bertolucci godard

QUELLA VOLTA CHE BERTOLUCCI HA VOMITATO ADDOSSO A GODARD -  IL REGISTA ERA A PRANZO A PARIGI E A UN ALTRO TAVOLO C’ERA GODARD. LO INVITANO AD AVVICINARSI MA BERTOLUCCI ERA EMOZIONATO, AVEVA MANGIATO TROPPE OSTRICHE E… - LA CORSA PAZZA NELLA STRADE DI ROMA CON BILLY WILDER TERRORIZZATO - “A VENT'ANNI NON CAPISCI. GLI ORMONI NON DORMONO MAI E CONDUCONO A SUBLIMI, MA TERRIBILI ERRORI. NON CREDO PIÙ NEL DESTINO, SEGUO IL BUDDISMO TIBETANO”

Da “il Messaggero”

 

Torna l'appuntamento con Mi ritorni in mente, in cui Massimo Cotto ricorda gli incontri più interessanti della sua carriera di giornalista con le grandi star del mondo dello spettacolo. Dopo Elton John, Mick Jagger, Madonna, David Bowie e Paul McCartney, oggi è la volta di Bernardo Bertolucci.

BERNARDO BERTOLUCCI

 

«Non dica sciocchezze e si sieda». Bernardo Bertolucci sorride e mi indica la poltrona. Avevo appena espresso la mia felicità nel trovarmi di fronte a un monumento del cinema. Unico regista italiano ad aver vinto un Oscar per la regia, maestro riconosciuto anche dalle più grandi rockstar. Al suo nome, ho visto Madonna sciogliersi e Patti Smith accendersi. Lo dicevo a Bertolucci e lui rideva. «La smetta, altrimenti mi fa venire l'ansia da prestazione. Io sono molto emotivo, sa?».

 

anna karina e jean kuc godard

E mi racconta di quella volta, a Parigi. Ristorante che più chic non si può. Bertolucci sta pranzando. Poco lontano da lui, a un altro tavolo, c'è Jean-Luc Godard, padre della Nouvelle Vague e mito di Bertolucci, perché anche i miti hanno i loro miti. A un certo punto, qualcuno dal tavolo di Godard fa cenno a Bertolucci di avvicinarsi. Bertolucci si alza, è emozionato, forse troppo. «Avevo mangiato troppe ostriche. Insomma, per farla breve, comincio a parlare, cerco di spiegare a Godard quanto sia stato importante per me. E gli vomito addosso. Vomito addosso a Godard».

bernardo bertolucci ph adolfo franzo'

 

LA FIAT

Bertolucci racconta anche di quell'altra volta, da Piperno, storico ristorante nel Ghetto di Roma. Bertolucci esce dal ristorante con Billy Wilder. Ad aspettarli, c'è una vecchia Fiat 500, con alla guida una ragazza che deve accompagnare i due registi a Cinecittà. Wilder si mette davanti, Bertolucci dietro. La ragazza ingrana le marce e parte a scheggia. Guida come una pazza per le strade di Roma. La 500 sembra un maggiolino tutto matto. Wilder, che ha domato Marilyn Monroe e Gloria Swanson, è terrorizzato. Ha le mani sul cruscotto. Suda, ha gli occhi sbarrati. A un certo punto si volta verso la ragazza e chiede: «Quanti ne ammazzi ogni volta che guidi?».

 

E lei: «Meno di quanti ne avete ammazzati voi americani in Vietnam». Beviamo qualcosa mentre un tramonto incredibile incendia Roma. Sono qui per farmi raccontare il suo Sessantotto, dopo l'uscita di The Dreamers, il film che lanciò la carriera di Eva Green. È il 10 ottobre 2003. «Il 68 fu la massima espressione degli anni Sessanta, che non cominciarono il primo gennaio 1960 ma, simbolicamente, con le morti di Marilyn Monroe e John Fitzgerald Kennedy, per terminare ben oltre il tramonto del decennio, nel 1978, con l'uccisione di Aldo Moro. Fu lì che si capì che il sogno era finito.

jean kuc godard anna karina

 

I Sessanta furono scoperta e utopia, meraviglia continua per chi era giovane allora. Si andava a dormire sapendo che ci saremmo svegliati non l'indomani, ma nel futuro. Il futuro, per noi, era credere di poter cambiare il mondo, alimentati dalla fantasia e dalle pulsioni del vivere guardando non solo al nostro fianco, ma avanti. Non basta: non esiste ricordo di un morto durante gli accadimenti del Maggio parigino. Oggi qualsiasi movimento, anche non violento, ha un inciampo violento».

 

Bertolucci rivela un particolare di tutti i suoi film: c'è un'idea di base, ma poi i personaggi quasi si ribellano, scelgono altre strade. «La sceneggiatura è solo una piattaforma di lancio. Esistesse un controllore costretto a bacchettarmi a ogni cambio di passo, avrebbe molto lavoro. La libertà del regista è un dono dell'arte. Mi eccita cogliere al volo le occasioni che un volto, un corpo, una nuova cadenza imprimono alla mia idea. Sangue e carne valgono mille storie sulla carta. Molti anni fa incontrai Jean Renoir a Los Angeles. Stavo allestendo il cast per Novecento. Pochi giorni dopo avrei incontrato De Niro e Depardieu, all'epoca poco più che sconosciuti.

pier paolo pasolini e italo calvino al caffe rosati

 

L'IDEA

Furono loro, indirettamente, a farmi capire che la realtà è davanti alla macchina da presa, non nella sceneggiatura, che è sempre dietro. Un regista deve essere servitore della realtà, non di un'idea, per quanto suadente e meravigliosa». Gli dico che il Sessantotto è uno dei pochi eventi che è soggetto a continue riletture. «Se ripenso a quello che io pensavo fosse il futuro, mi sento ingenuo, forse ridicolo. Ma quelli erano i tempi, quelli eravamo noi. Il 68 non è stato un fallimento. Il nostro modo di porci oggi agli altri, la condizione della donna, i diritti delle minoranze sono stati conquistati nel 68. Il modello di vita di oggi fu disegnato allora. Chi non c'era deve capire, chi c'era deve ricordare.

 

marlon brando e il cappotto cammello in 'ultimo tango a parigi' 2

Mi addolora pensare che tutto sia appassito velocemente, per poi rinascere più tardi. Pensi a Ultimo Tango a Parigi. Lo girai nel 1972, solamente quattro anni dopo, ma era già tutto cambiato. Il 68 era iniziazione alla vita anche attraverso il sesso, Ultimo tango è invece Eros e Thanatos, una danza di morte». Bertolucci ha un sorriso disarmante. Gli chiedo di dirmi la prima immagine che gli viene in mente pensando al Maggio parigino. «Il pavé. Si facevano le barricate, con quelle pietre. C'era anche un bellissimo slogan: Sous le pavé, la plage, sotto il pavé, la spiaggia. Che belli, gli slogan di allora: Siate realisti, domandate l'impossibile, Proibito proibire. Il gusto del paradosso è insito nella cultura francese».

marlon brando e il cappotto cammello in 'ultimo tango a parigi' 3

 

LA COLLEZIONE

Il discorso cade brevemente sulla musica. La musica con cui è cresciuto. «Una piccola collezione di 78 giri. Vivevo a cinque chilometri da Parma, con i miei genitori, mio fratello e il nonno. Mi sono nutrito del jazz degli anni Trenta, per poi passare, negli anni Sessanta, a un altro jazz, quello di Miles Davis, Coltrane e Monk. Ho amato anche il melodramma. Ricordo uno dei miei primi amori, naturalmente infelice, che rivivevo con il commento sonoro del Ballo in Maschera o del Trovatore. Senza dimenticare il rock».

 

Poi, si torna alle rivoluzioni. «Una delle ragioni per cui la Storia si ripete è che chi ha vent' anni tende per fattori anche ormonali a ostentare posizioni estreme. A vent' anni non esiste la mediazione, solo l'assoluto. Pensi ai fatti di piazza Tienanmen. Per un mese, gli studenti cinesi hanno attirato l'attenzione dei media , senza essere fermati dalla polizia né dal governo. Il segretario del partito comunista cinese li raggiunse in piazza, il giorno prima del massacro.

 

massacro piazza tienanmen 2

Lo vidi in televisione, con le lacrime agli occhi, scongiurare i ragazzi di abbandonare la piazza. Diceva: Avete vinto, andatevene. Io domani non riuscirò a fermare l'esercito. Le cose mi stanno sfuggendo di mano. Non lo ascoltarono. A vent' anni non capisci. Gli ormoni non dormono mai e conducono a sublimi, ma terribili errori». Ultima domanda: Bertolucci, lei crede nel destino? «Non più. Seguo il buddismo tibetano. Il destino è la sceneggiatura della nostra vita che ci scriviamo da soli».