americani a roma anni sessanta

QUANDO ROMA ERA UN PARADISO: LE LESBICHE SI INNAMORAVANO SUBITO DI LAUREN BACALL PERCHÉ IN UN PAESE ANCORA DOMINATO DALLE TRACAGNOTTE NON AVEVANO MAI VISTO UNA DONNA TANTO SLANCIATA E CHIC. MARIO SCHIFANO DORMIVA CON UN BARATTOLO DI COCAINA SOTTO IL CUSCINO SENZA TROVARLO MINIMAMENTE SCOMODO. TANO FESTA SCENDEVA NEI GRANDI ALBERGHI SPACCIANDOSI PER GUTTUSO A CUI AVEVA SOTTRATTO LA CARTA D' IDENTITÀ - DAVANTI AI CAPRICCI DELLE STAR AMERICANE I CINEMATOGRAFARI SBOTTAVANO: WHAT CAZZO DO YOU WANT? E SE ALLA STIPULA DEL CONTRATTO AFFIORAVANO INTOPPI, LA CONCLUSIONE ERA: YOU SIGN, I SIGN, YOU DON' T SIGN ALLORA DICHE YOU VAFFANCUL

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Marco Cicala per ''il Venerdì - la Repubblica''

 

stefano malatesta quando roma era un paradisostefano malatesta quando roma era un paradiso

Le lesbiche si innamoravano subito di Lauren Bacall perché in un Paese ancora dominato dalle tracagnotte non avevano mai visto una donna tanto slanciata e chic. Davanti ai capricci delle star americane i cinematografari sbottavano: What cazzo do you want? E se alla stipula del contratto affioravano intoppi, la conclusione era: You sign, I sign, you don' t sign allora diche you vaffancul. Degno di menzione anche quel noto meridionalista che fu pizzicato al ristorante mentre si intortava una straniera con un vellutato: Do you like finocchiona?

 

Mario Schifano dormiva con un barattolo di cocaina sotto il cuscino senza trovarlo minimamente scomodo. Tano Festa scendeva nei grandi alberghi spacciandosi per Guttuso a cui aveva sottratto la carta d' identità. Pittori esordienti ai quali non avresti dato due lire millantavano di essere amiconi con Marcel Duchamp, ma poi lui arrivava davvero al vernissage.

 

maurizio arenamaurizio arena

Duchamp era quello che, tra l' altro, imbottigliò l' Aria di Parigi in un' ampolla da 55 centilitri ora esposta nei musei. Nel suo ultimo libro, Stefano Malatesta ha fatto in qualche modo la stessa cosa con l' aria che si respirava a Roma negli anni ruggenti tra i 50 e i primi 80. Non era una fragrance Chanel, casomai una fiatata che sapeva di rigatoni alla zozzona. Però i forestieri ne restavano ugualmente irretiti: «Ormai avevano il piede nella tagliola romana e non sarebbe stato facile liberarlo».

 

In tempi di nostalgia stritolante, pensavo di averne fin sopra i capelli, e anche più su, di rievocazioni di quell' Urbe felix.

 

Ma leggendo Quando Roma era un paradiso (Skira, pp. 144, euro 15) ho dovuto ricredermi. Benché il titolo possa prestarsi all' equivoco, non è l' ennesima variazione elegiaca: è un euforizzante exploit di mitografia moderna, una specie di romanzo picaresco dove è tutto vero e quello che non è vero è affabulato, cioè ancora meglio. Protagonisti: qualche celebrità dell' arte e della letteratura; gentlemen in Aquascutum e dandy con bustina d' Astrakan, ma soprattutto un brulicante sottobosco di vite sommerse, semiclandestine, magari alla periferia della legalità.

mario schifano franco angelimario schifano franco angeli

 

Dai paraculi coi calzoni rinforzati sulle natiche per attutire eventuali cadute quando saltavano giù dai camion appena depredati, ai teneri bulletti litoranei che avevano soprannomi tipo Bistecca, Tippete, Scureggino o Nellone. Dai geniali falsari d' arte ai grandi cacciatori di falsi che, consociativi, si assomigliavano tra loro come il ladro e lo sbirro.

 

Nel dopoguerra, Pio Cellini smascherò la bufala d' una stele tarantina ritenuta del III secolo a. C. il giorno stesso in cui venne presentata a Palazzo Venezia. Dribblando la vigilanza, abbracciò il marmo alessandrino e prese a leccarlo fino a stanarne gli additivi chimici coi quali era stato cucinato.

 

mario schifano anita pallenbergmario schifano anita pallenberg

Nella sua tana trasteverina, l' inglese Eric Hebborn, che per via dell' alcol barcollava in casa come «un marinaio sulla tolda», sfornava mirabili cloni di Brueghel sr., Pontormo, Tiepolo, Piranesi o incisioni di Gainsborough lasciate senza firma perché a mettercela erano quelli di Sotheby' s Londra. Che ovviamente hanno sempre negato. Per non dire dell' enigmatico Venizelos, spacciatore di tarocchi mezzo stambuliota e dal cognome greco. Pareva sbucato da un romanzo di Eric Ambler. Operava dalle parti della Stazione Termini coadiuvato da due vallette, pseudonipoti e pseudocontesse, che ricevevano gli acquirenti in tenue légère offrendo loro il tè in un ambiente dove tutto era simulacro di lusso, calma e voluttà levantine.

 

keith richards anita pallenberg a romakeith richards anita pallenberg a roma

Da decenni, il mercato delle patacche aveva come allocchi - o finti allocchi - i nababbi statunitensi. E la verità la scrisse sul Times un giornalista Usa: «Gli autentici Corot sono circa ottocento, di cui diecimila stanno in America». La porosa frontiera tra vero e falso attraversa molti tra i racconti di Malatesta. Ma l' arte della contraffazione non si sarà insinuata per caso pure nei ricordi di quella Roma d' antan, della sua epica bohémienne e malandrina? «Certe volte me lo chiedo» ammette Stefano nella sua casa alle pendici del Gianicolo. «Mi domando se quel passato sia davvero esistito o se non sia a sua volta una leggenda metropolitana.

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Tutte le città cambiano, ma a Roma c' è stata una cesura brutale: di quel mondo non resta più nulla. Zero. Molto è dipeso dalla crisi del cinema, che faceva da locomotiva. Economica e intellettuale».

 

Stefano Malatesta è venuto su a piazza Adriana, quartiere Prati, giocando a pallone nei fossati di Castel Sant' Angelo. Il mito dell' America - Alberto Sordi/Nando Meniconi docet - era già epidemico: «Mio cugino giocava nella squadra di baseball dell' Atac e girava sempre col guantone da prima base». Un giorno Stefano gli dice: Dai, partiamo per gli States. E quello: Ok, fatti trovare domani alle otto sotto casa.

 

gino de dominicisgino de dominicis

Di notte, Malatesta si prepara una frittata per il viaggio. Però all' appuntamento il cugino non si presenta. «Lo rivedo dopo pranzo: Non dovevamo partire? E lui: «Ma io son già andato e tornato. Noi americani siamo gente svelta».

 

lauren bacall africa 6lauren bacall africa 6

Da ragazzo, Malatesta ha fatto la comparsa in sedici peplum. Anche quei film pompier sull' antichità biblica o greco-romana furono una meravigliosa industria del falso. «Hanno condizionato per sempre il nostro sguardo sulla romanità. La dipingevano come un universo pieno di gente crudele e decadente che, uscita dalle terme, va a stendersi nel triclinio piluccando l' uva con una torsione innaturale del polso. Solo l' uva, mai altra frutta. Dimmi tu come una simile banda di debosciati abbia potuto costruire un impero che è stato il più longevo della storia dopo quello dei faraoni».

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Negli anni dell' apprendistato giornalistico, Stefano Malatesta faceva il cronista di nera. Ad occuparsi della Morgue romana erano due fratelli, i Signoracci.

«D' estate era un posto fresco, riposante». A Malate', te va 'na biretta ghiacciata? chiedeva uno dei due. «E la tirava fuori dal frigo dei cadaveri». Un giorno, proprio alla Morgue arriva la notizia che Titti di Savoia s' è dileguata in fuga d' amore con Maurizio Arena. Il paparazzame si catapulta all' Infernetto, Roma sud ovest, dove la casa dell' ex povero ma ancora bello viene accerchiata. Sembra vuota. Qualcuno bussa alla finestra. Arena viene fuori in slip di filo. È incazzatello, ma negozia: «Poi ve la faccio vede' 'a principessa». E dalla torma si leva un ululato: «Nuda, nuda!».

Stefano Malatesta Stefano Malatesta

 

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Gli oggetti del desiderio mutano. Negli anni 50, le balie eccitavano ancora molte fantasie. Creature ctonie, basculanti tra allattamento e meretricio, sedevano su panche nei bassi di Tor di Nona e quando il cliente si affacciava chiedendo A bella mora fa' vede, sguainavano la zinna enorme producendosi in «uno schizzo di due metri». Ma in cambio d' un paio di orecchini di corallo - i più ambiti - le prestazioni potevano essere anche più elaborate.

Sulla spiaggia di Ostia, tra miasmi di Ambra Solare, le ragazze «portavano il reggiseno sotto il costume e non si radevano le ascelle». Però scatenavano lo stesso la fregola estiva, e di notte maschietti si aggiravano grifagni sul lungomare salmodiando: «Bramerei fottere».

 

da destra il barone giorgio franchetti tano festa fabio sargentini e anna paparatti alla galleria lattico roma 1972. foto di claudio abateda destra il barone giorgio franchetti tano festa fabio sargentini e anna paparatti alla galleria lattico roma 1972. foto di claudio abate

Erano anni gaglioffi e spensierati nei quali tutti sembravano in preda a una «smodata voglia di piacere a metà tra l' Angst da vanità e un calore che di solito nasconde profonda insicurezza». Perché, secondo Malatesta, sotto la scorza cinica e smargiassa il romano, come d' altronde l' italiano, «non sa chi è».

 

Se si dà un' occhiata dentro, è preso da vertigine. Vede un crepaccio e dalla paura ci spalma sopra maschere su maschere.

La sezione che chiude il libro si intitola E tutto finisce in trattoria. Ma - con tesi iconoclasta - Malatesta sostiene che, «intesa come insieme di ricette codificate e aggiornate nel tempo», la cucina romana non è mai esistita. «È un mangiare da assediati» dove ce se scofana tutto: «entraglie, organi interni delle bestie, code, ossa e, diceva qualcuno, anche gli zoccoli».

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Chissà se la vecchia crapula romana non rivelasse anche lei tendenze autodistruttive, un cupio dissolvi da Grande abbuffata. Di certo, nell' immagine che apre questo servizio emergono sottotraccia elementi di inquietudine, incertezza identitaria, confusione libidica. La foto fu scattata a Cinecittà nel 1956. Mostra Kim Novak durante una pausa-spuntino negli studios.

 

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Diresti una moderna versione della scena biblica nota come Susanna e i vecchioni. Solo che qui non è chiaro da che cosa i vegliardi siano maggiormente ingolositi: chi sarà più bbona, la diva o la porchetta? Pur con tutta la devozione per il maiale aromatizzato, io propenderei per la diva. Ma naturalmente dipende dalle scuole di pensiero.

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