patti smith

A PATTI CON LA VITA – SUL “VENERDÌ DI REPUBBLICA”, IMPERDIBILE INTERVISTA A PATTI SMITH IN OCCASIONE DELLA PUBBLICAZIONE DELLA SUA STRUGGENTE AUTOBIOGRAFIA, ‘’IL PANE DEGLI ANGELI (MEMOIR)’’ - DOMANDA DOPO DOMANDA, LA VITA DI PATTI S’INTRECCIA CON LA VITA DELL’INTERVISTATORE, GIUSEPPE VIDETTI: ESPLODONO 50 ANNI DI SOGNI, PASSIONI, FOLLIE – ACCADDE IL 10 SETTEMBRE 1979 A FIRENZE: “NON AVEVO MAI CANTATO PER 80MILA PERSONE. LA MATTINA DEL CONCERTO VIDI RAGAZZI ACCAMPATI PER STRADA. CHIESI PERCHÉ FOSSERO LÌ. MI RISPOSERO: SONO QUI PER TE. LA MIA FILOSOFIA, QUELLA SERA, FU: BE WHAT YOU ARE!, ANDATE AVANTI CON LE VOSTRE VITE, CHE VOGLIATE ESSERE DOTTORI, AVVOCATI, SCIENZIATI, CASALINGHE O ARTISTI. IO ANDRÒ AVANTI CON LA MIA. NON VOLEVO ESSERE IDOLATRATA, SOLO INCORAGGIATA. A FIRENZE FU UN CASINO, MA FU FANTASTICO!” - VIDEO  

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A PATTI CON LA VITA 

Giuseppe Videtti per “il Venerdì di Repubblica” 

 

patti smith copertina il venerdi di repubblica

Londra 1978, è notte fonda, diluvia. Lo spettacolo è finito, l'album Easter, il suo quarto, pronto per essere pubblicato. Because the Night, scritta con Bruce Springsteen, si avvia a diventare il primo successo commerciale della poetessa punk, finalmente un hit anche negli Usa. 

 

Dopo il trionfo, che in Europa l'ha travolta fin dall'esordio, Horses (1975), quando i long playing erano merce pregiata, Patti Smith scivola fuori dalla porta riservata agli artisti, frastornata e sudata. Non c'è la solita limousine ad aspettarla, nessuno ad accoglierla con un ombrello, se ne sta lì come una qualsiasi, come una fan, come una dello staff. Urla e strepita, pretende di sapere chi è il responsabile, e com'è possibile che l'abbiano dimenticata sotto la pioggia. È al colmo dell'isteria, fradicia. 

 

«Non mi piacevo, cominciavo a sentirmi una privilegiata. Non ero cresciuta a quel modo, non era quel che mi avevano insegnato. Mio padre non possedeva neanche un'automobile, tanto eravamo poveri», mi racconta Patti, 78 anni, il giorno dopo il suo ultimo recente concerto romano. 

patti smith con giuseppe videtti nel 1978

 

Nella voce la stessa urgenza della scrittura, quella di Just Kids e di molti libri di poesia; e quella de Il pane degli angeli (Memoir), che Bompiani Overlook ha pubblicato il 4 novembre. Non un giorno a caso, non ce ne sono nel suo calendario: è la data di nascita di Robert Mapplethorpe (1946-1989) e la data di morte del marito Fred Smith (1948-1994) – già, lui e Patti avevano lo stesso cognome. 

 

Il pane degli angeli è urgente anche per noi, pretende di essere letto d'un fiato: un diario intimo, un romanzo, un thriller e, nelle ultime pagine, una poetica dissertazione filosofica colma di speranza, fede e amore per la libertà. È, a un tempo, prequel e sequel di quel bruciante capolavoro, Just Kids (2010), che raccontava le prime avventure newyorkesi con l'inseparabile sodale, il fotografo Mapplethorpe. 

 

I giorni dell'abbandono  

«Quella sera a Londra ebbi un attacco di rabbia del genere "lei non sa chi sono io!". Mi guardai dal di fuori: Che sto facendo? Chi sono? Cosa sono diventata? Pretendo una limousine perché ho fatto un concerto? 

 

patti smith con giuseppe videtti oggi

Cazzo, è solo un lavoro! Cominciai a riflettere: non ho studiato, non ne ho avuto i mezzi né il tempo, ho più di trent'anni, l'età giusta per cominciare una nuova vita – scrivere, leggere, studiare, ma anche fare lavori domestici, occuparmi della famiglia e dei bambini. Soprattutto evolvermi, diventare una persona migliore», ricorda ripensando a quei giorni in cui maturò la decisione di abbandonare le scene dopo quattro album che oggi consideriamo mitici, se non sacri. 

 

Ha la voce di allora, i capelli di allora, diventati bianchi, lo stesso look CBGB, gli stessi anfibi. La passione, la febbre, lo struggimento: «C'era un dolore in fondo al cuore per certe cose a cui avrei dovuto rinunciare: mi piaceva lavorare con mio fratello Todd, viaggiare, ma dall'altra parte c'era l'amore e anche altri due deterrenti: avevo un problema bronchiale complicato dalle troppe esibizioni in locali pieni di fumo (sto più in salute ora, a quasi ottant'anni!) e come artista ero sovresposta: troppe pressioni, radio, tv, stampa, concerti, prove, dischi.  

 

Non avevo più tempo per me stessa e per riflettere sulla mia condizione. Il mio futuro marito (Fred "Sonic" Smith, chitarrista dei mitici MC5 di Detroit, uno dei gruppi protopunk più influenti, insieme a Velvet Underground e Stooges, ndr) aveva un'indole persino più politica della mia, molto compassionevole, un vero figlio degli anni Sessanta. Fu un sacrificio? Io non l'ho mai rimpianto.  

 

patti smith con robert mapplethorpe

Alla fine, la cosa più difficile e dolorosa fu allontanarmi dalla famiglia e dagli amici. E mia madre! Lei adorava i riflettori. Andava pazza per Hollywood e le star del cinema, ai miei concerti aveva conosciuto Robert De Niro, Richard Gere, Meg Ryan; le piaceva rispondere alle lettere dei fan, cosa che ha fatto senza sosta fino al 1978. Per lei la mia decisione fu durissima da accettare». 

 

C'erano stati altri segnali, altre premonizioni, la sua vita ne è piena, fin da bambina. Il 23 gennaio 1977, a Tampa, in Florida, la band suona come spalla di Bob Seger: mentre canta Ain't it Strange ("God, make a move!", Dio, dacci un segno!) ruzzola giù dal palco e si rompe una vertebra.  

 

Le scrissi una lettera, turbato e travolto da Horses, che in Italia era reperibile solo d'importazione. Inaspettatamente arriva la risposta, per posta aerea, una letterina azzurra con la foto di Radio Ethiopia che recita, "Fight the Good Fight" (Combatti la giusta lotta).

 

Spedita da New York, è scritta a mano, calligrafia inconfondibile, la stessa con cui sono vergate le note sulla busta interna dell'LP. È datata 24 gennaio 1977, il giorno dopo la caduta: dunque era in ospedale, con un collare che l'avrebbe sostenuta per molti altri mesi. 

PATTI SMITH CONCERTO FIRENZE 1979 - 2

 

Troppa devozione  

«Devi avermi scritto qualcosa di fulminante», mi dice oggi, «diversamente non avrei risposto, dolorante com'ero». 

 

Non ricordo, sono passati quasi cinquant'anni. Avevo comprato quel vinile senza neppure sapere chi fosse l'autrice – allora le notizie circolavano lentamente: la foto di copertina, che urlava forte, era di Robert Mapplethorpe; il produttore era John Cale (Velvet Underground) – sufficienti come garanzia.  

 

E infatti Horses fu la Nuova Costituzione del rock & roll, pronunciata da un'eroina più fiera e tenace e pugnace della Liberté di Delacroix. Ci saremmo poi incontrati mesi dopo, quando l'Italia cominciava a venerarla, e lei fu ospite di una trasmissione, Radiodue Ventunoeventinove, che conducevo dalla sede Rai di Via Asiago con Marialaura Giulietti. Poi i concerti di Bologna e Firenze: settembre 1979.  

 

Noi pensavamo, per vanità, di esserle indispensabili, lei si sentì… divorata. Da troppa devozione e da tutte quelle ragazze che le consegnavano la loro vita, e in qualche caso anche quella dei compagni in carcere – in quegli anni di piombo. Fu un altro "che cosa sono diventata"? «Non ero preparata, e non ero stata avvertita. Non avevo mai cantato per 30mila persone come accadde a Bologna. E a Firenze ce n'erano 80mila. 

 

La mattina del concerto vidi ragazzi accampati per strada. Chiesi perché fossero lì. Mi risposero: sono qui per te, per il concerto di stasera. 

patti smith all auditorium parco della musica 15 settembre 2025

 

Non mi è più capitato di avere 80mila persone sotto il palco. Col senno di poi: che bel modo di finire una carriera! La mia filosofia, quella sera, fu: Be what you are!, andate avanti con le vostre vite, che vogliate essere dottori, avvocati, scienziati, casalinghe o artisti – io andrò avanti con la mia. Non volevo essere idolatrata, solo incoraggiata. A Firenze fu un casino, ma fu fantastico!». 

 

Dopo l'uscita di Wave, in quel furibondo 1979, ne persi le tracce fino al 1996 (a parte Dream of Life, una sortita col marito, fugace e sommessa, 1988)– e non ci saremmo rivisti fino all'uscita di Twelve (2007), nella casa a due piani del West Village.  

 

PATTI SMITH

Era mattina e sua figlia Jesse dormiva in un sacco a pelo nel soggiorno in penombra (mi fa piacere che il derviscio in ceramica che comprai a Konya e che le regalai sia ancora in quella stanza di poesia, al primo piano, dove parlammo di Neil Young e Kurt Cobain – sulla scrivania ingombra di fogli scribacchiati a mano, poesie, appunti, didascalie). 

 

Il pane degli angeli racconta l'addio alle scene e la scoperta dell'amore – dal momento in cui incontrasti Fred capisti che non ci sarebbe stato nessun altro. 

 «Ci sentivamo al telefono, ci scrivevamo lettere dall'epoca di Tampa. Lo avevo già scelto. Venne a trovarmi a New York, era aprile, indossavo ancora il collare ortopedico. Radio Ethiopia non mi incoraggiò a desistere: il disco fu un insuccesso totale negli Usa. L'Europa mi ha sempre compresa di più; non sono mai stata trattata come un'artista di serie B perché faccio R&R. L'America stenta a riconoscermi lo status di scrittrice. Mi considerano una cantante rock con aspirazioni letterarie, una che scrive anche poesie». 

 

Non eri una cantante facile da gestire. Niente compromessi. Ti dissero: faremo di te la nuova Cher, e li mandasti a cagare. Il produttore dei Doors, Paul Rothchild, si presentò vestito di tutto punto e propose il suo piano: «Ho fatto di Jim Morrison una star, farò lo stesso con te»; ti alzasti e lo mollasti lì borbottando: «Magari Jim Morrison si è fatto da solo: era un poeta!». 

PATTI SMITH CONCERTO FIRENZE 1979

«Non c'è niente di male a essere un cantante pop e a voler diventare ricco e famoso. Il mio è semplicemente un altro codice. Sul mio palco non accadono eventi spettacolari, né cambi d'abito né schermi ad alta risoluzione, il concerto è una cosa tra me e la gente: siete timidi? ok, lo sono anch'io; siete scatenati? mi scateno con voi». 

 

Dunque, cambio di rotta: vai a vivere con Fred alla periferia di Detroit, in una casa comprata col mutuo, senza entrate fisse né assicurazione medica, e due figli che sarebbero arrivati in fretta. Non si parlò mai, con Fred, di continuare la carriera insieme? Dopotutto aveva militato in un gruppo rock. 

PATTI SMITH FIRENZE 1979

«Non era un'opzione. Ne aveva viste di tutti i colori, aveva iniziato a suonare a 15 anni, conosciuto droghe e celebrità, mille problemi politici – con l'Fbi che non gli dava tregua. Non sarebbe mai tornato nell'occhio del ciclone. Fu una decisione inappellabile. E, dopotutto, non ho avuto Fred per tanto tempo, solo sedici anni – ne aveva appena compiuti 45 quando è morto. Non rimpiango neanche un attimo della mia vita di moglie, madre e casalinga». 

 

Quanto è stato laborioso scrivere un'altra autobiografia, stavolta assai più intima, dopo Just Kids? 

«Sette-otto anni di lavoro. Nella prima stesura l'avevo pensato come un memoir dedicato a mio padre. Poi, in corso d'opera, ho scoperto – alla bella età di 70 anni! – che in realtà lui non era il mio padre biologico. Ci ho messo due anni per superare lo sconcerto. Non potevo far finta di nulla, anche se, a quel punto, metà del libro era stata scritta. Ero confusa.

 

Dovrei riscriverlo daccapo? pensai. Oppure concatenare i fatti in un racconto organico, come sono avvenuti? È quel che ho fatto, ma i tempi sono stati lunghissimi. Innanzitutto, dovevo scoprire chi fosse il mio padre biologico. Magari la mia indagine avrebbe rivelato che molte delle cose che avevo scritto nella prima parte del libro non erano vere.  

PATTI SMITH CONCERTO

 

Adoravo mio padre – quello che mi aveva cresciuto – era il mio idolo e un esempio per me. Avevo bisogno di tempo prima di capire che ero stata fortunata ad avere due papà: fisicamente, assomiglio al padre che mi ha concepita, ma intellettualmente mi sono formata con il padre che mi ha cresciuta. Ho sempre saputo di essere diversa, strana… la gente faceva allusioni perché non assomigliavo agli altri fratelli – più alta, con una personalità completamente diversa – né tantomeno ai miei genitori.  

 

Ma ero così infatuata di mio padre che non ci facevo caso. Come ha poi rimarcato mia sorella: "Molte delle cose che amo di te non appartengono alla nostra famiglia". Quindi appartengono a lui? Chi lo sa! È morto quando ero adolescente.  

 

casa di infanzia di patti smith

Tutto questo ha inevitabilmente allungato i tempi della scrittura di Il pane degli angeli; mi sono fermata, ho continuato a vivere nel presente e a scrivere un diario, che poi è la parte del libro che meglio rivela la mia essenza, quella "gobba ribelle" che spesso ricorre nel racconto – e che sono io.  

 

Cos'è la gobba ribelle? La mia immaginazione, i doni che Dio mi ha concesso, la mia vocazione di artista. Certo, sono mia madre, sono mio padre, sono il mio padre biologico, sono tutte le persone che mi hanno influenzata. Ma, soprattutto, sono me stessa». 

 

C'è una ragione specifica per la quale quel giorno decidesti di chiamare tua sorella e fare il test del dna? 

«Era stata mia madre a mettermi la pulce nell'orecchio. Prima di morire mi aveva detto al telefono qualcosa a mezza bocca; purtroppo non feci in tempo a chiarire la questione di persona, ebbe una brutta caduta e non fu più la stessa. 

 

Sapevo anche che c'era una chiacchiera in famiglia: si diceva che fossi figlia dello zio Joe, un vedovo che mia madre aveva accudito prima del matrimonio; c'era anche una foto in cui assomiglio come una goccia d'acqua al figlio di mio zio.  

patti smith by lynn goldsmith 4

 

Dunque, nel dubbio, perché non indagare? In realtà scegliemmo il test sbagliato: mandammo una provetta con il sangue, e la risposta fu che eravamo sorellastre; nessuna informazione aggiuntiva. Fu comunque triste, perché mia sorella ed io siamo molto legate…non che fossi arrabbiata o che… solo un po' triste. 

 

Soprattutto per la certezza di non avere lo stesso sangue di un padre che ammiravo così tanto…ma questa è anche una vanità…voglio essere sua consanguinea perché lui è un figo?! Io ho letteralmente modellato la mia vita sul suo esempio; le mille domande che si poneva, la sua voracità di lettore: filosofia, scienze, arte, poesia, storia». 

 

E il secondo test, quello salivare? 

«Lo facemmo per scherzo, con leggerezza. Per sapere se avessi origini inglesi, irlandesi, gallesi o celtiche. Passò del tempo prima che arrivasse la risposta, e fu un altro choc, informazioni difficili da credere. Hanno fatto un errore? 

 

patti smith con i fratelli nel 1951

A quel punto facemmo un terzo test, quello cosiddetto forense, che mandammo in Svizzera. Anche quello richiese del tempo. Era il giorno del mio settantesimo compleanno ed ero a Chicago, la mia città natale. Poiché avevo deciso che mi sarei ritirata presto (ah ah ah, buona questa!) avevo invitato un po' di gente a far festa: Michael Stipe, i miei figli, la figlia di mio fratello Todd… Il test arrivò via mail quella mattina. Non è facile leggere quei risultati, ma fu sufficiente il riassunto al lato per lasciarmi sbalordita: origini ebraiche, bielorusse e ucraine, della zona di Kiev. 

 

Ero sola nella mia stanza: la prima cosa che feci fu chiamare i miei figli, perché la cosa, per un quarto, riguardava anche loro. La mia è una famiglia di larghe vedute, non fu un problema per nessuno, eravamo solo un po' tristi perché tutti, e dico tutti, amavamo quello che io ho sempre considerato il mio vero padre, con quella faccia scolpita da centurione.  

 

Mia figlia, che è quella che più assomiglia alle foto del mio padre biologico (nel libro c'è uno dei tre ritratti del bel soldato Sidney, faticosamente trovati in rete da Patti; la foto fu scattata nella base dell'aeronautica di Bari, dov'era di stanza la quindicesima Air Force statunitense: «Ho rivisto me giovane nella sua posa, nel suo sguardo insolente», ndr) ha gli occhi marroni. 

patti smith il pane degli angeli

 

Pensavo fosse un ricordo ancestrale – probabilmente li ha presi da suo nonno, perché io li ho blu, e anche mio marito li aveva blu». 

 

Dunque, i tuoi figli – Jesse che oggi ha 38 anni e Jackson 43 – la presero bene. 

«Sono ragazzi positivi, anche se hanno sofferto moltissimo per la perdita del padre in tenera età – un dolore incancellabile. In verità Fred è ancora con noi, lo ricordiamo ogni giorno: questo gli piacerebbe, questo film lo odierebbe, non si sarebbe mai esposto sui social, questa era la pastasciutta preferita eccetera eccetera. Risento mio marito negli assoli di chitarra di Jackson. 

 

E Jesse, che era piccola quando Fred morì, ha dei modi e una gestualità che sono tutti suo padre. Li ha presi da lui o dal Fred che è rimasto in me?». 

 

Hai ricordi incredibilmente vividi della tua prima infanzia. Tenevi un diario da bambina? 

patti smith by lynn goldsmith 3

«No, le mie due sorelle e mio fratello sono stati il mio diario. Siamo nati dopo la Seconda guerra, eravamo quasi coetanei. I nostri genitori erano proletari, lavoravano entrambi e io, la maggiore, ero la loro tata. Ho incominciato a leggere molto presto, tra i tre e i quattro anni; sono stata precocemente rapita dalle favole e dalla necessità di raccontarle.  

 

Mia madre aveva un'abilità incredibile di narratrice, e noi tre abbiamo sempre romanzato sulle storie delle nostre vite. Ci piaceva… ricordare: la prima volta che andammo al cinema, quando il nostro cane fu schiacciato da un'automobile… ogni volta i fatti si arricchivano di nuovi dettagli. Mio fratello, fu il primo a cui venne l'idea di scrivere un'autobiografia». 

 

Che magnifica persona Todd, dolce, tenero, affidabile… Formidabile la sua reazione davanti ai vostri genitori, quando annunciasti alla famiglia di essere incinta e di voler lasciare casa. Lui, per alleggerire la tensione, disse: «E io mi vesto da donna, guardate nell'armadio se non ci credete!». 

«Era bello anche fisicamente. Gentile, leale, e sfortunato: ebbe una polmonite, subito dopo la nascita, che gli lasciò un difetto cardiaco di cui nessuno era a conoscenza. Nessuno si aspettava la sua morte, esattamente un mese dopo aver perso Fred. Stavo vendendo la casa di Detroit, col proposito di portare i ragazzi da lui in Virginia, mentre io avrei cercato di riorganizzare la carriera per far fronte alle prime necessità. 

 

patti smith con fred sonic smith

Vedi, mio marito era fisicamente fragile, ma Todd era pieno di vita, energico, nessuno si aspettava di perderlo a 42 anni. Rivelare il suo segreto fu un gesto inaudito: all'epoca rimanere incinta era una cosa piuttosto comune, ma confessare di avere un alter ego femminile (era vestito da Rachael quando ebbe quel malore fatale), pur non avendo tendenze omosessuali, era qualcosa di complicato, inaudito. Quanto mi manca!». 

 

Hai cominciato ad avere visioni e premonizioni nei frequenti stati febbrili della tua infanzia. Dal tuo racconto, sembrano quasi stati di grazia che ti avrebbero condotta chissà dove. 

«Erano i mondi che avevo conosciuto leggendo le favole, ma è anche vero che lottavo per sopravvivere a quelle malattie pericolosissime per un bambino. 

 

Considera che da poco era stata commercializzata la penicillina, e a volte i medici erano scettici, considerato il mio quadro clinico. Ho cominciato ad analizzare quelle visioni durante gli episodi febbrili quando ho conosciuto William Burroughs, che aveva avuto patologie simili, come la scarlattina.  

 

Lì, all'inizio della mia carriera, ho cominciato a ripensare a quegli "stati di grazia", come li hai chiamati tu, e a connetterli alle mie poesie e canzoni». 

 

patti smith fotografata da lynn goldsmith 10

Fu l'inizio degli "altrove", molto frequenti nelle tue poesie/prose/brani… (scoppia a ridere) 

«Io vivo "altrove" la maggior parte del tempo. La mia povera madre cercava disperatamente di riportarmi sulla terra. Mi diceva: Patricia, lava i piatti! poi usciva a fare altre faccende, e quando rientrava io stavo ancora sciacquando lo stesso piatto. La domanda era sempre: cosa fai?  

 

Oppure, dove sei? E la risposta era sempre: niente, da nessuna parte. Ora posso dirti dov'ero. In posti bellissimi. Quando mio padre mi portò al museo, a Philadelphia, ero bell'e pronta a lasciarmi andare fissando Picasso – papà era molto più attratto da Salvador Dalí. 

 

Non riesco a spiegare cosa provai guardando quei quadri cubisti. Per me avevano perfettamente senso, perché ero istintivamente consapevole che tutti noi abbiamo molte dimensioni. Non avevo le parole per definirlo, avevo solo 12 anni, ma ero chimicamente consapevole che quei dipinti stessero parlando ai diversi strati della mia coscienza». 

 

Quando scopristi di essere incinta e abbandonasti la famiglia, avevi già un presentimento del tuo destino? Per questo decidesti di dare la bimba in adozione? 

patti smith nel 2014 a parigi

«Non direi, era il 1967, avevo vent'anni. Volevo fare l'artista, la pittrice forse. Ma non avevo denaro per mantenere una famiglia o pagarmi una scuola d'arte. Nel frattempo, scrivevo poesie e avevo già delle conoscenze a Manhattan. Non pensavo di fare rock, non suonavo nessuno strumento né avevo il talento di una cantante.  

 

Nei due anni in cui ho vissuto con Robert Mapplethorpe, la mia attenzione era focalizzata sulle arti visive. Cominciai a scrivere poesie sistematicamente nel 1971; furono Robert, Burroughs, Sam Shepard e Bob Neuwirth a incoraggiarmi. New York era il paese delle meraviglie per una con le mie aspirazioni, nei posti dove avevo abitato non c'erano biblioteche e neanche librerie, a meno di viaggiare in bus fino a Filadelfia.  

 

patti smith fotografata da lynn goldsmith 3

Non avevo neanche mai assistito a un reading di poesia, prima di arrivare a New York. Mi resi subito conto che i reading potevano essere terribilmente noiosi e io avevo un sacco di energia, per questo mi sembrò naturale esprimerla attraverso il canto e l'accompagnamento di una chitarra.  

 

Non avevo altro vocabolario che quello dei miei idoli, Jimi Hendrix, Bob Dylan, Jim Morrison, e i maestri del free jazz, John Coltrane, Ornette Coleman, Albert Ayler. Poesia e improvvisazione musicale intorno a tre note, queste sono le radici di Horses. New York era accogliente, economica e piena di giovani con aspirazioni diverse dal lavoro d'ufficio, gay che non erano stati accettati dalle famiglie – la mia gente, insomma, quelli per i quali mi esibivo nei locali e nelle librerie». 

 

Credi che Fred sapesse in cuor suo che un giorno ci avrebbe restituito una Patti Smith migliore di quella che ci aveva lasciato per amarlo?  

patti smith fotografata da lynn goldsmith 1

«Verso la fine, mi disse: un giorno ci sarai anche tu nella Rock & Roll Hall of Fame. Gli risposi che non m'importava, che non ero così famosa. E lui: ci sarai, perché sei stata la prima a fare certe cose, se ne accorgeranno un giorno.

 

Non voglio, ribattei. Ma lui: devi accettarlo, e devi farlo per la gente che è stata toccata dalla tua musica, rivoluzionari e non. Quando mi misero nella Hall of Fame, nel 2007, parlai con Fred e con mia madre – lui era morto nel 1994, lei nel 2002». 

 

Hai cantato What a Wonderful World al memorial per Fred.  

«Sì, a cappella. A lui piaceva tanto, a me per niente. Mi aveva detto: un giorno la canterai. E andò così». 

 

Nell'universo di Patti Smith, a cinquant'anni da Horses (l'edizione ampliata dell'album, con inediti, è uscita il mese scorso), nulla è cambiato. Di premonizioni e coincidenze sono ancora piene le sue giornate (Horses nacque il 10 novembre 1975, il giorno in cui, nel 1891, era morto Rimbaud).  

 

patti smith fotografata da lynn goldsmith 4

A Roma, il 15 settembre scorso, mentre cantava Masters of War di Dylan (si parla anche di lui nel libro), le agenzie battevano la notizia dell'attacco dell'Idf su Gaza evacuata (il suo impegno a favore della Palestina e dell'Ucraina, e la sua avversione all'attuale amministrazione Usa, sono documentati quotidianamente su Instagram).  

 

«Ecco perché ho detto che è una canzone molto importante, lo era sessant'anni fa, ma forse oggi ancora di più. Fu scritta durante il Vietnam. Spezza il cuore ricantarla, i giovani soldati di cui parla potrebbero essere ucraini o russi, qualsiasi giovane vita messa a rischio da questi conflitti.  

 

Rischiare la vita per cosa? Ideologia? Credo? La conquista di qualche chilometro quadrato di terra?».

 

Il successo non l'ha domata, non è una signora. Non si tinge i capelli. Non fa la messa in piega. Non si trucca. Non veste firmato (gli abiti di Ann Demeulemeester che spesso indossa li ha ispirati lei).  

 

patti smith fotografata da lynn goldsmith 5

Non si depila le ascelle (non riuscirono a convincerla neanche per la foto di copertina di Easter).

 

Non dimentica gli amici che ha perduto (Mapplethorpe, Sam Shepard, Tom Verlaine, Ginsberg, Burroughs, Gregory Corso, Susan Sontag), parla coi parenti scomparsi come fossero ancora vivi (Fred, mamma, papà, Toddy, Sidney, il padre che non ha mai conosciuto), visita le tombe degli idoli (Rimbaud, Jean Genet, Apollinaire, James Joyce, Camus, Jim Morrison, Oshima) e celebra con quelli che le sono rimasti (Jackson, Jesse, Lenny Kaye, Lynn Goldsmith, Annie Leibovitz, Michael Stipe, Johnny Depp, Oliver Ray).

 

Sì, canta Gloria con la stessa potenza e prepotenza di allora. 

E sì, sputa ancora sul palco. 

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