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Maurizio Molinari per La Stampa
à battaglia al New York Times sull'eccessiva «passione politica» dei redattori. A sostenere questa tesi è Arthur Brisbane, garante dei lettori del quotidiano negli ultimi due anni, che nel suo articolo d'addio imputa ai colleghi di «condividere una sorta di progressismo culturale e politico che pervade l'intera struttura del giornale».
La tesi del Public Editor uscente è che l'approccio alle «posizioni liberal su temi come le nozze gay o le proteste di Occupy Wall Street» è tale da assomigliare «più alla militanza politica che non al lavoro di cronaca» che i reporter dovrebbero svolgere. Si tratta di accuse destinate a indebolire la credibilità del New York Times, avvalorando il sospetto di molti conservatori che il giornale sia fazioso su alcuni argomenti a prescindere dalla natura delle notizie.
La risposta arriva così da Jill Abramson, il direttore, che in un'intervista a The Politico, parla di «tesi grossolane, prive di validità ». «Nella nostra redazione siamo consapevoli che il giudizio che diamo su una singola vicenda non è necessariamente lo stesso di un'altra parte dell'America o del mondo», afferma Abramson, che si dice però contraria con le «conclusioni affrettate di Brisbane».
«Piuttosto condivido il giudizio di Dan Okrent», aggiunge Abramson, riferendosi al predecessore di Brisbane, secondo il quale il New York Times «riflette spesso le opinioni di uno zoccolo duro di lettori urbani e cosmopoliti» ma ciò non toglie la direzione di marcia generale che è quella di «mantenere la credibilità », come è dimostrato dalla presenza di commentatori conservatori nelle pagine dei commenti.
Brisbane non ritiene affatto di essere fazioso e ribatte a sua volta che «basta andarsi a leggere quanto viene scritto nelle pagine dei commenti» per accorgersi della parzialità dell'impostazione della «Gray Lady» del giornalismo americano, seppur a volte velata da opinioni di stampo diverso. Se le polemiche sull'orientamento del Times accompagnano spesso la cronaca politica negli Stati Uniti è la prima volta che un simile affondo arriva dagli stessi ranghi del quotidiano.
«Quando il Times si occupa di una campagna presidenziale - sostiene Brisbane - ho scoperto che i capiredattori e i redattori che la seguono spesso sono bilanciati ma in altri settori del giornale sono in così tanti a condividere il progressismo culturale e politico che è la loro visione del mondo che alla fine si impone su tutto il resto». Per Margaret Sullivan, che dalla prossima settimana sostituirà Brisbane, il compito non potrebbe essere più delicato.
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