DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Dal libro di Paolo Guzzanti "Senza più sognare il padre"
ALLA SCOPERTA DELLA BORGHESIA
Se ho rotto progressivamente dentro di me con la sinistra, la sua mentalità e il suo sistema di valori è perché vissi come una crisi in crescita l'inchiesta che mi affidò Eugenio Scalfari negli anni Ottanta sul primato della borghesia. Ogni estate «Repubblica» spediva in giro per il mondo un gruppo di inviati per deliziare i lettori sotto l'ombrellone. Quei servizi destinati alla lettura estiva duravano sei, sette e anche dieci puntate e ogni puntata riempiva una pagina, salvo lo spazio per le fotografie e i disegni dei grafici.
Così un anno battei il Mediterraneo sulle tracce dell'impero veneziano, un altro sulle tracce di Ulisse, partendo dalle mura di Troia (sempre immaginate come bastioni altissimi
e che invece erano poco più alte di un uomo). Troia è su territorio turco e mentre prendevo appunti sulle rovine, l'armata turca si esercitava ai tiri d'artiglieria che infiocchettavano la campagna, sollevando onde di terra sugli stessi luoghi dell'assedio.
Ricordo le rive dello Scamandro, dove Odisseo si svegliò nudo e stordito in mezzo alle ragazze che giocavano a palla e lo osservarono turbate, ridotto una fogna di plastica e detersivi. Per me quel reportage fu l'inizio di un profondo cambiamento nella mente e nella vita. Come tutti quelli di sinistra dei miei tempi provavo un profondo disprezzo per la borghesia.
Dare a qualcuno del borghese nella seconda metà degli anni Sessanta era offensivo, si diceva "borghese" con una particolare espressione di disgusto e superiorità . Venivamo dagli anni in cui avevamo celebrato la morte della borghesia, la morte della famiglia borghese, con Franco Basaglia persino la morte della psichiatria borghese (la malattia vista come repressione di classe).
Lo stesso disprezzo lo provavo per gli Stati Uniti, matrice stessa della borghesia, dei suoi vizi e miserie. Ed essendo i miei genitori il prototipo della media borghesia, erano per me - loro e i loro amici - fonte di permanente imbarazzo. Il ricordo recente della guerra
e del fascismo era stato fissato in un cliché secondo cui il fascismo stesso era stato l'espressione più pura della borghesia. Una poesia di Prévert riassumeva bene quella visione: «Le père fait des affaires, le fils fait la guerre».
Generazione dopo generazione. Qualche dubbio mi era venuto leggendo La saggezza dell'Occidente di Bertrand Russell, un grande filosofo di sinistra rampollo di una delle casate più illustri dell'aristocrazia britannica. Russell era ancora vivo quando io avevo superato i trent'anni e nella sua splendida autobiografia racconta di aver udito il suo bisnonno ricordare i tempi della Rivoluzione francese e di Napoleone.
Che un uomo dei miei tempi avesse tali ricordi mi eccitava perché dimostrava che i fatti non vivevano tutti e solo nei libri. Russell ricordava quanto il mondo dovesse alla borghesia intellettuale europea, perché gli intellettuali, salvo poche eccezioni, vengono dalla borghesia.
Scalfari mi disse: «Va' in libreria e compra il carteggio dei fratelli Verri. Leggi e poi parti. Prima tappa, Amsterdam. Vai al Rijksmuseum e fermati davanti alla Ronda di notte di Rembrandt». Il carteggio dei fratelli Pietro e Alessandro Verri era stato pubblicato da Adelphi. I due fratelli, oltre a dar vita al miglior centro intellettuale milanese e alla rivista letteraria «Il Caffè», avevano una bottega, una merceria o una tappezzeria, con elementi di antiquariato. Pietro viaggiava cercando sete, stecche di balena, passamanerie e ogni genere di elegante e costosa mercanzia.
Quando trovava merce interessante la comperava e la spediva in carrozza al fratello rimasto a servire i clienti e a convocare riunioni di intellettuali fra cui il Cesare Beccaria autore di Dei delitti e delle pene, Alessandro Manzoni e altri protagonisti della vita culturale milanese. Il carteggio è pettegolo, uno dei fratelli aveva una relazione con la moglie di Beccaria da loro accusato di plagio, con molti dettagli anche divertenti.
Alessandro cercava mercanzie visitando città e corti europee, in contatto con mercanti e intellettuali (ecco il punto di connessione: mercanti e intellettuali) e assisteva come un inviato speciale all'inizio della rivoluzione francese vista in piccoli quadri e chiacchiere di salotto dedicate al pettegolezzo, alle relazioni sessuali, alle fortune e le miserie improvvise.
Il suo viaggio a Londra l'ho sognato e rivissuto come un film. Ricordo la travolgente storia di un'impiccagione che sembra la riedizione dell'Apologia di Socrate. Un uomo è condotto al patibolo per aver emesso assegni a vuoto e altre truffe e non dubita che la pena sia giusta. Dunque, viaggia tranquillo sulla carretta che lo conduce nella radura dove lo attende il boia. Durante il tragitto due ali di folla lo salutano festosamente, i bambini gli lanciano palle di neve e lui risponde rilanciandole ai bambini, quindi sale i gradini e chiede di poter salutare il popolo venuto a festeggiare un atto di giustizia.
E dice che la legge è chiara e che dunque si accingeva a morire secondo giustizia, senza odio per nessuno. Ai bambini dice che bisogna saper scegliere fra la legge e la punizione per la legge violata. Riceve applausi e altre palle di neve. Quindi si lascia sistemare con pazienza e precipita nella botola scomparendo dalla vista e dalla vita. Un quadro laico e borghese di un rapporto civile fra potere e Paese reale. Si parla di denaro, di acquisti, di contabilità , di rivoluzioni e di paure, ma anche di profitti, tradimenti e passamanerie, corsetti e tappeti, idee illuministe e cambiali protestate.
LA MIA GINEVRA CALVINISTA.
La ronda di notte è un quadro borghese. La "ronda" è composta da bravi cittadini che portano lo schioppo e le insegne dell'autorità perché la loro vigilanza è simbolica.
Sono in compagnia di un cagnetto che li segue giocando. I tamburi, le spade, i vestiti preziosi, le poche armature lustre, parlano di un ordine ben pensante e ben pasciuto, elegante e sobrio. Dopo Amsterdam andai, o meglio tornai, a Ginevra sulle orme di Calvino.
Ginevra è stata uno dei luoghi della mia infanzia. Mio padre faceva parte della commissione italiana per i trasporti presso le Nazioni Unite e almeno una volta l'anno andavamo in quella città che è la più francese della Svizzera francese, tanto che era ancora Francia ai tempi di Jean Jacques Rousseau. Inoltre, poche città al mondo possono essere considerate così profondamente borghesi come Ginevra. Nostra madre portava me e mia sorella sul piccolo isolotto che porta il nome del filosofo illuminista, proprio alla foce del lago che torna a essere Rodano.
Lì, giocando con gli altri bambini, cominciai a imparare il francese. Il bello di quel posto era che sotto la statua di Jean Jacques Rousseau si radunavano migliaia di uccelli acquatici e, per me che avevo quella passione per il mondo dell'acqua e tutto ciò che nell'acqua vive e si riproduce, era il paradiso terrestre, anzi acquatico: anatre, cigni selvatici anche neri dal becco rosso, e una varietà innumerevole di volatili palustri e migratori che si presentavano tutti lì ad aspettare che gettassi il paniere di briciole che la sera riuscivo a raccattare nel curioso albergo dove alloggiavamo.
Questo albergo oggi scomparso si chiamava Grand Hotel des Familles e non era affatto un grand hotel, ma una sorta di pensioncina che sapeva di potages e patate, pesce e stracotti. I pavimenti erano di legno e gemevano giorno e notte. Nel centro della sala da pranzo trionfava un vecchio ma onesto pianoforte a coda sul quale ogni sera poggiava le mani un pianista cieco, un vecchio emigrante italiano che poi passava fra i tavoli col bastone e il piattino. Suonava in maniera furiosa, senz'anima, come una pianola col rullo perforato, uno strumento che oggi non si conosce più.
LA RIVOLUZIONE DEI BORGHESI
A Ginevra c'è un bel museo sulla trasformazione della città durante la rivoluzione calvinista. Prima della rivoluzione, Ginevra era una città di prostitute, ladri, giocatori d'azzardo e ogni sorta di imbroglioni. Semplificando molto, era una città meridionale e levantina, benché si trovasse ai piedi delle Alpi e con un'impronta cattolica decadente e immorale. Semplificando ancora di più, era una città mafiosa in cui né la morale né gli affari avevano il loro corso normale. Con Calvino, Ginevra ebbe il suo dittatore che usava il terrorismo religioso senza pietà e mandava a morte persino i bambini disobbedienti come criminali.
Non era meno terrorista di quanto lo saranno poi Robespierre in Francia e Lenin e Stalin in Russia. L'idea era che se vuoi ottenere un cambiamento rapido e definitivo nei comportamenti della gente, devi farli vivere nel terrore e nell'incertezza. Soltanto dopo aver raggiunto l'obiettivo si può permettere il ritorno alla normalità . Ero affascinato da quel che andavo scoprendo in qualità di inviato, così diverso dalle asettiche spiegazioni dei manuali di storia.
Ma ancora non eravamo alla borghesia moderna di cui Calvino è stato uno degli autori. Cominciai a trattare la questione della nascita della borghesia moderna come un caso poliziesco, una storia tutto sommato ancora da indagare. Intanto, mi resi conto che in Italia pochissimi hanno una vaga idea della differenza, dal punto di vista della vita civile, fra un Paese cattolico come l'Italia e uno protestante come l'Olanda o la Francia ugonotta, o l'Inghilterra. Questa presa di coscienza ha molto a che fare con quello che sono oggi. Divorai il famoso saggio di Max Weber L'Etica protestante e lo spirito del capitalismo, che del calvinismo ha illuminato le conseguenze economiche.
Iddio ha già deciso nella sua onniscienza chi salverà e chi no. Ha un suo criterio e noi non c'entriamo. Siamo predestinati, alla salvezza o alla dannazione. Ma se è vero che non sappiamo quale sorte ci è riservata, è anche vero che abbiamo un modo per scoprirlo. Questo modo riguarda la ricchezza. Dio manda un segnale a coloro che saranno salvi distinguendoli dai futuri dannati attraverso il denaro onestamente guadagnato. Chi diventa ricco grazie alla sua operosità , nel pieno rispetto di tutte le leggi e dei comandamenti morali e religiosi, avrà la prova di essere nato con il passaporto in tasca per il paradiso.
Se sono ricco, è perché Dio mi ama. Se sono povero, straccione, sventurato e vivo di stenti, è meglio che mi prepari ad affrontare l'eternità fra le fiamme. Le conseguenze sociali e politiche furono immediate fra i riformati calvinisti che si dettero al commercio, alle arti e professioni liberali, armarono vascelli, aprirono cantieri e mercati, facendo quattrini a palate e dimostrando a se stessi di avere l'eterno futuro assicurato.
Una delle conseguenze che in Italia sembra impensabile e malvagia, è che i poveri non vengono più visti come persone meritevoli di aiuto e di comprensione, i buoni per eccellenza, ma come individui chiamati a rispondere: per quale motivo sei povero? Perché non trovi lavoro? Che cosa c'è in te che non va? Nei Paesi cattolici il denaro resta ancora lo sterco del demonio. In quelli protestanti è una forma della presenza divina. In Italia chiunque sia ricco, onestamente ricco, è considerato comunque moralmente inferiore rispetto a chi vive nell'indigenza.
Negli anni Ottanta, durante un mio servizio in Francia, mi imbattei nella politica sociale di una ministra ugonotta che più o meno ragionava così: sei un barbone? Bene, io ti prendo, ti curo, rifocillo, lavo, vesto e ti presto anche una somma minima di denaro. Ma ti obbligo ad accettare una delle prime tre offerte di lavoro che riceverai, quale che sia e non avrai il diritto di rifiutarla. Questo modo di pensare, così nordico e così spoglio di retorica e di ipocrisia mi affascinò.
La mia identità "di sinistra" si sentì sfidata e cominciai a guardare il mondo occidentale
con occhi diversi. Non diventai "di destra" ma mi sentii liberato da tutto il ciarpame dei luoghi comuni di cui ero stato io stesso portatore urlante. Che senso ha lottare per la distribuzione della ricchezza, se prima non si dice che la ricchezza deve essere prodotta? E chi è che la produce? La produce una parte dell'umanità moderna che si dedica a produrre ricchezza e a farlo con piacere, persino con felicità .
Non si tratta soltanto e banalmente di denaro, ma della produzione anche dell'arte, della cultura, della ricerca scientifica, del progresso medico, del cinema, dei libri. Il valore di ciò che viene prodotto si esprime con uno strumento simbolico unitario fatto per rendere possibile lo scambio che si chiama denaro. Ma non è il denaro la fonte della ricchezza ben prodotta.
Nel corso di quel viaggio che mi portò a Parigi, Londra, Amsterdam si svelava ai miei occhi una visione del mondo e dei rapporti fra persone molto diversa da quella del cortile di casa. Cominciai ad avvertire, prima per via emotiva e poi intellettiva, la presenza di quegli oggetti di difficile definizione che chiamiamo "valori". Pensai allora e penso anche oggi che i valori siano comportamenti comuni, collettivi, nei quali la gente si riconosce, ti riconosce. Si potrebbe dire che anche le tradizioni, i dialetti, la cucina e le filastrocche permettono di riconoscersi.
Ma i valori mi apparivano in quei luoghi nella forma di comportamenti morali da cui derivano scelte coerenti con i principi comuni. La lezione di Immanuel Kant tornava a fare capolino: non importa quali siano le tue norme, ma fa' in modo che se fossero applicate da tutti, tutti ne trarrebbero lo stesso vantaggio.
E io vedevo i comportamenti dei protestanti esprimersi tenendo ben presente la legge persino da parte di chi la viola sapendo quel che fa, senza invocare attenuanti. Vedevo la supremazia della franchezza sull'accomodamento e la tendenza al perdono del mondo cattolico. Nei film di lingua inglese si trova spesso un'espressione: Give me a second chance, dammi una seconda opportunità , il massimo dell'implorazione che quel sistema dei valori consente a chi è colpevole.
E da noi? Quali sarebbero i valori comuni condivisi che passano attraverso il latte materno? Nel mio Paese ho visto l'intera comunità vibrare dalle Alpi alla Sicilia soltanto per i campionati del mondo o europei di calcio, quando la nostra squadra faceva faville e finché ha fatto faville. Hanno vibrato anche coloro che, come me, sono totalmente disinteressati al tifo calcistico, perché si provava la gioia del sentire comune. Ma stento a trovare qualcos'altro di comune e collettivo.
Per fortuna oggi non si possono più scatenare sanguinose rivoluzioni ideologiche, né rivoluzioni religiose come quelle calvinista e luterana, anche se affiora periodicamente questa voglia di "ammazza, ammazza", il sogno irrazionale di una folla armata di forconi che intercetta a Varennes il re in fuga dalle Tuileries.
La rivoluzione oggi passa per strade incruente, attraverso le macchine che hanno già modificato radicalmente la vita quotidiana come il frigorifero, la lavatrice e il telefono, ma passa ancor più attraverso le nuove macchine informatiche che diffondono un nuovo sistema di valori collettivi, di comportamenti universali, di regole non scritte.
Oggi i bambini del nuovo millennio, non importa dove siano nati, quando entrano in una casa che non conoscono, gentilmente chiedono: «Avete WiFi qui dentro? Posso avere la password?» E il nuovo sistema dei valori si muove dal momento in cui fai login e ti identifichi con un nome, vero o falso che sia.
PAOLO GUZZANTI AL BAGALINO PAOLO GUZZANTI Ritratto di Paolo Guzzanti da La StampaPaolo Guzzanti8b28 paolo guzzantiEUGENIO SCALFARI NEL 1996scalfari eugenio alessandro ManzoniGINEVRA ELKANN CESARE CUNACCIA LUISA BECCARIA PAOLO GUZZANTI SENZA PIU SOGNARE IL PADRE jpegROUSSEAU IL DOGANIERECARLO VERRIALESSANDRO VERRIPIETRO VERRI
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