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DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, un Paese in cui i vincitori di una importante tornata elettorale hanno come parola d’ordine “Onestà! Onestà” è un Paese allo stremo del ridicolo, e basterebbe leggere un libro importante come questo ultimo di Franco Debenedetti (“Scegliere i vincitori, salvare i perdenti”) per capire la vacuità di quella parola d’ordine.
Eppure questo mi sembra lo stemma che si danno le due magnifiche fanciulle del 5Stelle che a Roma e a Torino sono state sommerse dal consenso di elettori ebbri dell’andare contro Matteo Renzi “what it takes”, costi quel che costi. Il nuovo sindaco di Roma proclama ai suoi fan che loro stanno per riscrivere la storia, dopo “vent’anni di malgoverno a Roma”, e anche quella è una stupidata colossale: mettere nello stesso comparto sindaci come Walter Veltroni e Ignazio Marino è da analfabeti.
Per restare al linguaggio di Debenedetti, chi siano stati i “perdenti” a Roma e a Torino è talmente palese. Perde il Pd di Matteo Renzi, di un leader che è riuscito a farsi circondare da avversari di destra e sinistra (e estrema sinistra) come nemmeno il John Wayne che presidiava il Fort Alamo circondato dai guerrieri messicani.
Perde un leader che cento volte si è dato pose da bulletto, e che si ostina nella retorica del “rottamare” chiunque non stia alle sue consegne. Pensa di metterla in quel posto a tutti, da Massimo D’Alema al Silvio Berlusconi con cui aveva contratto una (sacrosanta) alleanza, con il risultato che tutti loro lo odiano più della morte.
Ne è risultato l’esito elettorale più sconcio del modo, voti che si assommano a voti quale che sia la loro provenienza e la loro identità. Quel che resta della coalizione di centro-destra ridotta a fare da ruota di scorta ai 5Stelle. Intravedo in televisione un Renato Brunetta che non finisce di stupirmi il quale allude a una vittoria del centro-destra, e spero che stesse facendo dell’umorismo.
E del resto tutto questo durerà lo spazio di un’euforia. Le “periferie” che hanno votato contro Piero Fassino e Roberto Giachetti si accorgeranno in un batter di ciglia che di trippa per loro non ce n’è, ad esempio in una Roma che ha 13 miliardi di debito. Altro che riscrivere la storia ed esaltare “gli onesti”. (Personalmente se qualcuno mi raccomandasse di essere “onesto” lo prenderei a calcio in culo, ci penso da me a esserlo fino all’ultimo centesimo).
Roma, ossia il disastro di “Roma capitale”, degli undicimila dipendenti dell’Atac, di una raccolta della monnezza al limite dello sprofondo, di una città che ha pochino pochino di metropolitana e le cui viuzze sono atte alle carrozze del Seicento ma ha anche le più alte tasse comunali e regionali d’Italia. Roba che nemmeno Winston Churchill, altro che una magnifica fanciulla che sino a qualche tempo fa sedeva felice a uno scrittoio dello studio da avvocato di Cesare Previti.
Giampiero Mughini
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