DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
Mario Calabresi per “la Repubblica” - ESTRATTO
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NAPOLITANO MARCHIONNE ELKANN CALABRESI
Il Golia da battere nell' ultimo decennio sono state le case automobilistiche tedesche e le pubblicità del Superbowl erano ogni anno il suo manifesto. Le curava in ogni dettaglio, diventò matto per avere Eminem, poi Clint Eastwood e infine Bob Dylan, il suo cruccio era non aver convinto Bruce Springsteen.
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I ritmi a cui costringeva chi lavorava con lui, per molti sono stati insostenibili. Non ne faceva mistero e prendeva in giro quei manager che a Torino sparivano all' ora di pranzo per una partita a tennis: «Si mettono la protezione cinquanta per non farsi vedere abbronzati» .
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Era un uomo del West, poche raffinatezze, viaggiava con uno zainetto o molto spesso semplicemente due buste di plastica, una per le sigarette e il the freddo, l' altra con i caricatori dei cellulari.
Ne aveva tre: uno americano, uno svizzero e uno italiano. A seconda degli appuntamenti o degli orari accendeva il telefono del fuso giusto. Dal sacchetto dei telefoni faceva capolino una statuetta di Ganesh, la divinità indiana con la testa di elefante, era il suo portafortuna.
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SERGIO MARCHIONNE E DONALD TRUMP
Era fissato con il metodo di lavoro: mai interrompere una riunione finché non era conclusa, concentrarsi su una cosa alla volta e chiuderla. E non distrarsi con i telefoni. Mettere un finto appuntamento in agenda ogni due ore, per aver uno spazio dove risolvere i problemi improvvisi. E se non succede niente? «Ho un' occasione per riordinare la musica». Migliaia di brani che teneva sul Mac, da Keith Jarrett alla Callas.
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L' amore per il metodo lo legava a John Elkann, spesso parlavano in inglese tra loro, per fare più in fretta a capirsi. Marchionne era fissato con la velocità: «La lingua italiana è troppo complessa e lenta, per un concetto che in inglese si spiega in due parole, in italiano ne occorrono almeno sei».
SERGIO MARCHIONNE E JOHN ELKANN
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Sulla sua incapacità di mediare, di essere rotondo, molto è stato detto, ma lui rifiutava l' etichetta: «Ho riportato in Italia una produzione che era stata delocalizzata in Polonia, quella della Cinquecento, e trovano il modo per contestarmi. Ho rilanciato Pomigliano, una fabbrica del sud Italia, un luogo dove c' erano i cani randagi in giro per lo stabilimento, dove trovavi i loro peli sulla carrozzeria dopo la verniciatura».
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Gli piacque Renzi, perché gli sembrava diverso, più dinamico, non ingessato, con un modo di parlare diretto. Pensò che avrebbe cambiato davvero l' Italia.
Quando lo vide in difficoltà ragionò che aveva sbagliato a non scegliere i migliori, ma a circondarsi di una cerchia stretta di amici fiorentini.
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Sono stato direttore per quasi sette anni della Stampa, allora di proprietà della Fiat. Marchionne mi chiamò una sola volta per lamentarsi del giornale, per la precisione di un titolo sul sito, in cui si diceva che Franco Fiorito detto "Er Batman" si era comprato una jeep con i soldi pubblici. «Non ha comprato una Jeep ma un fuoristrada, non si può usare il termine come fosse generico perché è un marchio, soprattutto perché non facciamo automobili per politici ladri».
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All' inizio del 2010, durante il governo Berlusconi, mi propose un' intervista per dire che Fiat non aveva alcun interesse a chiedere incentivi per la rottamazione. Alla fine del colloquio si alzò e disse soddisfatto: «Con questa intervista ho comprato la mia e la tua libertà».
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Dell' editoria se ne è sempre occupato John Elkann, ma una volta l' anno chiedeva i conti e non sopportava il rosso, però di fronte a un piano serio di recupero non fece problemi ad investire.
«Se perdete e vi dobbiamo sovvenzionare ogni anno allora finirete per essere l' Illustrato Fiat, ma a me la cosa non interessa: state in piedi da soli e questa sarà la migliore garanzia della libertà del giornale».
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Diverso era il rapporto con la politica americana. Amò molto Obama, di cui lodava la capacità di visione, di aver salvato Detroit, l' auto e un pezzo fondamentale della storia dell' industria americana. Di aver aperto la porta agli italiani. Il rapporto tra i due era fortissimo. Questo non gli impedì una certa familiarità anche con Donald Trump: « Chi non lo capisce non capisce l' americano medio, che non è quello che vive a New York o a San Francisco, ma che sta nel mezzo. Quello che è orgoglioso di farti vedere quanto è grande il suo televisore o ti trascina in garage prima del barbecue per mostrarti la macchina nuova. Trump è esattamente quella cosa lì. Quando sono entrato alla Casa Bianca, mi ha portato a fare il giro delle stanze per farmi vedere tutto quello che aveva cambiato, le sue aggiunte, dalle tv alle tende dorate. Poi mi ha dato una gran pacca sulla schiena. La rappresentazione perfetta dell' americano medio » .
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Era convinto che avesse vinto per questo: «Hillary aveva l' accordo con i leader sindacali, ma anche nelle nostre fabbriche gli operai hanno votato per Trump. Erano storici elettori democratici ma avevano trovato uno che per la prima volta parlava la loro lingua e diceva quello che volevano sentirsi dire: nessuno porterà mai più il lavoro fuori dai confini dell' America».
OBAMA E MARCHIONNE JUST MARRIED
obama marchionne obama marchionne
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