
DAGOREPORT - DELIRIO DI RUMORS E DI COLPI DI SCENA PER LA CONQUISTA DEL LEONE D’ORO DI GENERALI –…
1- CARO CARLO AMICO LONTANO ABBIAMO UN DESTINO COMUNE...
Guido Ceronetti per "la Repubblica" (Nel settembre scorso Guido Ceronetti ha scritto per il nostro giornale una lettera a Fruttero. Ne ripubblichiamo una parte.)
Caro Carlo,
Ho condiviso con te la sventura di essere in Italia uno scrittore infettato di umorismo e dalla vena ironica nei giudizi, e nello stile. Uno dei tuoi libri più a me cari, con grande approvazione, è "La prevalenza del cretino", un saggio di vendetta necessario, un lampo nelle tenebre, un questa terra d'esilio. Troppi pochi davvero, i nostri incontri, troppo scarsi anche gli scambi di lettere affidate ad autentico francobollo, busta lacerabile. E intanto il Tempo ci sgranocchiava come il povero Cappuccetto Rosso; né, peccato e rammarico, ci ha condotti a conversari del Terzo Tipo la vicinanza toscana. Deludenti non sarebbero stati. Le vie dell'amicizia sono infinite. Un saluto.
2- 1973 UN CORSIVO DI F&L FA INFURIARE IL COLONNELLO - da La Stampa
Il 6 dicembre 1973, sulla terza pagina della Stampa , nell'Agenda di F&L, la rubrica in cui i due scrittori ironizzavano sull'attualità , esce «Pare che...», un corsivo che prevede i possibili italiani gossip su Gheddafi. Il colonnello era all'epoca non solo nel pieno del suo potere (era capo del governo di Tripoli dal 1969), ma partecipava anche al capitale della Fiat.
Il corsivo di F&L non gli fu gradito e chiese a Giovanni Agnelli di licenziare il direttore Arrigo Levi e di troncare ogni forma di collaborazione con i due autori dell'articolo, minacciando il boicottaggio degli autoveicoli Fiat in tutti i Paesi mediorientali. L'avvocato Agnelli non cedette al ricatto, né rimproverò i due scrittori. Solo anni dopo disse loro che gli erano costati cari. Ripubblichiamo un ampio stralcio di quel corsivo.
Carlo Fruttero & Franco Lucentini
La conferenza stampa concessa giorni or sono dal colonnello Gheddafi a duecento giornalisti occidentali, a Parigi, non ci sembra abbia avuto dai commentatori specializzati e dal pubblico in genere l'attenzione che meritava. I giornalisti - raccontano le cronache - erano irritatissimi perché, convocati per le 18, dovettero aspettare Gheddafi in mezzo alla strada fino a mezzanotte, ora in cui si sentirono dire che l'incontro era rimandato all'indomani mattina. Un dettaglio da nulla, che il lettore, se pure lo nota, associa macchinalmente a quei tumultuosi gruppi di fotoreporter in maniche di camicia che aspettano Elizabeth Taylor all'aeroporto. Sono pagati per questo, no?
Ma i giornalisti in attesa di Gheddafi erano di tutt'altra specie, illustri economisti e orientalisti, filosofi e uomini politici, autorevoli columnist; di grandi giornali d'informazione. La scena è dunque molto diversa e penosa: questi signori fermi per ore e ore sul boulevard, in gran parte attempati e vestiti di blu, con guanti e ombrello, non sono abituati a ricevere un simile trattamento da un capo di Stato straniero. (...)Più che «irritatissimi» è dunque probabile che si siano sentiti «umiliatissimi». E i meno giovani di loro, anche spaventatissimi. Ecco che ci risiamo, si saranno detti con un brivido, ricordando altri capi di Stato che in tempi ancora vicini non stavano al gioco delle buone maniere.
Poco importa che la «forza» di Gheddafi e degli altri capi arabi sia indiretta, relativa, provenga dal petrolio e dalla protezione della Russia. Come la Commedia dell'Arte, la Storia improvvisa nei particolari, ma si attiene a pochi, ferrei meccanismi, sempre uguali, per quanto riguarda l'essenziale. E alla conferenza stampa di Parigi, gli elementi inamovibili del dramma c'erano tutti. Da una parte i frivoli damerini, dall'altra il prepotente col bastone.
Da una parte i cortesi, viziati, sofisticati, cavillosi e impotenti figli e nipoti della democrazia europea, dall'altra un dittatore misticheggiante che tiene il coltello per il manico e dimostra brutalmente di saperlo. Il resto non è che fumo, garza, diversione, variante scenografica, irrilevante gioco di riflettori colorati. Il comportamento dell'Europa verso Hitler dal 1933 al 1939 consente ben poche illusioni circa quello che dobbiamo aspettarci nei prossimi anni a livello diplomatico, ideologico, religioso, culturale e di costume. L'agghiacciante sussurro bene informato «pare che» tornerà a ingorgare le nostre orecchie.
- Pare che Gheddafi sia in realtà una creatura della Cia. Non muove un dito senza chiedere il permesso a loro.
- Pare che lui non conti assolutamente niente. Sono quei due sacerdoti che si porta sempre appresso che hanno in mano tutto quanto.
- I discorsi, pare che glieli scriva un geometra italiano, un certo Cavalli. Di Novara.
- Un fanatico religioso? Ma figurarsi! Pare che, quando è stato ospite di Tito, si sia mangiato un cinghialino arrosto tutto da solo.
- No, lui personalmente è un uomo straordinario. Pare che lavori 22 ore al giorno. E pare che abbia l'ulcera, pare che sia omosessuale, che dorma su un materasso di foglie di tabacco, che tenga un harem di 48 mogli in Svizzera, che ami Mozart, che non possa soffrire le motociclette e i garofani. E pare, soprattutto, che a noi italiani (o francesi, o inglesi, o tedeschi), ci voglia bene, ci stimi, ci ammiri particolarmente, ci voglia vendere, che già anzi quatto quatto ci stia vendendo («pare che a Genova...»), fiumi di petrolio.
Il nauseante cicaleccio si allargherà inesorabilmente a includere la «via islamica al socialismo». Un negriero, un killer di Cosa Nostra, potrebbero oggi esercitare legalmente la loro professione se solo avessero l'accortezza di nasconderla sotto questa meravigliosa patacca inventata dai cultori del nonsense politico internazionale. L'Onu stessa non alzerebbe un sospiro contro una «via mafiosa» o una «via schiavista» al socialismo.
La «via islamica», che dalla conferenza stampa di Gheddafi risulta essere una di quelle dottrine che un bambino di dieci anni potrebbe agevolmente confutare, verrà dunque presa molto sul serio in Europa. Sono sempre i bambini che dicono che l'imperatore è nudo; i grandi non tarderanno a mettere insieme numeri speciali di dotte riviste, dimostrando quanto di «nuovo», di «vitale», di «qualitativamente diverso», di «significante», e beninteso di «valido» ci sia in questo tentativo di accoppiare Marx con Allah. Povero e austero Marx, gli accoppiamenti esotici che gli sono toccati in questi cinquantanni!
Poi, una signora di Milano, di Torino, o piuttosto di Roma (ombre di Malaparte, di Ciano!) deciderà tutto a un tratto che Gheddafi è bello.
- à un bell'uomo - annuncerà risolutamente.
- Ma tu vuoi dire... affascinante, magnetico, carismatico?
- No, no. Bello. Proprio bello. E sai cosa ti dico? Che da lunedì comincio a prendere lezioni di arabo. In fondo, i numeri li so già , no?
I pochi arabisti e islamisti esistenti in Italia andranno letteralmente a ruba. Galileo apparirà di colpo un nano accanto ad Averroè. Molti locali che si chiamavano «Piccadilly» o «Mocambo», verranno ribattezzati «Alhambra», «Muezzin», «Oasi». Si apriranno centinaia di ristoranti arabi, nessuno scamperà allo spiedino di montone, al semolino, al fritto di datteri e acciughe («Sai, loro veramente ci mettono anche il peperoncino rosso... »).
Dilagherà la moda di velarsi la faccia e gli istituti di bellezza metteranno a disposizione delle clienti dei cammelli meccanici, la cui andatura fa tanto bene alla linea. Una riduzione cinematografica dell' Orlando Furioso farà apparire i saraceni cariiiini e i crociati odiosissimi, un urbanista di Bologna documenterà la superiorità globale della forma «minareto» sulla forma «campanile», un critico d'arte pallido e grintoso proclamerà che i geroglifici di un tappeto persiano valgono più di tutta la pittura del Rinascimento.
La televisione trasmetterà il sabato sera succulenti documentari in cui potremo ammirare arabi che guidano l'automobile, arabi che vanno in ufficio, arabi che giocano alle bocce, esattamente come noi. (...) La rivolta del Mahdi verrà inevitabilmente paragonata ai Vespri Siciliani; e, per converso, l'opera verdiana sarà rappresentata alla Scala in costumi arabi. Eh, diranno i più accigliati musicologi, pure qualcosa effettivamente c'è. Effettivamente, dirà un severo teologo, bisogna riconoscere che la religione islamica e il cristianesimo... Claudio Villa vincerà il festival di Sanremo con la canzone «Mecca, Mecca!». (...)
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