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Andrea Galli per il "Corriere della Sera"
Era una fuga coraggiosa a eliminazione. L'altro ieri pomeriggio erano saltate dal primo piano di un palazzo. Nude, cappucci in testa strappati che penzolavano sul collo. Le corde e le catene che su caviglie e polsi si erano mangiate la pelle con i lividi diventati scure strisce continue simili a tatuaggi. Loro tre, di nazionalità cinese, impastate di muco, sangue e lacrime.
Una s'è distrutta un calcagno e s'è accasciata; la seconda, pochi metri appena e la frattura del malleolo l'ha frenata; l'ultima invece, pur ricoperta di tagli, non aveva nulla di rotto e correva, correva. Fino a una farmacia. Al civico 111 di via Mac Mahon. Il dottore ha chiamato la polizia.
E la polizia indaga su questa storia di prigioniere (hanno 27, 32 e 36 anni) e di aguzzini, di sevizie e di barbarie, forse di prostitute vendute tra bande. Comunque, ancor prima delle analisi criminali, suggerisce un investigatore, sarebbe meglio avviare un'inchiesta sociale.
E capire come sia stato possibile che a Milano, tra le 15.30 e le 16 di martedì, in una strada qual è via Mac Mahon affollata di residenti e negozianti e passanti, battuta dal traffico di macchine e tram e scooter, in un tratto non del centro storico ma nemmeno della periferia più cupa, capire come appunto sia stato possibile che delle donne senza vestiti, poggiate a terra, le mani a coprire le parti intime, non abbiano convinto qualcuno a dare l'allarme. Quasi che la scena fosse normale. E infatti i minuti trascorrevano senza che polizia e carabinieri ricevessero telefonate. Fino al farmacista.
La stessa Mac Mahon è in un certo senso la logica prosecuzione della zona di via Sarpi: è lungo questa arteria che vive, produce e a volte delinque la comunità cinese, ed è qui che insieme ai negozi low cost sorgono i laboratori clandestini e le tane. Non è insomma un caso che l'episodio sia avvenuto in Mac Mahon. Se non nelle immediate vicinanze della farmacia, il palazzo della prigionia non disterebbe molto. Anche perché le condizioni fisiche delle donne impedivano la copertura di lunghe tratte.
Anzi il condominio sarebbe già stato individuato dalla Squadra mobile della questura e sarebbe scattata la caccia ai sequestratori, caccia che potrebbe richiedere un tempo più lungo del consueto, a causa della impermeabilità della comunità cinese. Che in ogni modo, da qualche tempo, mostra impercettibili ma importanti fratture.
Le nuove generazioni non hanno la stessa consegna al silenzio con gli stranieri sposata dai genitori. E soprattutto le donne hanno iniziato a ribellarsi. Come le tre ferite che, dopo un breve passaggio all'ospedale Gaetano Pini per le cure, sono state subite accompagnate in una struttura protetta. Per sfuggire a eventuali ritorsioni. E per poter raccontare.
Raccontare. Non sarà facile. Primo: e questo forse conferma l'idea degli investigatori su un loro recente arrivo in Italia, davvero parlano poco la nostra lingua. Un vocabolario di due, tre parole. Secondo: diranno le cose come stanno o per paura forniranno dettagli inventati? Ma poi, chi sono, le tre donne? Se il sequestro non è da collocare nel circuito della prostituzione, potrebbe avere l'obiettivo di un riscatto.
Le tre donne sarebbero state catturate per spingere le loro famiglie, in Cina, a saldare debiti con la mafia (soldi in precedenza ricevuti per mille motivi, legati a giri di strozzinaggio). E se la cupola cinese non c'entrasse, e fossimo dinanzi a bande di altre nazionalità o alla follia di qualche scheggia impazzita, a un solitario aguzzino? Quante domande. E ne mancano altre, però.
A esempio su quali violenze abbiano subito nel palazzo; a esempio dove hanno trovato la forza di beffare i carcerieri, strisciare alla finestra, scendere. O forse no. Erano così ridotte e così disperate, dicono in questura, che si sarebbero buttate anche da un terzo piano.
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