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Franco Giubilei per “la Stampa”
Quando salgono sul palco due magnifici vecchiacci del rock’n’roll come Pete Townshend e Roger Daltrey, rispettivamente classe 1945 e ’44, l’effetto malinconia per il bel tempo che fu è inevitabile, perché a quasi nessuno è consentito il lusso di cantare impunemente I Hope I Die Before I Get Old senza cadere nel ridicolo, come continuano a fare The Who riproponendo a oltranza dal vivo My Generation. Eppure loro riescono a farlo con una certa credibilità, mentre alle loro spalle sfilano le immagini in bianco e nero dell’epoca Mod, con ragazzine col caschetto e ragazzi in giacca e jeans a tubo che se la ballano in una dance hall londinese.
Scene da un concerto, il primo dei due italiani di questo tour organizzato per celebrare mezzo secolo di hit della band inglese, che segna il ritorno di The Who in Italia dopo un’assenza lunghissima dai nostri lidi: era il 1972 e il gruppo era nel suo massimo splendore quando si esibì al Palaeur a Roma.
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Poi tornarono nel 2007 all’Arena di Verona, ma lo show fu un mezzo fiasco per avverse condizioni meteo. E adesso rieccoli, con Pino Palladino al basso, il fratello di Pete Townshend, Simon, alla chitarra, il figlio di Ringo Starr, Zak Starkey, alla batteria, e ben tre tastieristi: John Corey, Loren Gold e Frank Simes Partenza con I Can’t Explain, come tradizione Who ha sempre imposto, eccetto che nella data di debutto della tournée a Vienna, dove avevano optato per Who Are You. E poi una lunga carrellata di successi indimenticabili, da I Can See for Miles a My Generation, naturalmente, anche se gli occhiali da vista di Daltrey e i movimenti più cauti di Townshend sono testimoni implacabili del tempo passato, nonostante il microfono continui a roteare sulla testa imbiancata di Daltrey e il chitarrista mulini il braccio sullo strumento.
ROGER DALTREY E PETE TOWNSHEND
La prima parte dello show offre perle come Behind Bluse Eyes, da Who’s Next, correva l’anno 1971, e poi entra nel mondo sonoro di Quadrophenia, l’album concepito per celebrare l’epopea Mod: 5:15, I’m One, Love Reign o’er Me vengono suonate con la giusta energia e quella vena malinconica che percorre le composizioni migliori di Townshend e compagni, mentre sugli schermi scorrono immagini dal film realizzato nel 1979 da Franc Roddam su precise indicazioni del gruppo.
Poi lo show cambia direzione, andando a recuperare un’altra pietra miliare della produzione Who: parliamo di Tommy, 1969, quando il gruppo londinese inventò l’opera rock con un album straordinario.
Vengono da lì Amazing Journey, The Acid Queen, che nel film di Ken Russell veniva cantata da Tina Turner, e poi Pinball Wizard, subito legata a See Me Feel Me e Listening to You. Il gran finale è tutto nel segno di Who’s Next, e non poteva essere diversamente: Baba O’Riley, e poi Won’t get Fooled Again sono un altro tuffo nel passato dorato di una band che appartiene alla ristrettissima aristocrazia del rock mondiale. Giù il cappello allora, perché concerti così sono eventi rari, da non perdere.
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