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Enrico Franceschini per La Repubblica
Charlie lascia Elaine. Elaine, che di mestiere fa la giornalista, scrive una rubrica su un giornale intitolata "Bastardo", in cui racconta a puntate tutti gli orrori della sua vita matrimoniale con Charlie, sotto e sopra le lenzuola. Visto il successo della rubrica, il giornale gliene mette accanto un'altra, in cui è un uomo che spara a zero sulla sua ex-moglie.
La quale si chiama Helena e, a questo punto, va a cercare Charlie per trovare qualcuno che capisca come si sente. Sembra una commedia romantica, ma Nick Hornby, l'autore di questa storia, preferisce chiamarla "a not romantic comedy", una commedia a-romantica, sebbene gli ingredienti siano gli stessi: amore, ironia, disamore, nuovo amore.
Tutti mi danno del bastardo (pubblicato in Italia ai primi di settembre da Guanda) è un racconto dello scrittore di best-seller più popolare d'Inghilterra. Lo stile e i personaggi
ricordano le pagine di Febbre a 90, Alta fedeltà , Come diventare buoni, per citare qualcuno dei suoi titoli di successo.
Come sempre, ci sono il disincanto e la frustrazione, ma anche un filo di speranza che la vita, pur senza essere un letto di rose, offra lo stesso ragioni per sorridere e per continuare a innamorarsi.
Da dove ha preso l'idea per questa storia? Niente di autobiografico?
«Fortunatamente no. Ce l'avevo da qualche tempo, in pratica ogni volta che prendo in mano un giornale e leggo un articolo su un matrimonio finito fra due celebrità , con tutta la spazzatura della loro relazione rovesciata in piazza. Così ho pensato che sarebbe stato interessante vedere le cose da una prospettiva diversa da quella dei giornali, dalla prospettiva appunto di chi si vede rovesciare in testa un sacco di spazzatura e non può farci nulla».
La morale del libro, allora, è: non sposare un giornalista?
«Potrebbe essere quella, ma in senso più ampio è una critica alla cultura del gossip che pervade la nostra società . Non solo il gossip dei giornali, scandalistici o meno, ma pure dei libri, perché a quanto pare ogni persona con una minima dose di notorietà si sente intitolata a scrivere un libro sul suo matrimonio, rovistando tra le lenzuola possibilmente».
Ma non c'è bisogno di avere un giornale o pubblicare un libro per fare del gossip, oggi chiunque può rendere pubblico tutto quello che vuole su chiunque altro attraverso Facebook.
«Assolutamente sì. E infatti il mio racconto è una critica di questa pervasiva invasione della privacy, enormemente incoraggiata dai social network.
Oltretutto, poiché è noto che la stampa è in declino e cerca con ogni mezzo di arrestare l'emorragia di copie, deve alzare continuamente la posta nei confronti del web, Facebook e Twitter inclusi. Così il gossip diventa il facile terreno di sfida per richiamare l'attenzione dei lettori, e chi più ne ha, più ne metta».
Gossip a parte, a un certo punto il suo protagonista riflette che la vita non è il risultato di una serie di grandi scelte, bensì di tanti piccoli passi uno in fila all'altro, di cui capisci le conseguenze soltanto alla fine.
«Io la vedo così, ma la narrativa e il cinema d'oggi vanno nella direzione contraria, come se appunto la vita ci offrisse tante sliding doors, se giri a sinistra andrà in un modo, se giri a destra andrà nel modo opposto.
Grandi momenti per grandi scelte. Invece a mio parere per la maggior parte delle persone è tutto più banale, più incerto, più oscuro, fai una cosa, poi un'altra, magari ti cacci nei guai senza prevederlo oppure al contrario una certa mossa ti apre prospettive inedite, fortunate.
Non dico che siamo in mano al destino, anche la predeterminazione conta, ma esiste una casualità nell'esistenza che non bisogna trascurare. E, soprattutto, i grandi momenti drammatici accadono di rado nella vita reale».
La storia di Charlie ed Elaine è anche una riflessione sulla vita di coppia: le pare che oggi sia diventata più difficile, più complicata?
«Sicuramente. Ci sono più pressioni sui rapporti di coppia, in parte rappresentate di nuovo dai social network: vecchi amori sono ad appena un click di distanza, per non parlare della possibilità di nuovi amori, e questo comporta più tentazioni, c'è poco da fare.
Ma io vedo anche una difficoltà più ampia: la nostra società digitale ha una attention span sempre più corta, dobbiamo continuamente saltare da un canale all'altro, da un sito all'altro, da un email a un messaggino, da una sollecitazione alla successiva, e tutto deve essere breve, rapido, nuovo, altrimenti si ha l'impressione di annoiarsi.
Ciò vale per l'intrattenimento, per il tempo libero, per il lavoro, ma influisce anche sul modo in cui vediamo i rapporti di coppia. Farli durare a lungo, sempre con la stessa persona, sembra un'antitesi dell'era in cui viviamo».
A proposito, non è del tutto chiaro, alla fine del suo racconto, se la nuova coppia che si è formata resterà insieme.
«Mi pare improbabile, visto che si sono messi insieme come risultato di due fallimenti, ma chi può dirlo?».
A giudizio di qualche critico inglese dovrebbe dirlo l'autore, ad alcuni non è piaciuto il suo finale aperto.
«Ma è la formula del racconto breve, da Cecov in poi. Un testo in cui l'autore, se prolunga la sua presenza, può diventare invadente. La parola fine, in una short story, ce l'ha il lettore, con piena libertà di far proseguire la vicenda come meglio immagina».
à solo una coincidenza che il nome delle due protagoniste, Elaine ed Helena, sia così simile?
«Mi piaceva l'eco che suscitano i loro due nomi, tutto qui».
Questo libro, in Inghilterra, è uscito inizialmente come ebook. Quale è il suo giudizio sui libri digitali e i libri di carta?
«Gli ebook offrono opportunità che erano negate alla carta, come appunto quella di pubblicare un singolo racconto breve, come questo, senza bisogno di aspettare di averne scritti otto o nove per raccoglierli in un volume o di allungarlo sino a farne un romanzo o almeno un romanzo breve, se invece senti che la sua dimensione è quella del racconto».
E più in generale, preferisce lo schermo o la carta, per leggere un libro?
«Per ragioni anagrafiche, io appartengo alla vecchia scuola e per me non c'è niente come la carta. Mi pare che il libro di carta abbia numerosi vantaggi, hai una visione più netta dell'inizio e della fine, è maneggevole, non rischi di romperlo o scaricarne le batterie, puoi farci sopra tutti gli appunti e gli scarabocchi che vuoi, e poi insomma per me è un bellissimo oggetto.
Io del resto non ho un kindle, ho un iPad ma non lo uso per leggere libri o testi lunghi, e il motivo è duplice: da un lato sto già davanti a uno schermo molte ore, per scrivere, e non voglio starci anche per leggere; dall'altro l'iPad mi distrae, mi spinge a cercare altre cose, musica, informazioni, messaggi. Mentre se leggi un libro di carta, leggi un libro di carta, non puoi fare altro. Ma i miei figli sono abituati fin da piccoli a leggere solo su uno schermo e per la loro generazione è naturale leggere ebook».
E cosa ha letto recentemente, lei che è un lettore vorace?
«Un libro sulla musica rock americana, una delle mie passioni. E uno di Adam Phillips, un filosofo, si intitola Missing out e parla delle vite che potremmo avere vissuto ma che per qualche motivo non abbiamo realizzato. Come capita a molti di noi e pure al protagonista di "Tutti mi danno del bastardo", ora che ci penso».
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