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DAGOREPORT - LA DUCETTA SUI TRUMP-OLI! OGGI ARRIVA IN ITALIA IL MITICO PAOLO ZAMPOLLI, L’INVIATO…
Malcom Pagani per "il Fatto quotidiano"
Promettono, comprano e vendono. Giurano, spergiurano e peccano. Vivono in un porto franco perenne, in un'isola di eterna adolescenza e giocano con i miliardi come se il Monòpoli fosse la realtà e il monopolio un diritto. Presidenti di calcio che usano il pallone per arrivare altrove e sventolano biglietti da visita davanti ai quali si apre ogni porta. Guardano alla politica e ricevono ascolto.
Altre volte la interpretano in prima persona trasformando per sempre il Paese e il suo indotto pseudofilosofico edificato su corna, insulti, esoneri e scaramanzia. Rilasciano interviste megalomani senza apparente imbarazzo. Fanno giri di campo e alzano le braccia al cielo. Poi, dietro la scrivania, sognano altre onorificenze, altre piscine in cui nuotare. Le vittorie rappresentano un trampolino, i proclami un salvagente e le sconfitte la dimostrazione divina di un complotto. Gianfrancesco Turano, giornalista dell'Espresso, scrittore e attaccante di risulta con rarefatta confidenza con il gol, nutre per il calcio una passione senza indulgenza.
Ne studia i macrofenomeni economici e le piccole storie ignobili. Ara le notizie minori e ne setaccia il senso per restituirlo oltre le formule rassicuranti. Persino ovvio che da un panorama emulativo, in cui i Benito Fornaciari e i Borgorosso Football club non sono l'eccezione ma la regola, nascesse un libro in bilico tra l'inchiesta e il trattato antropologico. "Fuorigioco" (Chiarelettere, 273 pg, euro 14,50) è la foto della nostra Serie A con vista sulle segrete stanze. Di Benedetto, Lotito, Della Valle, Moratti, Zamparini, Pozzo, il De Laurentiis innamorato del "Bingo" e gli altri latifondisti di un territorio in decadenza, persuasi di essere cigni bellissimi per dimostrare impressioni e autoscatti forse troppo benevoli.
1 - DIEGO DELLA VALLE
L'EQUIVOCO E LA MANIA PER L'ARTE
Con il ritratto di Kennedy sulla parete della sua azienda, e l'ironico astio dei toscani nella tasca "Andremo in B con ai piedi un paio di Tod's", il marchigiano Diego Della Valle da Casette D'Ete alla geografia preferì la smania di grandezza. Così lasciò l'Ancona ai suoi tormenti e acquistò la Fiorentina. Le cose non andarono come preventivato perché Della Valle, già annoiato consigliere dell'Inter di Moratti nel '95, preferisce spendere per il restauro del Colosseo o per il Polo museale fiorentino e all'orizzonte, in luogo dei Batistuta acquistati dal suo predecessore Cecchi Gori, brillano svendite e cessioni.
Diego non ne può più, ma, sfortunatamente, nessuno vuole rilevarne la creatura acquistata già agonizzante e per un piatto di lenticchie. In Curva Fiesole non si va in doppio petto e l'aria è meno lieve di certi consigli d'amministrazioni frequentati con gli amici Abete e Montezemolo. Della Valle è vittima di un equivoco, di un matrimonio forzato, di una sbandata senza correzione. Dall'alto guarda un'estranea in maglia viola perché disse un suo collega: "Nel calcio si entra in cinque minuti e poi non si esce più".
2 - THOMAS DI BENEDETTO
L'UOMO CHE PARLAVA POCHISSIMO
L'uomo di cui non si sa nulla ha grandi anelli alle dita, ricchezze nascoste, povertà regresse e viaggia in economica. Thomas il bostoniano ha la biografia misteriosa e considera il silenzio un valore. Dalle ricostruzioni emerge che nell'età acerba giocò (col fisico pingue e le birre nel dopo-gara) a Basket e Football americano e una volta appese al muro ambizioni e ginocchiere, esplorò con profitto altri confini. In ottimi rapporti con la Cia, Di Benedetto frequentava l'Urss quando per gli occidentali ogni cortina a Est sapeva di ferro e guerra fredda e lavorava per la Jefferson Waterman International: "Una ditta che fornisce al governo federale, a governi stranieri e alle multinazionali rappresentanza e consulenza sia politica sia strategica».
In certi contesti, specie africani, la pietà è un lusso da silenziare in omaggio agli affari. Quelli di Thomas "the president" sbarcato a Roma per far sognare a stelle, strisce e nuovi Totti da plasmare a zero euro sembrano andare piuttosto bene. I tifosi dubitavano. Per alcuni non esisteva, per altri era un nome inventato, per i dietrologi un laziale mascherato. Per ora, nonostante un derby perso, Di Benedetto li ha smentiti. C'è sempre una partita di ritorno. Un progetto all'orizzonte. Anche se i soldi, magari, non sono proprio tutti suoi.
3 - CLAUDIO LOTITO
IO SONO (E SEMPRE SARÃ) LA LEGGE
Inciampa nell'aggiotaggio, ma non si piega perché tutto ha un prezzo e una scadenza. Quella di Claudio Lotito, il presidente a lunga conservazione, si perde nella nebbia delle promesse. Un nuovo stadio all'orizzonte e un antico modo di raffrontarsi alla controparte: i calciatori. Per Lotito moralizzare significa ristabilire i ruoli. Decurtare gli stipendi, mettere in quarantena gli ammutinati, farli allenare a parte, inscenare siparietti con i tifosi (almeno con quelli che non lo insultano) e recuperare (non prima che si siano cosparsi il capo di cenere e solo se davvero si dia il caso) i reprobi.
Perché nella cosmogonia di Lotito è Claudio stesso a incarnare la giustizia divina. E se gli danno torto (come nel caso Pandev, con Lotito condannato a pagargli 160.000 euro dopo una lunga e forzata inattività ) Claudio-faccio tutto io-preferisce l'attitudine da popolano a quella del signore. Deve pagare? Pagherà . Non prima però di aver decurtato dalla cifra due magliette e quattro biglietti omaggio dati a Pandev per una partita di Coppa Italia. A casa Lotito, c'è una sola tavola della Legge. La sua.
4 - ENRICO PREZIOSI
"TUTTO MERITO DI BERLUSCONI" IPSE DIXIT
Magazziniere, scaricatore, agente di commercio, impiegato. Poi presidente con la valigia, o con la valigetta. Sempre piena di denaro perché le partite durano sempre più di novanta minuti ed Enrico Preziosi, avellinese migrato in Brianza a metà dei '70, ha saputo come accumularlo. Commercia in giocattoli, Preziosi, come da azienda omonima e si è regalato il soprammobile più bello, la presidenza del Genoa, dopo aver girovagato da Saronno a Como. Non sempre è andata bene e sul manzoniano "ramo del lago" Il "Prez", a dire il vero, lasciò lacrime e bancarotte.
Dei 23 mesi di condanna penale in primo grado e dei cinque anni di squalifica sportiva non rimangono che flebili memorie. Il futuro è oggi almeno da quando Preziosi ebbe l'intuizione di una vita. Commercializzare creature di plastica alte tre centimetri, i Gormiti, in grado di fargli scalare l'Everest del guadagno. Preziosi, inquietante somiglianza con il Joker di Robinson, è tra i più ricchi Batman appollaiati sul calcio italiano. Venti miliardi di ricavi nel 1986, diventati 430 nove anni dopo. Tutto o quasi, giura Preziosi, "per merito di Berlusconi". L'amico di una vita, il modello unico per una generazione che faticava a compilare un 740.
5 - MAURIZIO ZAMPARINI
L'EMIGRANTE CHE COMBATTE EQUITALIA
Dei problemi con la giustizia Maurizio Zamparini, romanamente, se ne frega. Il rinvio a giudizio, come il giudizio collettivo è solo una parte del tutto. Così Zampa compra e vende, esonera e caccia (decine di allenatori, 38 amministratori delegati delle sue aziende), straparla, emigra e assume, al ritmo compulsivo di un ex povero a disagio nella nuova dimensione. La nuova frontiera è la politica dove Zampa sogna di entrare per far la guerra ad Equitalia, meglio se munito di forcone.
La vecchia il pallone. In entrambe le zone, alla stregua dei ragazzini che portavano via il pallone alla prima contrarietà , decide lui. L'impresa è sua e Zamparini ci fa quel che più gli pare e piace. Amante dell'esoterismo, Zampa ogni tanto emigra. Da Palermo all'Egitto, dove per far felice la seconda moglie Laura Giordani, convinta di poter entrare in agevole contatto con l'occulto, Zampa ha comprato una casa. In fondo, Zamparini è un pezzo di preistoria. Più vicino ai cupi vaticini e ai tavoli a tre zampe della moglie dell'interista Fraizzoli e alle zampe di gallina di Liedholm che al futuro. In fondo non esiste nulla di più superato della modernità .
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