UN BISCIONE AL NAZARENO - MEDIASET SI PRENDE PIÙ DI METÀ DEGLI SPOT DEL GOVERNO RENZI (2,5 MILIONI, RISPETTO A LETTA +369%) - GAFFE DEL PREMIER SULLA RAI: "VOTIAMOLA A CAMERE UNITE". MA È CONTRO LA COSTITUZIONE

1. MEDIASET SI PRENDE TUTTI I SOLDI DEGLI SPOT DI GOVERNO

Carlo Tecce per "il Fatto Quotidiano"

 

matteo renzi e berlusconi 0aa87941matteo renzi e berlusconi 0aa87941

   Anno 2013, a Palazzo Chigi c’è Enrico Letta, a Mediaset va il 10 per cento della pubblicità del governo, 539.000 euro. Anno 2014, a febbraio Matteo Renzi subentra a Letta, al Biscione va il 57 per cento degli investimenti in propaganda: 2,5 milioni di euro, una crescita del 369 per cento. I numeri di Nielsen, che sono elaborazioni molto prudenti e inconfutabili, azzerano qualsiasi chiacchiera sul patto del Nazareno infranto, sul rapporto sgualcito fra il giovane Renzi e l’anziano Silvio Berlusconi, sui rantoli di Forza Italia e le riforme interrotte. I numeri, quelli che valgono denaro per l’azienda di Cologno Monzese, l’interesse principale di Berlusconi, dicono che all’ex Cavaliere conviene che il governo sia renziano.

 

renzi berlusconirenzi berlusconi

   Il colmo per Renzi, il premier sempre connesso che aspira a una banda larga velocissima e cinguetta da mane a sera, lo spiegano gli esperti della multinazionale Nielsen: per rastrellare i soldi versati poi a Mediaset, l’esecutivo di Renzi ha ridotto del 70 per cento gli stanziamenti pubblicitari sui portali Internet. Quando c’era Letta, in rete finivano 1,7 milioni di euro. Con Renzi che andò a visitare la Silicon Valley anche per carpire i segreti di Twitter e Google, i portali Internet si devono accontentare di un misero mezzo milione. Giù gli introiti anche per le radio, per il cinema; irrilevanti per Sky e La7. A questa competizione, cifre non pesanti però indicative di una corsia privilegiata con Palazzo Chigi, non partecipa la Rai perché l’azienda è pubblica e deve concedere spazi gratuiti all’esecutivo.

 

PIERSILVIO BERLUSCONI COME RENZIPIERSILVIO BERLUSCONI COME RENZI

   Un bel gruzzolo, da non guardare con disprezzo in questi anni di bilanci poco floridi, al Biscione arriva pure da Cassa depositi e prestiti, controllata dal Tesoro: il molto renziano presidente Franco Bassanini, per reclamizzare l’acquisto di obbligazioni Cdp, ha speso 2,5 milioni di euro e 953.000 li ha girati a Mediaset, soltanto 398.000 per Viale Mazzini. Nessuna legge prescrive al governo di lanciare campagne di prevenzione o per la “buona scuola” in esclusiva su Mediaset. Sarebbe più comodo usare i 15 canali di Viale Mazzini, che fanno più ascolto dei concorrenti di Cologno Monzese (+5% di share), senza sganciare un euro.

 

luca lotti  beatrice lorenzinluca lotti beatrice lorenzin

   A Palazzo Chigi, attraverso il dipartimento per l’editoria gestito dal sottosegretario Luca Lotti, impartiscono le solite linee guida. Poi i dicasteri, in autonomia, scelgono dove piazzare la pubblicità e, però, dovrebbero rispettare i criteri di proporzionalità stabiliti da una delibera dell’Autorità di garanzia (Agcom): un po’ ai giornali, un po’ ai nuovi media, un po’ agli operatori televisivi e via elencando.

 

DARIO FRANCESCHINIDARIO FRANCESCHINI

Il ministro Beatrice Lorenzin (Salute) ha pagato 2 milioni di euro per informare i cittadini sui rischi dell’influenza, sui vaccini o quant’altro di sua competenza, ma non ha comprato cartelloni stradali, non ha occupato gli schermi di autobus e metropolitane, non ha intercettato il pubblico giovane di Mtv o Deejay, non ha invaso il mercato radiofonico: no, Lorenzin ha acquistato su Mediaset pubblicità per 1,7 milioni di euro sui 2 spesi. Cifre inferiori sì, ma il ministero per i Beni culturali (senza considerare il Turismo) ha acquistato inserzioni per 800.000 euro e, certo, in gran parte sono per Mediaset: 631.000 euro. Massimo Bray, predecessore di Dario Franceschini al Mibact, a Mediaset ha destinato zero euro.

 

   Ora queste saranno coincidenze, la Nielsen è un gufo malefico e la predilezione di Renzi per l’ex Cavaliere (ricambiata) è un’ossessione, ma questi milioni di euro, seppur marginali rispetto ai miliardi fatturati a Cologno Monzese, dimostrano che gareggiare contro Mediaset è complicato. O meglio, impossibile. Se in palio c’è anche un solo euro, c’è da scommettere che quest’euro è per il Biscione.

 

 

2. GAFFE DI RENZI SULLA RAI, OPPOSIZIONI ALL’ATTACCO

Francesca Schianchi per "La Stampa"

 

maurizio gasparri e daniela santanchemaurizio gasparri e daniela santanche

«Sarebbe bello se il vertice della Rai fosse eletto dal Parlamento in seduta comune – ha detto giovedì sera il premier Matteo Renzi, presentando le linee guida della riforma della tv pubblica – come si fa per il presidente della Repubblica». Che sarebbe bello è da vedere, ma di certo non lo permette la Costituzione, lo hanno corretto come uno scolaro negligente ieri le opposizioni.

 

Dalla deputata M5S Mirella Liuzzi al forzista Maurizio Gasparri: «Tra le tante cose che Renzi non ha letto – attacca il vicepresidente del Senato – gli consigliamo l’articolo 55 comma 2 della Costituzione». Il quale, testuale, stabilisce che «il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione».

 

ENZO CHELI ENZO CHELI

Ossia per eleggere il presidente della Repubblica, assistere al suo giuramento e metterlo in stato d’accusa, così come per eleggere un terzo dei membri del Csm e dei giudici della Corte costituzionale. «Benvenuto di fronte alla realtà!», sottolinea la gaffe Gasparri.

 

Per poter fare eleggere i membri del Cda Rai dal Parlamento in seduta comune, confermano importanti costituzionalisti, «bisognerebbe cambiare la Costituzione», spiega Enzo Cheli, così come Stefano Ceccanti. Che suggerisce, in alternativa, il metodo usato per le Authority: «La metà dei membri la elegge la Camera, l’altra metà il Senato».

 

STEFANO CECCANTISTEFANO CECCANTI

La legge di riforma sarà presentata al prossimo Consiglio dei ministri, c’è tempo per rivedere la questione. Nel frattempo, è la Corte dei Conti a sottolineare che quella della Rai è una situazione «da tenere sotto osservazione» e che richiederà «un contenimento dei costi»: il «rilevante» volume dei debiti nel 2013 ha toccato i 442,9 milioni di euro.