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“La mia opinione su Dario Fo e i suoi lavori è talmente negativa che mi rifiuto di parlarne. Fo è una specie di peste del teatro italiano”. Ma chi è dare un parere tanto negativo sul Premio Nobel? Qualche benpensante come Giovanardi? Quell’irriverente di Feltri? Il Vecchio Sgarbone? No, nessuno dei soliti noti. Si tratta di una icona della sinistra: Pierpaolo Pasolini.
“La mia opinione su Dario Fo e i suoi lavori è talmente negativa che mi rifiuto di parlarne. Fo è una specie di peste del teatro italiano”. Ma chi è dare un parere tanto negativo sul Premio Nobel? Qualche benpensante come Giovanardi? Quell’irriverente del Vittorioso Feltri? Il polemico Vecchio Sgarbone? No, nessuno dei soliti noti. Si tratta di una icona della sinistra, uno che il Nobel se lo sarebbe meritato ben più di Fo, un poeta di quelli che, disse Moravia, “ne nascono uno al secolo”. Sì, Lui: Pierpaolo Pasolini.
Nel novembre del ’73, dopo l’arresto di Fo a Sassari, Pasolini fu intervistato da “Panorama” è il parere sul commediante non fu a dir poco lusinghiero.
“L’Italia è un paese che diventa sempre più stupido e ignorante – scrisse Pasolini - … Non c’è del resto conformismo peggiore di quello di sinistra: soprattutto naturalmente quando viene fatto proprio anche dalla destra”. Conformismo che, appunto, è quello che crea consenso intorno a Dario Fo.
Siamo ancora lì, scrive Pasolini, il nuovo teatro non convince, la neoavanguardia è “feccia”, “Quanto all’ex repubblichino Dario Fo, non si può immaginare niente di più brutto dei suoi testi scritti. Della sua audiovisività e dei suoi mille spettatori non può evidentemente importarmene nulla. Tutto il resto, Strehler, Ronconi, Visconti è puro rotocalco”.
Invidia? Chi lo sa! Di certo, vent’anni dopo tutti questi sarebbero diventate le icone intoccabili della sinistra, proprio come Pasolini e 24 anni dopo gli accademici di Stoccolma avrebbero pure conferito il Nobel all’autore di testi tanto brutti.
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