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Stefano Rizzato per "La Stampa"
Chiamatelo come volete. Un briciolo di follia, una scintilla, fuoco sacro. Per essere davvero grandi, per costruire un successo che sfugge all’anonimato, forse, serve anche questo. Serve avere qualche rotella fuori posto. E trasformarlo in qualcosa di positivo, invece che in una fonte di tormento interiore e – nel caso estremo – di guai con la legge.
Tutto sta nell’accarezzare, ma non superare, il confine tra solida fiducia in se stessi e incurabile megalomania, tra determinazione e assenza di scrupoli, tra un minimo di asocialità e odio aperto nei confronti del prossimo. A suggerirlo, in un libro uscito da poco in Inghilterra, è Kevin Dutton, psicologo e ricercatore all’Università di Oxford.
Il titolo non potrebbe essere più esplicito: «The Good Psychopath’s Guide to Success». Tradotto, suona così: «Guida al successo del buon psicopatico». La tesi di fondo è che in ognuno di noi c’è il germe della pazzia, qualche stilla di Hannibal Lecter nascosta tra i neuroni. Il segreto per il successo è coltivarla e sfruttarla a nostro vantaggio, invece che reprimerla sul nascere.
Carisma, coraggio, assenza di scrupoli, capacità di osservazione e concentrazione superiori alla media. Sono queste alcune delle caratteristiche che Dutton considera tipiche degli psicopatici. Soprattutto, sono le stesse che indica come decisive per varcare il confine tra l’anonimato e l’eccellenza. «L’assenza di scrupoli e di empatia è negativa solo quando diventa violenza, quando si trasforma in un comportamento anti-sociale - spiega lo psicologo - ma la verità è che non tutti gli psicopatici sono violenti e che un certo grado di psicosi può segnare la differenza tra una persona che suona il piano e un pianista da concerto, tra chi gioca a tennis e Roger Federer».
Qualcuno volo? sul nido del cuculo
Non è il primo libro che il ricercatore inglese scrive sullo stesso argomento. Già nel 2012 Dutton aveva suggerito – nel titolo del suo libro – che esistesse una «saggezza degli psicopatici». Era il frutto di un intenso lavoro quasi a livello statistico, partito nel 2011 con numerosi test attitudinali online. Dutton ha sottoposto decine di suoi compatrioti ai classici e codificati test sulla personalità, quelli usati da decenni per capire se un soggetto va classificato come psicopatico oppure no. È così che ha fatto qualche interessante, e forse inquietante, scoperta.
Ad avere una certa inclinazione alla follia sembrano essere proprio quelli che comandano, i manager di successo, capaci di arrivare in alto – a quanto pare – grazie a una mente fuori dal normale. Seguono poi gli avvocati e, al terzo posto, chi lavora in tv o in radio. Quarta posizione per i venditori e quinta niente meno che per i chirurghi. Proprio quelli che più ci aspetteremmo e vorremmo dotati di calma ed equilibrio impossibili da scalfire.
Al sesto posto Dutton mette invece i giornalisti, ma qui – ehm – il professore s’è sicuramente sbagliato. Succede. «Di base – spiega lo studioso – la differenza tra uno psicopatico buono e uno cattivo è nel rapporto che ha con le altre persone, con il suo contesto sociale e con la società in generale.
Chi è attento alle conseguenze delle proprie azioni sugli altri e sa essere flessibile nell’adattarsi alla società può rendere il proprio lato psicopatico un talento e non un problema. È come premere i tasti di un pianoforte. Di fatto, si tratta di toccare quelli per rafforzare la fiducia in se stessi, la freddezza nei momenti di stress, la concentrazione. E invece di lasciar perdere e temperare l’assenza di scrupoli e l’impulsività».
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