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Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
C’è un solo personaggio cui oggi è consentito fare una tv che più trash non si può e spacciarla per «laboratorio antropologico e culturale». Si chiama Paolo Bonolis. Interessante capire il perché, se ci riusciamo. È tornato «Ciao Darwin», settima edizione. È tornato con il suo carico di porno soft, di sfilate di tette e chiappe, di volgarità a buon mercato, di esibizioni di mostri da fiera paesana. Le categorie in concorso erano «normali» contro «diversi» (Canale 5, venerdì, 21.30).
Nella finzione, il campionario dei concorrenti appariva molto vasto: i «normali» dovevano sembrare poco perspicaci (chi più, chi meno), salvati dalla saggezza di Orietta Berti, mentre ai «diversi» era concessa maggiore libertà interpretativa: trans o roba del (di) genere. Come funziona questo tipo di tv? Il presupposto fondamentale è che bisogna avere un’alta concezione di se stessi (la superiorità antropologica, aridaje!) da esercitare con un disprezzo ben mascherato nei confronti di concorrenti e pubblico. Che poi questa presunta superiorità consista nell’avere fra gli autori Federico Moccia o nel prendere per i fondelli Luca Laurenti (esercita la funzione vicaria dell’audience), la dice lunga sulla sua consistenza.
PUPO E PAOLO BONOLIS A SCHERZI A PARTE
Bonolis è un vero cinico e con lucidità lavora rappresentandosi un target immaturo (tanto per usare un aggettivo innocuo), fatalmente in declino, incapace di immaginare un futuro. Un pubblico boccalone che si sorprende del linguaggio finto colto del conduttore («è palindromo, è palindromo», «il liquido seminale», «una contrapposizione antinomica») e si fa incantare da frasi tanto più ridicole quanto più pretenziose. Bonolis può permettersi tutto: di umiliare i concorrenti, di scendere negli abissi della trivialità, di fingersi erudito, di gestire un laboratorio antropologico. Perché? Mi sono fatto questa idea: quando uno parla troppo (Bonolis è il re dei prolissi) significa che alla smodatezza di parole corrisponde povertà di idee.
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