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RUBY ROSE ORANGE IS THE NEW BLACK
Laura Zangarini per il “Corriere della Sera”
Da «Transparent» a «Orange is the new black», sempre più serie tv si tingono dei colori dell’arcobaleno, simbolo dell’orgoglio gay. L’ultima in ordine di messa in onda è «Grace e Frankie» (targata Netflix, si vedrà in Italia a ottobre quando il servizio di streaming on demand approderà anche qui), tredici episodi creati da Howard J. Morris e Marta Kauffman (la produttrice che in coppia con David Crane diede vita a «Friends») che già dalla puntata numero uno puntano a catturare lo spettatore con un plot in cui ironia e comicità si intrecciano a temi «impegnati»: dall’apertura politica ai diritti civili della comunità Lgbt (acronimo di gay, lesbica, bisex, transgender) all’invisibilità, dall’emarginazione all’amicizia tra donne.
Interpretata da un cast all star — Jane Fonda (Grace), Lily Tomlin (Frankie), Martin Sheen (Robert) e Sam Waterston (Sol) — la serie segue le vicende delle protagoniste del titolo, due over 70 con personalità che più distanti tra loro non potrebbero essere: tanto snob e «leccata» la prima, quanto freak ed esuberante la seconda. A malapena si sopportano; ma quando i rispettivi coniugi, da vent’anni innamorati l’uno dell’altro e finalmente decisi a venire allo scoperto («perché ora possiamo sposarci») le scaricano, le due sono costrette a firmare una tregua armata, alleandosi per superare lo choc del coming out dei mariti e della fine dei loro matrimoni.
L’idea della serie, ha spiegato la Kauffman in un’intervista a Entertainment Weekly , è di «superare lo scandalo che ancora oggi suscita l’unione tra persone dello stesso sesso. Vorrei che il pubblico vedesse il rapporto tra Robert e Sol non come una relazione gay ma come una storia d’amore». Più che di «gayzzazione» della tv, la strada imboccata sembra piuttosto essere quella della «normalizzazione». Perché, per dirla con le parole di Shonda Rhimes («Grey’s Anatomy» e «Scandal»), forse la donna più potente della tv Usa, «nel 2015 gli amori tra persone dello stesso sesso non possono più essere considerati come “eccezionali”».
Ecco allora che in «Le regole del delitto perfetto» tra gli assistenti della protagonista Annalise Keating (Viola Davis), avvocato e docente universitario di diritto penale, spunta lo spregiudicato Connor Walsh (Jack Falahee), gay che non esita a usare la sessualità come mezzo per raggiungere i suoi scopi. In «Transparent», la web serie prodotta da Amazon che segue le vicende della famiglia Pfefferman dopo il coming out del capofamiglia Mort (Jeffrey Tambor, premiato con il Golden Globe 2015 come Miglior attore in una serie tv), si affronta il tema della transessualità. Jill Soloway, autrice e regista della fiction, ha raccontato di essersi ispirata per il personaggio di Mort a suo padre, che dopo anni ha rivelato di essere transgender.
E ancora: dopo il semaforo verde alla stagione numero due di «Looking», ambientata nella comunità gay di San Francisco (la prima ad aver fatto uso di dialoghi in cui si parla esplicitamente dei ruoli gay, attivo o passivo, infrangendo un severo tabù della tv Usa sia digitale che via cavo), si parla di un film tv sulle avventure dei tre amici Frank (Murray Burtnett), Agustìn (Frankie J. Alvarez) e Patrick (Jonathan Groff).
Si potrebbe continuare a lungo, citando tra gli episodi il coming out di Jamal (Jussie Smollett) in «Empire»; i fiori d’arancio tra il capo dello staff presidenziale Cyrus (Jeff Perry) e il giornalista James (Dan Bucatinsky) in «Scandal»; l’amore tormentato dietro le sbarre di un carcere federale tra Piper (Taylor Schilling) e Alex (Laura Prepon) in «Orange is the new black»; le scene di sesso gay e bisex di cui non lesina «Games of Thrones»; la struggente relazione tra il giovane Ian (Cameron Monaghan), affetto da disturbo bipolare, e il malavitoso Mickey (Noel Fisher) in «Shameless»; i pugni tirati sul ring del campionato di arti marziali miste su cui si sfidano i moderni gladiatori, dove trionfa il lottatore gay Nate (Nick Jonas) in «Kingdom».
Insomma, il messaggio è chiaro: ognuno ha il diritto di amare senza discriminazioni. E così come le serie tv, anche la Corte Suprema degli Stati Uniti sembra averlo capito con il «sì» ai matrimoni gay votato il 26 giugno scorso.
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