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Malcom Pagani per il "Fatto quotidiano"
Ogni tanto, disubbidendo ai medici, al buon senso e a un certo modo di non sembrare, Marco Giusti si dedica a una delle delizie dell'esistenza. E mangia, quasi sempre di fretta, molto spesso male, con l'occhio clinico sul piatto e lo sguardo periferico sul mondo che gli naviga intorno.
Baleniere e pirati, di preferenza truci, perché a forza di cacciare si finisce per diventare prede. Giusti lo sa. Un po' se ne stupisce, non poco se ne compiace e con teatrale stupore, nel giorno della battaglia pensa a sé: "Ma ti rendi conto? Dopo l'articolo quello non mi saluta più".
Allora chi gli vuole bene spolvera le amnèsie e salmodia l'elenco dell'eterogenea teoria di maestri rasi - non senza durezze a volte estreme - al suolo. Un alfabeto senza armistizi, in permanente opposizione a quella che il pastore maremmano definisce con trattenuto orgasmo e studiata espressione dolente: "Critica parruccona".
L'errare anarchico di Giusti qualche conto l'ha presentato. Lui se ne cruccia il giusto. Senza paradosso non si diverte. Senza provocazione si annoia. Per qualcuno è un eretico. Per altri uno stronzo. Per altri il verbo. Puoi non essere d'accordo con la sua analisi - cà pita - ma leggi sempre fino in fondo.
Ha qualche amico, molti nemici, un debole per loser e reietti, la paternità di Blob, Stracult e di "Bella ciao", un gran documentario sul G8, una passione per le retroguardie zozzone e pauperiste, una nostalgia di stampo vagamente comunista, una moglie spiritosa conosciuta all'epoca in cui divideva opinioni via via sempre meno militanti con Giovanni Buttafava, una memoria impressionante coltivata ai tempi in cui cineforum, "dibbatiti" e discussioni avevano reale , rispettata cittadinanza. Isbn, con attitudine non esclusivamente compilatoria, manda in libreria "Vedo... l'ammazzo e torno" (480 pg, 16 euro).
Due anni di fotografie sul cinema e sul suo microcosmo mascherate da recensioni. Centinaia di chilometri tra le Cannes degli alberghi divorati dagli acari e le proiezioni romane riannodate in fili sentimentali, divagazioni, frasi, sorprese e delusioni. Una volta riemerso dal buio di una sala, con un Blackberry in mano, nel budello di un bus, Giusti trascrive impressioni e giudizi che messi in rete danno vita al Western. L'idea di una rubrica biblica, "il cinema dei Giusti" venne a Roberto D'Agostino.
Di più rapida fruizione rispetto ai fiumi di carta navigati per decenni tra Manifesto e L'Espresso e ovviamente, di spietata, immediata efficacia. à nell'eterna adolescenza del "colpisco e scappo via" e nell'attitudine dissacratoria che trasforma l'esistenza in una perpetua zingarata che Giusti sosta.
Per dimenticare che le stagioni della vita - persino quelle che nelle vacanze di Vanzina recitano da esorcismi: "E anche âsto Natale se lo semo levati dalle palle"- passano e impolverano nella memoria. Anni fa, con felice tocco icastico, davanti a una sala d'essai, qualcuno vergò una riflessione che alla cosmogonìa di Giusti, ammiratore del W la foca di Laurenti non meno che di Griffith, rendeva imperituro omaggio. "Abbas Kiarostami/ W la fica". Non l'aveva scritta lui, ma valeva come epigrafe, autoscatto, sintesi di un'immersione senza pregiudizi.
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