DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
Aldo Fontanarosa per “la Repubblica”
Berlusconi che vende il Milan a mister Bee. Che tratta una fusione Sky-Premium con Murdoch. E capitola di fronte alla opa di Vivendi su Mediaset. Le cronache prefigurano una vera e propria smobilitazione dell’ex Cavaliere dai settori industriali di una vita. Uno scenario che Urbano Cairo, l’editore de La 7 e della Cairo Communication, da Palermo dove segue il suo Torino considera poco credibile.
«In queste settimane – dice abbiamo letto dell’offerta di Mediaset per le torri tv della Rai, attraverso Ei Towers, e del proposito di comprare i libri Rizzoli. Questi sono segnali di vitalità industriale».
Eppure ci sono province dell’Impero Mediaset in crisi.
«Non metto volentieri il naso nelle aziende degli altri. Noto però che Mediaset ha un power index molto, molto alto. Mi spiego: oggi loro hanno una quota della pubblicità superiore del 76% alla quota degli ascolti. Sono valori che, ne sono convinto, hanno innescato serie riflessioni all’interno di quel gruppo».
Ora che l’offerta Mediaset su RaiWay tramonta, la tv di Stato valuta un’alleanza con Telecom Italia e Abertis Wind per le antenne di trasmissione.
«L’Opas su RaiWay aveva un senso in termini di efficienza, di riduzione di costi, di aumento della marginalità. Ma un’azienda comune dovrebbe essere una public company , per tutelare tutti gli operatori del settore».
La 7 perdeva quasi 100 milioni l’anno quando lei l’ha comprata. E le va dato atto di non aver licenziato nessuno. Eppure proprio oggi i tecnici e gli impiegati delle sue tv incrociano le braccia.
«Quando ho preso La7, sarebbe stato facile andare al ministero e chiedere l’apertura dello stato di crisi. Licenziare, ricorrere alla cassa integrazione, ai prepensionamenti. Qualche editore lo ha fatto, io invece no. Uno sforzo che non è stato del tutto capito».
Però adesso la sua azienda televisiva è risanata. Perché non riconoscere ai tecnici e agli impiegati un premio di risultato, un integrativo?
«Abbiamo azzerato le perdite, ma non siamo ancora usciti dal tunnel. La situazione è tutta da consolidare. Noi vogliamo confermare o migliorare i nostri ascolti per avere un’adeguata raccolta pubblicitaria. Investiremo e dunque sosterremo nuovi costi. Ma la ripresa dell’economia resta debole e intanto conserviamo una forza lavoro, a La7, ridondante nei numeri».
Ridondante?
«Il costo del lavoro incide per il 30% sul fatturato quando Mediaset è ferma al 17. Eppure qualcuno chiede quanto oggi non può avere, invece di gioire per le certezze che già ha».
I tetti pubblicitari della Rai sono fissati dall’Europa. Ma è possibile che il governo o la maggioranza scrivano le norme per dare a Viale Mazzini qualche margine in più nella raccolta degli spot.
«Questo scenario non deve preoccupare soltanto gli editori televisivi, ma anche quelli della carta stampata, dei nuovi media digitali e della radio. Dare più pubblicità alla tv di Stato - che ha già in cassa più di un miliardo 600 milioni di canone e più di 600 milioni di spot - sarebbe una seria minaccia al pluralismo. Giornali che sono sopravvissuti a sette lunghi anni di crisi sarebbero in imminente pericolo di vita. Ricordiamoci poi delle colpe industriali della tv di Stato nella raccolta pubblicitaria».
Quali colpe?
«In questi anni Viale Mazzini ha venduto gli spazi pubblicitari a un costo bassissimo, deprimendo a cascata anche le tariffe praticate da noi concorrenti della tv commerciale, e di tutta la stampa. L’effetto è che il costo contatto, da noi, è ormai la metà che in Germania o nel Regno Unito. Tutto questo peggiorerebbe se la Rai disponesse di più spazi da vendere».
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