Ammiro i Beatles, sono stati la grande rivoluzione. Mi fermo qui».

 

(…)

«È come aver conosciuto Beethoven. Mica gli chiedi che opinione ha di te. Mi regalò, firmandola, la partitura di Petruska. Devo pensare che non mi ritenesse proprio una mezza calza. Per sdebitarmi gli presentai il mio sarto».

 

Il tuo sarto?

«Sì, diceva che farsi fare i vestiti su misura a Los Angeles costava troppo. Gli piaceva l’eleganza ma soprattutto il whisky. Diceva che glielo aveva ordinato il medico. Non so più chi lo aveva ribattezzato “Strawhisky”!».

 

marcello panni

Tornerei a quella foto in cui si vedono Stravinskij e de Chirico.

«Fu scattata davanti al teatro La Fenice. Quel giorno fu anche l’occasione per un pranzo memorabile. Stravinskij e de Chirico non si vedevano dagli anni Venti. Si sedettero l’uno accanto all’altro. Il compositore chiese di Raissa, la prima moglie di de Chirico. Raissa Gurevich era stata prima ballerina nella messinscena di Histoire du soldat; de Chirico fu vago nella risposta. Quasi imbarazzato. Parlarono di Diaghilev e delle scenografie che de Chirico aveva allestito per i Balletti russi. Erano due immensi talenti di un’Europa che non c’era più. Due reliquie da conservare».

 

Sei religioso?

«La musica è un po’ una religione. Recentemente ho scritto un oratorio. Sto pensando di fare un libro dalle annotazioni diaristiche di mia madre. Lo chiamerò Il libro d’oro di Adriana Panni».

 

 

Sei rimasto legato alla memoria di tua madre.

«Negli ultimi anni più di prima. Anche questa è una forma di religione».

igor stravinsky

 

Non hai mai cercato di essere diverso da quel che sei. Non hai mai cercato di atteggiarti a grande direttore.

«Per carità. Sono entrato nel mondo dell’Opera tardi e ti confesso che non è mai stato un interesse primario, l’ho fatto come un mezzo di sussistenza. Alcuni hanno detto che ho perso anni della mia vita».

 

Ti sei però divertito.

«Tantissimo, ho sempre pensato che la musica non dovesse soffrire di steccati. Ho amato le bande musicali, il loro suono a volte imperfetto, e le ho rifuse nella mia musica».

merce cunningham

 

Sei anche famoso per le Pop Songs.

«Beh, sono state una trovata provocatoria. Sono pezzi di occasione come fossero eseguiti da orchestrine di paese».

 

Ma quando vedevi o ascoltavi i grandissimi direttori di orchestra, Bernstein o Abbado, Muti o Barenboim, cosa provavi?

«Pensavo che per affrontare la direzione di orchestra ci vuole talento e carisma. Forse talento ne avevo ma carisma poco. La mia abitudine strafottente e il fatto che le cose mi riuscivano facili mi risparmiava dall’alzarmi alle 4 del mattino per studiare. La verità è che per diventare un grande direttore occorrono tante qualità, forse troppe per uno come me. È tutto un problema di combinazioni. La strada molte volte non la fai tu ma le circostanze».

john cage

 

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