DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giorgio Meletti per “il Fatto Quotidiano”
Mediaset è una realtà industriale in declino. Dieci anni fa vantava 3,6 miliardi di ricavi e 600 milioni di utile netto, veniva da un quinquennio ruggente in cui, con B. a Palazzo Chigi, il giro d’affari delle sue tv era cresciuto del 50 per cento.
IL BILANCIO 2014 del Biscione si è chiuso con 3,4 miliardi di fatturato, meno di dieci anni fa, le azioni valgono la metà di allora e non rendono più niente. Neppure la concorrenza addomesticata della Rai ha consentito al management Mediaset di rispondere ai colpi della crisi. È quindi comprensibile che B. preferisca fare cassa. Ai valori di oggi il suo 34 per cento vale 1,7 miliardi, abbastanza da consentirgli una vecchiaia serena e non funestata da eventuali liti sui palinsesti tra i cinque figli.
C’è dunque da capire l’interesse della francese Vivendi e del suo presidente Vincent Bollorè a imbarcarsi nella gestione di Canale 5 e compagnia. Qui il discorso si fa molto più interessante. Da circa 20 anni, cioè più o meno da quando è comparsa Internet sulla scena mondiale, nessuno riesce a dare una risposta sicura alla domanda delle domande: a chi andrà il dominio del mercato della comunicazione? Ai padroni delle reti, cioè alle grandi compagnie telefoniche che controllano il traffico e la distribuzione? O il mondo sarà di chi avrà in pugno i contenuti, cioè le merci da distribuire e vendere?
PIER SILVIO BERLUSCONI FEDELE CONFALONIERI
Beninteso, la domanda potrebbe essere anche insensata. Nella vulgata liberista viviamo in un sistema libero, appunto, in cui un buon film, un buon libro o la buona informazione vedranno sempre riconosciuto dal mercato il loro valore. Per cui né le compagnie telefoniche né i fornitori di servizi globali, come Facebook o Google, saranno mai in grado di calpestare la libertà del prossimo per accumulare profitti. Mentre i filosofi dibattono l’altissimo tema, guardiamo i fatti per quello che sono. Tutti i protagonisti del mercato della comunicazione credono alla legge del dominio, e tutti fanno la loro scommessa sul lato del tavolo da scegliere per trovarsi in posizione di forza.
Vodafone, gigante della telefonia mobile, cerca di rafforzarsi sulla rete fissa e punta a comprare una tv, magari la stessa Sky Europe. Rupert Murdoch venderebbe volentieri Sky Europe (a metà strada tra un produttore di contenuti e un grande distributore) per comprarsi Time Warner e posizionarsi decisamente dalla parte della produzione di informazione e intrattenimento. Le grandi compagnie telefoniche si dividono all’incirca equamente tra quelle che comprano reti tv (come ha fatto Telefonica in Spagna) e quelle che le vendono (come Telecom Italia con La7).
TARAK BEN AMMAR BOLLORe? PADRE E FIGLIA
BOLLORÈ SI TROVA nella situazione ideale di poter giocare in Italia le due scommesse opposte, vincendole entrambe. La strategia generale di Vivendi è di uscire dalle reti e di concentrarsi sui contenuti. Ha venduto a Telefonica la grande rete fissa brasiliana di Gvt ed è pronta a investire i miliardi incassati su Mediaset, che affiancherebbe alla francese Canal Plus. Ma nello stesso tempo ha preso in cambio di Gvt, quasi come mancia, anche un 8 per cento di Telecom Italia che - grazie alla disastrosa rotta del cosiddetto salotto buono italiano - potrebbe essere sufficiente a comandare, all’italiana, cioè senza pagare il dazio di un investimento proporzionato.
E potrebbe realizzare il grande disegno mai riuscito a B., mettere Telecom Italia al servizio di Mediaset. Ancora una volte le epocali partite del capitalismo mondiale trovano in Italia una declinazione vagamente farsesca. Twitter@giorgiomeletti
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