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Alessandra Farro per “il Mattino”
ciro ippolito marco giusti c'era una volta a napoli
Un vecchio maggiolino bianco cabriolet, mille euro in contanti e una sola destinazione: Napoli. Ciro Ippolito e Marco Giusti partono insieme per un nuovo, folle progetto, raccontare il cinema napoletano dagli albori fino ai primi anni '90 in «C’era una volta Napoli», prodotto dallo stesso Ippolito a low budget, per dimostrare ai giovani che non serve aspettare i finanziamenti regionali e ministeriali per fare cinema.
Le riprese del docufilm on the road sono terminate nei giorni scorsi al Chiaja hotel de charme, ex casa di tolleranza che conserva ancora mobili ed insegne degli anni ’50, dopo aver fatto tappa al cinema Paradiso a Materdei insieme a Benedetto Casillo, al Vomero tra via Scarlatti e via Cimarosa, dove è affissa la targa dedicata a Guido Lombardi, a Castellammare di Stabia ed Angri.
marco giusti e ciro ippolito c'era una volta a napoli
«Volevo scrivere un libro sulla storia cinematografica napoletana, Ciro mi ha proposto di farne un film», racconta il critico toscano classe ’53, volto noto televisivo, sdoganatore di B-movie e reduce dall’esperienza di «Roma santa e dannata», documetario diviso con Roberto D’Agostino: «Ippolito è stato uno spettatore attento delle produzioni che vanno dal ’47 in poi e, dagli anni ‘80, un produttore e regista altrettanto attento. Così, abbiamo deciso di ripercorrere le evoluzioni della cinematografia partendo dai film muti degli inizi del Novecento. Perché Napoli? Il cinema è nato qui, anche quello muto, che prende piede al Vomero, con la prima sala cinematografica in via Scarlatti».
Ippolito poi del cinema popolare è diventato protagonista, dirigendo Mario Merola («Lacrime napulitane» del 1981, «Zampognaro innamorato» del 1983), Carmelo Zappulla («Pronto... Lucia» del 1982) e gli Squallor («Arapaho del 1984, «Uccelli d’Italia del 11985), per non dire dei tanti titoli sceneggiati o prodotti.
Il viaggio nei ricordi comincia negli anni ‘20, quando la maggior parte dei film erano girati e prodotti a Napoli da Gustavo Lombardo (fondatore della Lombardo Film prima, Titanus dopo) raggiungendo tutto il mondo, America compresa. L’avvento del fascismo fu letale, tra le tante cose, anche per il cinema campano, vittima della fondazione di Cinecittà nel 1937 e del divieto di usare il dialetto.
benedetto casillo marco giusti
«Ho fatto restaurare il mio maggiolino: ormai ha 52 anni e compare nella maggior parte dei miei film», rilancia il settantasettenne regista partenopeo, che da vent’anni non si rimetteva dietro la macchina da presa. «Marco ed io siamo partiti da Roma per arrivare in città con la macchina targata Na, oggi non le fanno più. Attraverso il nostro viaggio non ripercorriamo soltanto la storia del cinema, ma anche della città. Ci perdiamo in diversi flashback, alcuni sui miei film degli anni ’80. Si parla del terremoto, di Scarpetta, di Viviani. Ci siamo resi conto che la musica è un tema ricorrente nelle produzioni partenopee: film e canzoni comunicano costantemente».
Il cinema era destinato agli analfabeti, al popolo, e doveva mantenere un linguaggio semplice, dialettale. Raccontava di amori e tradimenti. Durante il ventennio fascista, la narrazione popolare lasciò il posto ai racconti storici, per poi ritornare, dopo la Seconda Guerra Mondiale, al dialetto napoletano, come testimonia la ricca produzione di Roberto Amoroso.
A questo punto del racconto, Ippolito si perde nei ricordi: molti film di Amoroso sono ambientati tra Porta Capuana e la zona della Ferrovia, dove il produttore di «Io speriamo che me la cavo» è nato e cresciuto: «Sotto casa mia c’erano sei cinema ed ogni cinema dava due film al giorno. Io andavo a vedere tutti gli spettacoli che potevo: dalla mattina alla sera, tornavo a casa alle 16, che al tempo era l’orario giusto per pranzare.
«Poi ci fu l’esplosione dei film di Natale Montillo, che è stato un grande esercente e produttore, ha costruito il primo cinema più grande d’Europa a Castellammare di Stabia, contava duemila posti, un’operazione all’avanguardia per l’epoca», continua Giusti: «Siamo andati a vedere cosa rimane della sala, abbiamo intervistato il nipote di Natale, oggi anche lui esercente. Incredibilmente, il cinema è ancora in piedi».
marco giusti e ciro ippolito c'era una volta a napoli
«La nostra avventura finisce nel modo in cui è cominciata: con una follia», conclude Ippolito con un sorriso a trentadue denti: «Nella piazza principale di Angri abbiamo raggruppato il gruppo folk Revotapopolo, composto da una cinquantina di musicisti vestiti da pulcinella, gli stessi (più o meno) che hanno suonato nel 1979 nei titoli di coda del mio “Mammasantissima” con Mario Merola».
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