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IL NECROLOGIO DEI GIUSTI – LA PERDITA DI GOFFREDO FOFI, IN UN PAESE RIDOTTO AI MINIMI TERMINI DAI SANGIULIANO E DAI GIULI, DAI FESTIVAL GUIDATI DA ROCCA&BASE, NON PUÒ CHE ESSERE UN ENNESIMO DISASTRO – NON SEMPRE SI POTEVA ESSERE D’ACCORDO CON QUELLO CHE SCRIVEVA, MA IL SUO ERA SEMPRE UN PUNTO DI VISTA PROVOCATORIO E INTELLIGENTE – È RESPONSABILE DEL RECUPERO MAGISTRALE DEL CINEMA DI TOTÒ ALLA FINE DEGLI ANNI ’60. UN’OPERAZIONE CHE RENDE A TOTÒ IL SUO INCREDIBILE VALORE NON SEGNALANDO I FILM PIÙ “ALTI”, MA QUELLI PIÙ BASSI E DIVERTENTI, DOVE È TOTALMENTE LIBERO – A QUESTO, FOFI AFFIANCA IL RECUPERO DI TUTTO IL CINEMA POPOLARE ITALIANO GRAZIE A... – VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

goffredo fofi

“Chi sono i vostri professori?” No. Noi non avevamo professori. E magari quello era il problema. Ricordo bene che la posizione, mia, e del piccolo gruppo di amici genovesi pazzi per il cinema, Enrico e Teo, era esattamente quella di cominciare da zero. Escludendo da subito i professori. Spavaldamente, non ne avevamo bisogno.

 

Anche rispetto a Gianni Buttafava, più grande di me di dieci anni, non lo sentivo come un professore. Forse un fratello maggiore. Ma nell’ottica del tempo, della divisione storica tra chi seguiva “Ombre rosse”, la rivista di Fofi alla Positif, dove scrivevano Fofi e Lorenzo Codelli, e chi seguiva “Cinema e Film”, la rivista di Adriano Aprà alla Cahiers du cinéma, dove scrivevano Enzo Ungari, Maurizio Ponzi, Oreste De Fornari, non si poteva essere cani sciolta senza maestri.

 

goffredo fofi

Anche se fu un momento critico che durò pochissimo, alla fine degli anni ’60, durò cioè gli anni che durarono le due riviste, mentre con Enrico e Teo demmo vita a una nostra rivista, decisamente più militante, “Il Falcone Maltese”, che spaziava verso il cinema di serie B, il cinema di Hollywood più antico, verso recuperi estremi, devo dire che la scelta non scelta di non avere maestri, ma di tendere naturalmente di più verso i Cahiers e quindi verso “Cinema e film”, verso Hawks e Minnelli, verso i piccoli western di William Hale, ci segnò, mi segnò, per tutta la vita.

 

In realtà, a ripensarci, “Ombre rosse” era più moderno. Ricordo un articolo su “Senza un attimo di tregua”, capolavoro di John Boorman con Lee Marvin. Era meno legato alla difesa del cinema italiano dei Taviani e di Bertolucci, alla difesa di Jean-Marie Straub. Ma, decisamente, Goffredo Fofi era umanamente più simpatico. Aveva anche una storia personale più bella e più forte.

 

FRANCA FALDINI GOFFREDO FOFI - TOTO

Gli amici di Torino, Alberto Barbera e Gianni Volpi, erano più legati a Fofi, mentre Turigliatto era più legato ai Cahiers. Steve Della Casa era più vicino a me. Ma nessuno dei due schieramenti apprezzava il cinema di genere italiano, gli spaghetti western, il peplum, il cinema comico.

 

Ricordo lettere dall’Italia di Fofi terribili sul cinema di Sergio Leone, che poi ha finito per apprezzare. Eppure Fofi, e questo glielo devo riconoscere, è responsabile del recupero magistrale del cinema di Totò alla fine degli anni ’60 già con “Ombre rosse” e poi con il libretto del 1972 per Samonà e Savelli. Un’operazione che rende a Totò il suo incredibile valore non segnalando i film più “alti”, ma quelli più bassi e divertenti, dove Totò è totalmente libero.

 

Al recupero del cinema di Totò, Fofi affianca il recupero di tutto il cinema popolare italiano grazie alla monumentale “L’avventurosa storia del cinema italiano”, una storia orale, composta da decine e decine di interviste a autori, attori, tecnici, che lui e Franca Faldini, la vedova di Totò, avevano incontrato.

 

Se il recupero di Totò capovolge l’ordine gerarchico che gli inflessibili e spesso ottusi critici e storici del cinema italiano ci avevano imposto, i libroni della “Avventurosa storia del cinema italiano” procedono ancora più in profondità nella rilettura del cinema del nostro Dopoguerra. Era quello di cui avevamo bisogno.

 

 

L’avventurosa storia del cinema italiano - Franca Faldini e Goffredo fofi

Esattamente come avevamo bisogno di qualcuno che dicesse che i migliori film di Totò non erano quelli più nobili o più firmati, ma quelli dove Totò può impadronirsi della scena. Spesso i peggiori. Questa rivelazione, che per me e per tanti ventenni di allora fu una sorta di illuminazione, rivoluzionò non solo la nostra cultura cinematografica e il nostro desiderio di fare critica.

 

Ma ci spinse a scelte critiche che mai avremmo pensato di poter fare. Se per Adriano Aprà ogni riscoperta critica andava pesata e ragionata, penso alla rassegna sul cinema dei “telefoni bianchi” a Pesaro, la rivoluzione fofiana del cinema popolare indicava strade davvero mai battute e meno accademiche.

 

Delle tante provocazioni fatte da Fofi in quegli anni e dopo, queste furono senza dubbio due bombe che esplosero perfettamente nella nostra testa e liberarono il nostro sguardo. Credo che nessuno ebbe in quegli anni, e neanche dopo, la stessa capacità di muoversi in tutta Italia, da Torino a Palermo, da Napoli a Roma, mettendo in piedi riviste, fortunate, meno fortunate, facendo circolare idee, provocando polemiche.

 

 

suole di vento stroie di goffredo fofi 2

Non sempre, anzi…, si poteva essere d’accordo con quello che scriveva Fofi, ma certo il suo era sempre un punto di vista provocatorio e intelligente. Lo era ancora in questi ultimi anni, dove si esaltò per un film come “Favolacce” dei D’Innocenzo, esagerando, e attaccò, se non sbaglio, “La vita è bella” di Benigni.

 

Andando contro corrente. Ricordo che sia lui che Aprà, ormai 40, 50 anni fa, avevano provato a fare cinema. Ma se il film scritto e diretto da Adriano Aprà, “Olimpia agli amici” con Olimpia Carlisi, non ancora musa di Benigni e Fellini, era considerato un disastro, nemmeno quello scritto da Fofi per Marco Bellocchio, “Sbatti il mostro in prima pagina”, era considerato il massimo.

 

suole di vento stroie di goffredo fofi 1

Almeno allora. Certo, la vicinanza di Fofi a Bellocchio e la vicinanza di Aprà e dei critici di “Cinema e Film” a Bertolucci, alla fine stabilirono meglio i confini. Che erano così segnati e precisi. Ma semplicistici. Ottusi. Come spesso capita in Italia.

 

Lo abbiamo capito con l’esplosione di Bellocchio di questi ultimi anni, quasi liberato da questa ossessiva competizione alla Coppi-Bartali che ci arrivava da queste discussioni infinite. Criticamente il meglio Fofi lo ha dato con l’appoggio al cinema marginale palermitano di Ciprì e Maresco, al cinema rosselliniano di Alice Rohrwacher.

 

suole di vento storie di goffredo fofi

Fofi ha seguito amorosamente Maresco, lo ha aiutato. Ha fatto quello che un critico militante dovrebbe fare. Ora. Non sempre il suo abbraccio ha fatto del bene agli autori che ha difeso, penso ai D’Innocenzo. Spesso, anche se a fin di bene, ha esagerato, ha ragione Bellocchio. E ha saputo cambiare idea.

 

Magari troppo velocemente. E, da maestro, da professore, ha difeso, una classe critica e letteraria che ha fatto carriera. Penso a quelli che Tatti Sanguineti chiamava i Fofi boys, Mereghetti, Morreale, Canova.

 

goffredo fofi

Alla fine il suo ruolo, nel sistema culturale italiano, è stato più importante, e più organico, di quanto avessimo potuto prevedere. La perdita di Fofi quindi, in un paese ridotto ai minimi termini dai Sangiuliano e dai Giuli, dai festival guidati da Rocca&Base, non può che essere un ennesimo disastro. Ecco.

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