DAGOREPORT – CON L'OPERAZIONE GENERALI-NATIXIS, DONNET SFRUTTA UN'OCCASIONE D'ORO PER…
Alberto Mattioli per la Stampa
L' ultima volta fu nel 2012, a un concerto della Filarmonica diretto da Daniel Barenboim durante il quale si sfiorò la rissa (e, fuori, la si fece proprio) fra plaudenti e fischianti. Lei, tostissima e serafica in un' atmosfera da curva di San Siro durante il derby, ricantò come bis il rondò della Cenerentola che aveva scatenato le ire dei loggionisti.
Da allora, si è verificato lo strano caso della più celebre cantante d' opera italiana, e forse del mondo, Cecilia Bartoli, che non canta nel più celebre teatro d' opera italiano, e forse del mondo, la Scala. La notizia è che l' anomalia è sanata e la ferita cicatrizzata. Il progetto l' hanno annunciato ieri l' interessata e il soprintendente, Alexander Pereira. Progettone, in effetti: tre Händel in altrettante stagioni, adesso che perfino alla Scala si sono accorti, con quegli abituali venti-trent' anni di ritardo, che quella barocca è l' unica vera opera contemporanea di oggi.
Nel '19, santa Cecilia delle colorature sarà quindi Cleopatra nel Giulio Cesare in Egitto , nuova produzione di Robert Carsen, direttore Giovanni Antonini e cast notevole con ben tre-controtenori-tre (anche qui, sono ormai da considerarsi cadute in prescrizione vecchie scomuniche): Bejun Mehta, Christophe Dumaux e Philippe Jaroussky. Nel '20, Bartoli farà Semele diretta dall' ottimo Gianluca Capuano, in un' altra nuova produzione perché, a differenza di quel che si pensava e che forse sarebbe stato anche auspicabile, non verrà ripresa quella meravigliosa di Zurigo, sempre griffata Carsen. Infine nel '21 Bartoli sarà la donna barbuta protagonista en travesti di Ariodante secondo il regista Christof Loy (l' eroe ariostesco come Conchita Wurst), sul podio ancora Capuano.
Non solo. Ci sono contatti con il San Carlo per coprodurre gli spettacoli. A Napoli si dicono ovviamente interessati ma ci stanno ancora pensando (ma se non lì, dove?). E Bartoli sta pure meditando una Fondazione per promuovere la musica barocca in Italia, «un patrimonio immenso - spiega - che necessita di essere riscoperto ed eseguito. Ho l' impressione che noi italiani siamo meno consapevoli dello straordinario ruolo che il nostro Paese ha avuto nella nascita della musica barocca rispetto all' importanza riconosciuta all' arte o all' architettura dello stesso periodo». Se son rose fioriranno; la presenza alla conferenza stampa dei vertici di Rolex Italia fa sperare che fioriscano anche gli indispensabili sponsor.
Resta il Gran Ritorno. Paura di nuove contestazioni? Figuriamoci. Lei: «Io non ho paura. A che serve la paura? Non porta da nessuna parte. La passione invece sì. E condividerla la fa crescere ancora di più. E poi torno in Italia portando dei titoli che ho già cantato in tutto il mondo. Non vengo a fare esperimenti, insomma». Intanto mercoledì al Fraschini di Pavia ha offerto un prezioso cameo, alla fine del trionfale recital del tenore Javier Camarena. È salita sul palco vestita da Cenerentola-colf come nella produzione di Michieletto, scopa in mano, guanti gialli, jeans e incredibili Converse con i tacchi, e ha cantato con il suo amico Javier un duetto strepitoso.
Solo risate e applausi, in questo caso. Ma, in generale, la sensazione è che la Scala non abbia più voglia di riconoscere a un gruppetto di «balcony girls» isteriche e istrioniche una specie di diritto di veto su chi possa cantarci.
Adesso basta. Mal che vada, faremo un' altra rissa.
PAPPANO BARTOLIbartoliCopertina libro - Mattiolialberto mattioli (2)LA SCALA DI MILANO
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