riccardo muti

IL NAUFRAGIO DI RICCARDO MUTI - IL MAESTRO COMPIE 84 ANNI E RICORDA L'INCIDENTE IN MOTOSCAFO A CAPRI CON LILIANA CAVANI E ALTRI OSPITI ILLUSTRI: "L'ACQUA ENTRAVA A FIOTTI" – IL CORO DEGLI ALPINI, LA FUGA DA SALISBURGO, LA DIFESA DI TOTO’, ROBERTO DE SIMONE (“MORTO DIMENTICATO”) E GLI STRALI CONTRO IL POLITICAMENTE CORRETTO: “IN UNA ''TURANDOT'' IN CANADA HANNO CAMBIATO I NOMI DI PING, PANG E PONG IN JIM, BOB E BILL. DIVENTA RAZZISMO AL CONTRARIO...” - VIDEO

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Valerio Cappelli per il Corriere della Sera - Estratti

 

 

riccardo muti

Maestro, come festeggerà il compleanno?

«Lo vivo non vivendolo, è un giorno come tutti gli altri ed è così da quando ero ragazzo. È un altro anno che passa, vorrei andare all’indietro e togliermene via uno alla volta. Anche a Capodanno, a parte quando dirigo a Vienna con la Filarmonica (di cui sono membro onorario), non faccio fuochi d’artificio come i miei compatrioti napoletani».

 

Però quando ha compiuto 40 anni, altro che fuochi d’artificio… «Ah, lei mi riporta al famoso naufragio. Un amico armatore aveva organizzato una festa per me a Sorrento. Peppe Barra cantava, cibo delizioso, una bellissima serata. Poi salimmo sul motoscafo, diretti a Capri, dove ero ospite del mio caro amico Umberto Tirelli, il celebre sarto.

 

Era una notte piena di stelle, il nostro pilota si mostrò incauto e confuse le luci, d’improvviso si formò un banco di nebbia, spuntò un rimorchiatore che portava un blocco di cemento nel porto di Napoli. Mia moglie Cristina cominciò a gridare: “Ci stiamo andando contro!”».

 

Come andò a finire?

liliana cavani

«Il comandante virò all’ultimo ma non poté evitare la collisione e l’acqua entrò a fiotti. Il rimorchiatore ci prese a bordo. Con noi c’erano Liliana Cavani che stava girando un documentario su Napoli, il grande scenografo Ezio Frigerio, Verde Visconti (figlia del cugino di Luchino) che col suo aplomb, noi mezzi morti di paura, chiese un decaffeinato con lo zucchero, e i marinai ci guardarono come a dire: in questo disastro questa pensa allo zucchero. Era notte, ma c’era ancora gente sulla banchina e uno disse, cosa ci fa Muti con la Cavani alle due di notte? La mattina dopo tornammo impietosamente a Capri in vaporetto. Finimmo sulla prima pagina del Mattino» .

 

Fantastico. Altri compleanni a sorpresa?

«Ricordo a Salisburgo, dove d’estate dirigo da 55 anni consecutivi, un coro alpino cantò per me dopo i fuochi d’artificio… In agosto lì eseguirò la Messa in fa minore di Bruckner».

 

Però a Salisburgo da tanti anni non dirige più opere, solo concerti.

«Dopo una lite col regista di Orfeo e Euridice , me ne andai. Ho litigato con chi va contro la musica, non perché sia un conservatore (ho fatto 9 produzioni con Luca Ronconi che era tutto fuorché un tradizionalista), ma spesso le regie non hanno nulla a che fare con la musica».

riccardo muti - concerto di natale in senato

 

 

 

Tante volte abbiamo parlato dei direttori d’orchestra che trasformano il podio in un circo. Perché il gesto oggi è così estremo?

«Spesso invece di essere funzionale alla musica, il gesto diventa uno show, e il pubblico ci cade dentro. Siamo diventati una società che vede, più che ascoltare. E i cantanti invece di stare davanti certe volte hanno bisogno del monitor per comunicare col direttore».

 

 

 

Com’era il suo concittadino Totò sul set come direttore d’orchestra?

«C’è la celebre scena in cui dirige una banda.  Beh aveva un grande senso musicale e ritmico, e la gestualità precisa, conforme al tessuto musicale. Lo aveva anche Jerry Lewis».

 

(...)

 

Totò il grande incompreso dalla critica.

«Dovette arrivare Fellini per riconoscere il suo genio. Ne soffrì molto. Totò è una maschera comica e tragica dell’anima napoletana. Come Sordi e Eduardo, talenti puri che non sono frutto dell’Accademia, nascono come acqua sorgiva dell’arte più popolare. Talmente grandi che non avevano bisogno di insegnanti».

 

 

 

Crede nella funzione della critica?

riccardo muti - concerto di natale in senato

«Io la mia carriera l’ho fatta anche grazie alla stampa. Naturalmente, avere il compiacimento al cento per cento diventa anche noioso. Ma penso alle critiche negative che ebbero Beethoven o Bruckner che fu stroncato dal più grande recensore viennese, amico del rivale Brahms».

 

A Carlos Kleiber, dal loggione della Scala all’Otello del ’76 gridarono: «Povero Verdi».

«Lo ricordo, e c’erano tutti giganti, Domingo, Mirella Freni, Cappuccilli…Carlos, di cui ero amico, a Londra, dopo le recensioni tutte negative con la London Symphony, non vi tornò più. A Londra nella sua vita tenne un solo concerto».

 

 Lei che rapporto ha con i loggionisti?

«I miei 20 anni alla Scala sono stati di successo, anche per delle esecuzioni che sembrarono rivoluzionarie perché colmavano un vuoto imperdonabile, il ritorno della Traviata dopo 26 anni e di Trovatore dopo 20».

 

 Ma il loggione è un fenomeno folcloristico o è utile per capire uno spettacolo?

«Esiste anche altrove, in Spagna li chiamano gallineri . Io stesso, allievo al Conservatorio di Milano, andavo al loggione. Ci vanno quelli che hanno passione e quelli che vogliono beccare un cantante. Una volta a Firenze un loggionista disse: ora si va a sistemare il tenore. Ecco, all’opera bisognerebbe andare come un fatto culturale, non mondano o sportivo».

riccardo muti sergio mattarella - concerto di natale in senato

 

Ha conosciuto altri grandi napoletani?

«Ricordo Sophia Loren dopo un’opera alla Scala, grande signora. Ho conosciuto bene Eduardo De Filippo, su una foto scrisse questa dedica a me e Cristina: le parole non contano.

 

Una sera a un suo spettacolo a Firenze il pubblico non colse una sua battuta in napoletano. Il teatro piombò nel silenzio. Lui si fermò: cos’è questa freddezza? E ci fu un boato di applausi. Sono stato grande amico di Roberto De Simone, che hanno fatto morire nell’abbandono, quasi dimenticato, per poi mettersi in fila al momento del cordoglio».

 

Massimo Troisi, Pino Daniele?

«Sono personaggi importanti, Troisi bisogna cercare di capirlo al di là dell’apparente semplicità, aveva una sua profondità; Pino Daniele a parte Napule è non ho elementi per giudicarlo, non lo conoscevo abbastanza ma so che è molto amato e a Napoli gli hanno intitolato una via. Non ho il tempo per altra musica, se sono arrivato a un monumento come la Messa Solenne dopo 50 anni che la studiavo e gli giravo intorno…».

 

Napoli sa difendere il suo passato?

concerto di natale in senato con riccardo muti

«Del Teatro San Carlo abbiamo parlato in passato, non voglio infierire, il punto è che Napoli ha una storia gloriosa che dovrebbe essere recuperata. Io nei miei 5 anni di direzione al Festival di Pentecoste di Salisburgo ho portato la scuola napoletana, per strada ricrearono le vie di Napoli. Ha le biblioteche musicali più belle del mondo ma si parla nel mondo per altre cose, se va bene diventa una cartolina».

 

Cosa pensa del politicamente corretto applicato alla cultura?

«Io penso che non è giusto che uno si alzi al mattino e decida cosa si può dire e cosa non si può dire, a meno che tu non offenda o commetta un’illegalità. In certi Paesi non si può più dire orientale: devi dire asiatico.

 

totò vendita di fontana di trevi

E nella lirica le parole cambiate dei libretti, che invece andrebbero contestualizzate all’epoca in cui vennero scritte. In una Turandot in Canada hanno cambiato i nomi di Ping, Pang e Pong in Jim, Bob e Bill. Diventa razzismo al contrario. Io trovo che tutto ciò che è estremo sia pericoloso».

 

Lei è un uomo profondamente del Sud. Ma dal ’76 vive a Ravenna, la città di sua moglie. Cosa c’è di romagnolo in lei?

«Si dice che i romagnoli siano i meridionali del Nord. C’è molto in comune, il temperamento, lo slancio, il gusto della tavola, il calore. La Romagna è diversa dall’Emilia. Mio suocero mi diceva che in passato se chiedevi da bere in Emilia ti davano l’acqua mentre in Romagna un bicchiere di vino».

 

A parte Napoli, nel suo cuore c’è la Puglia.

roberto de simone

«Non solo Molfetta ma Castel del Monte, la fortezza che fece costruire Federico II di Svevia in provincia di Andria, dove mi hanno nominato cittadino onorario. Era il mio sogno, avere un posto vicino a quel castello magico e misterioso dalla forma ottagonale; ai suoi piedi, nel 2000 ho preso da un contadino un pezzo di terreno, ho sistemato dei trulli senza toccare una pietra . Non si può parlare di Puglia senza parlare di olio. Ora ne faccio un po’: olio di casa Muti».

 

Che sapore ha?

«Mio figlio Francesco, che se ne intende, lo descrive amaro con note piccanti. Il logo riprende la pianta ottagonale del castello. L’abbiamo chiamato Il Trionfo dell’ottagono , anche in omaggio a Philip Glass che vedendo nel mio camerino a Chicago la foto del castello mi dedicò un pezzo con questo titolo».

 

Il personaggio dell’opera più affascinante è Don Giovanni di Mozart e Da Ponte.

RICCARDO MUTI LUCIANO PAVAROTTI

«Ha un fascino sinistro ma non ne farei un esempio. Certo quando va all’Inferno e la luce diabolica si spegne gli altri sono perduti, chi è triste, chi finisce al convento. Leporello, il suo servo, dice: vado a trovare un padrone migliore.Dice più di un libro. Questa è la vita».

 

 

 

Uno dei ricordi musicali più belli?

«Il recente concerto a Ravenna con 3.316 coristi da tutta Italia, che ripeterò, sul motto agostiniano Cantare è proprio di chi ama . Agostiniano come papa Leone XIV che ammiro molto».

 

 

 

laura dubini rita airaghi riccardo muti gianfranco ferre beppe modenese carla vanni

Maestro, ha rimpianti?

«La vita che passa e ti porta via gli amici e la giovinezza sono un rimpianto».

 

 

 

Cosa sogna?

«Che il mondo trovi la pace veramente.Quando vediamo nei Tg bambini affamati con la scodella in mano, non possiamo restare indifferenti. L’ultima parola della Messa di Bruckner, che finisce in un soffio, è “pace”».

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