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Annalena Benini per "il Foglio"
Le due di notte e non dormire, "voglio morire", il desiderio di scomparire dentro il cuscino. Susan Cain, autrice di "Quiet, il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare" (in Italia è appena uscito per Bompiani, in America ha avuto molto successo), ha scritto che dieci anni fa fissava il soffitto con gli occhi gonfi di lacrime, e il marito, militare all'Onu, non riusciva a credere che fosse così spaventata, neanche si trovasse in Somalia durante un agguato. In fondo era solo la notte prima di un discorso in pubblico, su un palco, con un microfono in mano, davanti a gente per lo più annoiata.
"In Cina c'è un miliardo di persone a cui non importa un fico secco del tuo discorso", le disse per rasserenarla (Susan Cain doveva essere molto innamorata, perché non gli diede un calcio, non gli disse: ma cosa c'entra, cretino, io muoio di paura e tu parli di sovrappopolamento?).
Chi non è davvero introverso non può capire quanto si soffra, al pensiero di parlare in pubblico (Susan Cain ha spiegato che ci si può allenare, e che lei riesce a fingere serenità , ormai, avendo fatto self monitoring per riuscire a comportarsi come un estroverso, senza esserlo), e chi è fondamentalmente introverso ma rassegnato alla dittatura degli estroversi invece capisce quanto le è costato quel bel sorriso tranquillo sulla controcopertina del libro e la Ted Conference in cui, allegra e spigliata, racconta al mondo il valore e il talento dell'introversione, della tranquillità e del lavoro in solitudine, senza continui gruppi di lavoro, senza riunioni infinite in cui bisogna per forza dire una cosa brillante e convincente, catturare la platea, colpire l'attenzione, essere irresistibili, fare a botte a colpi di frasi a effetto.
"Non c'è nessuna correlazione tra essere il migliore conversatore e avere le idee migliori", è una delle frasi più consolanti mai sentite, per quelli che vorrebbero chiudersi dentro un armadio a leggere, o partire per il deserto, piuttosto che partecipare a un talk-show televisivo o a una cena di simpaticoni autopromozionali.
Anche: "Non c'è niente di male ad attraversare la strada per evitare una chiacchierata", è una liberazione morale (comprende anche il non rispondere al telefono), ma il confine tra introversione e maleducazione è labile, e bisogna essere sinceri con se stessi. E' vero che ci vuole coraggio a essere introversi: scrive Susan Cain che gli estroversi in questo momento storico considerano gli introversi come gli uomini hanno considerato le donne fino agli anni Sessanta: assoluto stato di subalternità .
E si preferisce, in buona fede, che i bambini vadano a scuola prestissimo, il motivo è: la socializzazione. Gli amici. Le relazioni sociali. A dodici mesi. Non c'è niente che preoccupi un genitore più di un figlio introverso, che preferisce stare per i fatti suoi invece di gettarsi fra la gente e diventare il capo dei Coniglietti, anni quattro. Susan Cain fa un lungo elenco galvanizzante di persone introverse che hanno mosso il mondo (Einstein, Darwin, Chopin, Van Gogh, Newton), anche se erano semplicemente dei geni, quindi era irrilevante che fossero estroversi.
Ma forse erano dei geni anche perché passavano molto tempo dentro la loro testa, invece che dentro autopromozioni. Una volta ho visto Altan ricevere un premio importante: il conduttore cercava di fargli dire qualche parola, gli chiedeva di pronunciare un'allocuzione, anche breve. Altan ha preso il microfono e ha detto: "Allocuzione", poi è tornato a sedersi.
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