RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Helmut Failoni per il Corriere della Sera
Una protesta silenziosa (si fa per dire), fatta di poche righe inviate a un quotidiano, ma che ha scatenato ulteriori polemiche sul caso del Premio Nobel per la Letteratura 2019 a Peter Handke (1942), a pochi giorni dalla consegna del riconoscimento martedì 10 a Stoccolma. Ieri lo scrittore e storico Peter Englund (1957), membro dell' Accademia svedese dal 2002 - dal 2009 al 2015 ne è stato segretario - ed ex inviato di guerra nei Balcani, ha mandato al quotidiano svedese «Dagens Nyheter» questo messaggio: «Non parteciperò alla settimana del Nobel (oggi il discorso di accettazione e il 10 il conferimento del premio, ndr ). Celebrare il Premio ad Handke da parte mia sarebbe pura ipocrisia».
La sua defezione va ad aggiungersi a quella di uno dei cinque membri della giuria esterna, che proprio per protestare contro il premio a Handke, se n' è andato sbattendo la porta: si tratta della scrittrice Gun-Britt Sundström (1945) che contesta l' autore, reo di essere stato filo serbo; con Sundström ha lasciato un altro giurato, il poeta Kristoffer Leandoer (1962), ma per motivi personali e non politici. Ma due su cinque, durante il primo anno del nuovo corso del Nobel per la Letteratura, fa pensare che qualcosa non funzioni nelle fondamenta dell' istituzione svedese, come suggerisce Matilda Gustavsson (1987), nel suo libro Il Club. Scandali, poteri e abusi al cuore del Nobel (Solferino), nato dall' inchiesta sugli abusi sessuali di Jean-Claude Arnault, pubblicata sul «Dagens Nyheter».
Inchiesta che ha poi bloccato l' assegnazione del Nobel per la Letteratura nel 2018 (per recuperare, con l' aggiunta della giuria di 5 esperti esterni, quest' anno è doppio: a Handke per il 2019 e alla polacca Olga Tokarczuk per il 2018).
Un piccolo passo indietro. È il 1996 quando, a ridosso della guerra nella ex Jugoslavia, lo scrittore austriaco pubblica Un viaggio d' inverno, ovvero giustizia per la Serbia (Einaudi) , che documenta il suo viaggio nel novembre 1995 a Belgrado e in Serbia (nel «Paese - scrive - di coloro che sono abitualmente definiti gli aggressori»), fino ai confini con la Bosnia.
Nel reportage-pamphlet lo scrittore (figlio di madre slovena) sostiene che la stampa tedesca e francese abbia criminalizzato i serbi. Il testo scatenò tantissime polemiche. Che si sono riaccese successivamente, nel 1999, quando lo scrittore aveva condannato i bombardamenti occidentali per costringere Slobodan Miloevic a ritirarsi dal Kosovo, regione a maggioranza albanese. Nel 2006 è poi andato ai funerali di Miloevic, morto prima che venisse pronunciato il verdetto che lo condannava per crimini di guerra davanti alla giustizia internazionale.
«Quello che colpisce - racconta Hugo Lindqvist del "Dagens Nyheter", che con le sue inchieste sul caso Nobel ha contribuito alla realizzazione del libro di Gustavsson - è che i membri dell' Accademia non fanno mai dichiarazioni così forti, come quella di Peter Englund. Si aggiunga il fatto poi che due degli esperti della giuria esterna se ne siano andati. Un membro dell' Accademia mi ha confessato che chiuderebbe la giuria esterna, visti i risultati». E aggiunge che «nei prossimi giorni ci saranno proteste per le vie di Stoccolma, soprattutto martedì 10, giorno della consegna dei premi. Ho partecipato poco fa (ieri, ndr ) alla conferenza stampa di Peter Handke e il clima era molto teso». Le domande erano infatti tutte sulle sue opinioni sulle guerre dell' ex Jugoslavia.
Si è infastidito al punto che ha concluso l' incontro dicendo che, dopo l' annuncio del premio, aveva ricevuto una lettera piena di carta igienica sporca. «Preferisco la carta igienica sporca e la lettera anonima rispetto al vuoto e all' ignoranza delle vostre domande». Ne ha respinta anche una su che cosa avrebbe potuto dire ai manifestanti.
Polemica anche per la vincitrice del 2018, la polacca Olga Tokarczuk (1962), che con il Premio ha infastidito i conservatori del suo Paese. «Appartengo - ha detto - alla generazione della caduta del Muro. Credevamo che con il crollo finisse anche l' intromissione della politica nella vita privata delle persone. Ci sbagliavamo». Sul caso Handke la scrittrice finora non si è espressa, ma la sua traduttrice Jennifer Croft ha tweettato che trova assurdo che Tokarczuk debba dividere il palco con un «apologeta del genocidio».
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