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Marco Giusti per Dagospia
Ecco. Se ne va anche Alfio Contini, 93 anni, direttore della fotografia di capolavori come “Il sorpasso”, “I mostri” di Dino Risi, “Zabrieskie Point” di Michelangelo Antonioni, “Il portiere di notte” di Liliana Cavani, ma anche di capolavori del cinema bis come “I due pericoli pubblici” con Franco e Ciccio o “Mutande pazze” di Roberto D’Agostino o ben nove film di o con Adriano Celentano, da “Il bisbetico domato” a “Yuppi Du” a “Joan Lui”. Molta della commedia all’italiana degli anni d’oro gli deve parecchio, visto che illuminò non solo i film di Dino Risi, ma anche “Una rosa per tutti” di Franco Rossi, “La matriarca” di Pasquale Festa Campanile, “La mortadella” di Mario Monicelli, “Bianco rosse e…” di Alberto Lattuada, ma bazzicò anche altri generi.
Lavora con Liliana Cavani per “Galileo” e per Giuseppe Colizzi nel fondamentale “Dio perdona… io no”, per Michael Cacoyannis ne “Le troiane” con Katherine Hepburn e Vanessa Redgrave e per Nando Cicero ne “il gatto mammone”. Con la stessa disinvoltura scivola da “Joan Lui”, il film più pazzo e magalomane di Celentano a “La bocca” di Luca Verdone al capolavoro cafonal “Mutande pazze”, dove non poco deve aver aiutato il neoregista Dago, a “Al di là delle nuvole” di Wim Wenders, che gli farà vincere il suo secondo David dopo “Zabrieskie Point”.
Nato a Castiglioncello nel 1927, entra nel cinema nei primissimi anni ’50 come assistente operatore di Mario Montuori ne “Il cappotto” di Alberto Lattuada, “Bufere” di Guido Brignone, “Tripoli bel suol d’amore” di Ferruccio Cerio, passando poi operatore alla macchina, sempre a fianco di Montuori, di grosse produzioni del tempo, “Racconti romani” e Ferdinando I° Re di Napoli” di Gianni Franciolini, “Il conte Max”, “Olympa” di Michael Curtiz, bazzicando anche il peplum, “La vendetta di Ercole” e chiudendo con “La dolce vita” di Federico Fellini. Dopo un lungo tirocinio fa il suo esordio da direttore della fotografia affiancando Montuori in “Sodoma e Gomorra” di Robert Aldrich e poi da solo su “La regina dei tartari” di Sergio Grieco.
Col peplum continuerà col notevole “Arrivano i titani” di Duccio Tessari, ma sarà l’incontro con Dino Risi per i tre film capolavoro del 1962, “Il sorpasso”, “La marcia su Roma” e “I mostri” a segnarlo come maestro assoluto di luci nella commedia all’italiana moderna girata prevalentemente in esterni. Con Risi proseguirà poi con “Il gaucho”, interamente girato in Argentina, “La moglie del prete” e “Sessomatto”, mentre si aprirà a generi diversi, come lo spaghetti western, “L’uomo che viene da Canyon City di Alfonso Balcazar e, soprattutto, “Yankee” di Tinto Brass e “Dio perdona… io no”. Diventa fondamentale per molti registi, da Liliana Cavani a Pasquale Festa Campanile, anche se sarà il grande lavoro su “Zabrieskie Point” di Michelangelo Antonioni a segnalarla tra i più grandi direttori della fotografia degli anni ’60.
A questo seguiranno altri film di grande impatto come “Il portere di notte”, ma anche le ricche produzioni dei Celentano movies, sia diretti da lui che diretti da Pasquale Festa Campanile o da Castellano e Pipolo. E’ probabilmente il direttore della fotografia di fiducia di tutti i successi di Celentano. Ma, ripeto, pronto poi a operazioni più difficili o opere prime, “La bocca” di Luca Verdone o lo stesso “Mutande pazze”.
Timido, riservato, non ho trovato da nessuna parte sue interviste scritte, anche se su di lui venne scritto un libro nel 2002. Lo incontrai nello stesso periodo sul set di un film imbarazzante, “Apri gli occhi e sogna”. Non potevo crederci che in quel film ci lavorasse l’Alfio Contini de “Il sorpasso” e di “Zabrieskie Point”. Mi sorrise.
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