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DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Enrico Franceschini per âla Repubblica'
Con tipico "understatement", la caratteristica inglese di attenuare, sminuire, nascondere i meriti, non ha nemmeno scritto un editoriale per vantarsi dell'onore ricevuto. Dopo aver preso il Pulitzer per il Datagate, le rivelazioni della "talpa" Edward Snowden, analizzate e pubblicate responsabilmente dal Guardian per dieci mesi, il suo direttore ha deciso di dare la notizia, sull'edizione cartacea e sul sito, con la consueta sobrietà .
Ma il giorno dopo Alan Rusbridger non nasconde di avere tirato fuori lo champagne: «E' la rivincita per un anno di fuoco, la prova che il giornalismo ha un futuro», dice l'ex-reporter ed ex-columnist del quotidiano londinese, che dirige da quasi vent'anni.
Direttore, cosa ha provato quando ha saputo del premio?
«Due sensazioni allo stesso tempo. Da un lato un grande orgoglio per il Guardian: il Pulitzer è stato in un certo senso la rivincita e la riabilitazione per tutto quello che ci siamo sentiti dire in questo ultimo anno dalla leadership politica britannica e americana, e anche in parte da altri giornali che volevano vederci messi alla berlina, portati sulla gogna.
Ricevere un premio del genere, universalmente riconosciuto per il suo valore, ci ha fatti sentire tutti orgogliosi e contenti del lavoro fatto. E' la conferma che non abbiamo sbagliato a pubblicare quelle rivelazioni».
E il secondo pensiero?
«Il secondo pensiero è legato alla soddisfazione di averlo vinto nella categoria del "servizio pubblico". Dunque non si è trattato di un semplice scoop o di una bella inchiesta, ma di un servizio di pubblico interesse.
Se ciò è vero, significa che anche la decisione di Edward Snowden di rivelare quello che sapeva sul programma di sorveglianza di massa operato dagli Stati Uniti e dai loro alleati, Gran Bretagna in testa, è stato un servizio pubblico. E mi fa piacere per lui».
Crede che il premio potrebbe spingere prima o poi il presidente Obama a dare un perdono giudiziale a Snowden, fermando le incriminazioni?
«Probabilmente non sarà Obama a farlo e non succederà tanto presto. Ma era già questa la direzione che stavano prendendo le cose, con la decisione del presidente americano di commissionare un rapporto sulle intercettazioni nei confronti di leader politici e di massa.
Il Pulitzer sarà un'altra spinta a riesaminare tutta la questione e mi auguro che pure Snowden ne tragga giovamento, non sia più considerato un traditore della
patria ma qualcuno che alla patria e al mondo ha reso un servizio».
Il premio è andato al Guardian e al Washington Post congiuntamente. Si può dire che il Post ci sia abituato, dall'inchiesta di Woodward e Bernstein sul Watergate in poi. Ma come vi siete sentiti al Guardian a sfidare la superpotenza americana?
«Abbiamo stappato champagne in redazione. Eravamo in trentacinque nel mio ufficio a brindare. Ci sono stati momenti difficili in questa storia, ma li abbiamo superati. Sì, siamo un giornale britannico, ma con l'ambizione di essere, anche grazie alla lingua inglese in cui scriviamo i nostri articoli, una fonte di informazione globale.
Oggi i migliori giornali sono necessariamente giornali globali, di rilevanza internazionale, con un peso che va al di là del Paese in cui hanno la propria sede centrale. Anche questo è un messaggio implicito del Pulitzer al Guardian».
Un altro è che, pure nell'era digitale, il ruolo di un giornale è cercare notizie, produrre scoop, fare le pulci al potere e la guardia alla democrazia?
«La tecnologia in cui si muove e si muoverà sempre di più l'informazione è nuova - il web con tutte le sue piattaforme multimediali. Ma il ruolo dei giornali è vecchio, quello di sempre: lottare per la libertà di stampa. Si torna sempre lì».
Ci sono giornali che hanno una squadra di cronisti che si occupano a tempo pieno di giornalismo investigativo, sempre a caccia di storie come questa. E' così anche il Guardian?
«Al Guardian pensiamo che non ci sia bisogno di chiamarlo "giornalismo investigativo": è sufficiente "giornalismo". Questo nostro Pulitzer non è il frutto soltanto dei cronisti che hanno scritto quegli articoli collaborando con Snowden: è un premio per tutta la redazione, un premio al nostro sforzo di fare quotidianamente un buon prodotto giornalistico. E questo sforzo comincia a dare risultati: per la prima volta dopo anni di declino, nostro come di tutta l'industria giornalistica, la tiratura del Guardian ha ricominciato a crescere. Si vede che i lettori riconoscono e apprezzano quello che facciamo».
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