DAGOREPORT - CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL…
Federico Taddia per “la Stampa”
isis con bastone per il selfie
Chissà se il selfie di Francesco Totti, scattato nel derby contro la Lazio dopo aver segnato il secondo gol, basterebbe per portarsi a casa un bel «30 e lode»? Sì, perché per l’autoscatto, la moda dilagante che ha trasformato il modo di raccontare la nostra quotidianità per immagini, è arrivato il momento degli esami: sta infatti entrando a pieno titolo tra le materie di studio accademico.
Mentre la City Lit College di Londra annuncia in pompa magna l’avvio a marzo di un corso universitario su l’arte dell’autoritratto, nell’ateneo di Teramo si è da poco concluso «Memento Moi: il selfie come pratica del ritratto», un ciclo di lezioni nel corso di laurea in management e comunicazione d’impresa.
«Tutti si sono fatti un selfie almeno una volta, dal Papa a Obama: è una vera rivoluzione sociale – spiega la professoressa Raffaella Morselli, docente di Storia dell’Arte Moderna –. E’ alla portata di chiunque: quando dovevamo caricare la macchina, aspettare la posa per scattare e sviluppare la fotografia servivano pazienza e competenze. Anche l’autoritratto richiedeva abilità pittoriche e immaginative che il selfie ha totalmente annullato. Però c’è, ci può essere e si può cercare, un’estetica dell’autoscatto: la maggior parte della gente non si pone il problema e questa è la grande spazzatura che c’è dietro al fenomeno del selfie».
TOTTI SELFIEIL SELFIE AL BAGNO DEI VIP-2
Suggerimenti
E’ sufficiente navigare in rete per trovare centinaia di dritte finalizzate allo scatto perfetto. Come, per esempio, non porre mai il viso al centro ma sempre da una parte per lasciare spazio allo sfondo, posizionare l’obiettivo strategicamente in alto e non in basso per evitare il doppio mento, avere uno sguardo incisivo cercando di mantenere il volto leggermente girato di trequarti, spingersi dentro all’inquadratura almeno fino all’altezza delle clavicole.
Da vietare categoricamente poi gli occhiali da sole, sia all’aperto che al chiuso. «Gli errori producono l’eccellenza, quindi ben vengano. Le uniche regole che hanno senso sono quelle interne, personali, insite a ciò che si vuole rappresentare di se stessi – aggiunge la prof. Morselli – Il primo piano è sicuramente il centro dell’immagine, ma il cuore sta nel simbolo che ci lega al selfie: a quale visione, in quell’istante, ci stiamo associando.
selfie barbara d urso e pino daniele
Con i miei studenti, per esempio, stiamo sviluppando una mappa dell’Abruzzo per un progetto di marketing territoriale che indichi il “Io abito qui” attraverso l’autoritratto: i ragazzi devono trovare qualcosa che faccia dire ”Io sono io, ma sono anche quello che ho alle spalle”. Può essere un cane, la Chiesa del paese dove abitano, una strada: quello che conta è che la loro faccia sia legata ad un’icona. Questa è la forza del selfie».
Insieme al cantante preferito o al fianco della Gioconda, davanti ad un panorama strabiliante o nella desolazione del proprio ufficio, mentre si taglia la torta del matrimonio o un attimo prima di buttarsi con il bungee jumping: nel farsi un selfie e gridare al mondo virtuale «Io sono qua in questo momento» vale davvero tutto. La differenza la fanno la creatività, l’originalità e il tempismo.
Il prototipo
Ma in tutta questa varietà pare davvero inutile ambire al selfie ideale. «Per fortuna non esiste – conclude la professoressa Morselli – Esiste lo sperimentare, che ci tieni vivi e attivi intellettualmente. Basti pensare a Las Meninas di Diego Velázquez del 1656, che è il prototipo del selfie: l’infanta di Spagna che viene vestita e Velázquez che sta dipingendo un quadro che noi non vediamo, ma si riflette dentro a uno specchio sullo sfondo. Questo sì che è un progetto sofisticato e parliamo di 400 anni fa! Noi non abbiamo inventato nulla sull’autoritratto: se non la possibilità di condividerlo».
2. CRISTINA NUÑEZ: “È UN ANTIDOTO ALLA SOLITUDINE DI QUESTI TEMPI”
F.Tad. per “la Stampa”
«Il selfie per sua natura è pensato per essere diffuso e condiviso, quindi l’immagine viene filtrata a seconda di come vogliamo definirci: l’autoritratto invece è qualcosa di intimo, di non controllato, che fa parlare l’inconscio». E’ questa la sostanziale differenza evidenziata da Cristina Nuñez, artista spagnola che dal 1988 usa l’autoscatto come esperienza di scoperta e cambiamento, portando in tutto il mondo il suo metodo denominato «The self-portrait experience».
Perché sentiamo il bisogno di farci i selfie?
«E’ un atto che risponde all’esigenza di affermare la propria esistenza e la propria presenza, soprattutto in questi tempi di massima solitudine: quel click significa “Io esisto e mi faccio vedere”. Il selfie è immediato, è rapido e veloce nello scatto, è qualcosa da mostrare subito e che definisce l’immagine pubblica che si vuole esporre: le foto che non piacciono vengono infatti eliminate all’istante perché non assomigliano all’idea di sé che si vuole far circolare».
selfie barbara d urso e maurizio costanzo
L’autoritratto invece va oltre a tutto questo?
«Sì, nel mio metodo l’autoscatto è un dialogo tra sé e sé, è un dialogo personale, un viaggio interiore: nel volto vado a leggere la forza libera e creativa dell’inconscio. Conosco e riconosce quello che mi piace e che non mi piace di me. Senza cestinare nulla».
Quindi tu consigli di non cancellare i selfie che non piacciono?
«Assolutamente! Se non mi riconosco in quello che vedo forse il mio inconscio mi sta comunicando qualcosa. Riguardare in profondità i selfie che si rifiutano permette di andare oltre la prima impressione: osservando con attenzione si riescono a carpire i sentimenti, a cogliere le emozioni espresse, a rivivere quel momento. Più si guarda quell’immagine e più la si accetta. La percezione di sé diventa così più completa, sincera e consapevole».
[F. TAD.]
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