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Teresa Ciabatti per “la Lettura - Corriere della sera”
«Dove stanno i gatti?» chiede l' agente di polizia. Il sospetto è che i clandestini li abbiano mangiati. Gatti spariti, gabbiani giganti, questa è la Roma di Peccati immortali - romanzo di Aldo Cazzullo e Fabrizio Roncone (Mondadori), di cui tanto si è detto e scritto. Profetica fantapolitica, personaggi comici e tragici nel loro continuo bilico tra purezza e compromissione, il malaffare finalmente raccontato dall' interno dei palazzi di potere, senza più separazione di mondi. E che il mondo sia unico lo dimostra già l' inizio, la morte del cardinale Michelangelo Aldrovandi. Morto per soffocamento durante un' orgia.
Tutto sarebbe facilmente insabbiato (causa morte: malore improvviso), se non esistesse un iPhone contenente le foto dell' orgia dove è riconoscibile il leader del Popolo dell' Onestà, Dario Gianese. Quelle foto possono far cadere Governo e Vaticano.
Ecco allora l' intera città a più livelli che si mobilita alla ricerca del telefonino: cardinali, servizi segreti, nigeriani, killer di professione, una suora insieme a un ex agente dei servizi segreti, Leonardo Di Castro detto Gricia (di sicuro il personaggio più sgradevole, cinico, e al contempo umanissimo del romanzo, «proviamo a descrivervelo: cento chili, forse più», il più sognatore - giocare a tennis con Panatta - il più fragile - quando è triste o nervoso, quando si sente solo e grasso, lui mangia).
Mentre il giallo si svolge serrato, tra colpi di scena e omicidi, emerge Roma: luna park dalle luci che incantano, palude da cui è impossibile riemergere. Come funziona questa città? - domanda Dario Gianese smarrito. «Attento Dario - sposta il discorso il vecchio senatore - di solito non sono pericolosi, ma in questi giorni sì, perché si schiudono le uova» parlando dei gabbiani che planano sul suo attico al centro di Roma. E ancora: «Difendono la specie. La migliorano. Hai visto come hanno imparato ad aprire le borse della monnezza con il becco?».
Peccati immortali va letto e riletto perché, al pari di un rebus, s' illumina di significati ulteriori. Metafore, indicazioni da cogliere che svelano molto del presente, rimandandoci la sensazione che gli autori, attraverso una storia di finzione, abbiano seminato tanta realtà. E precognizione di futuro.
Che a comparire col nome vero siano gli immortali, i pochi destinatati a lasciare traccia? E quelli camuffati dal nome inventato, eppur riconoscibili, siano invece figuranti condannati alla dimenticanza? Cazzullo e Roncone creano nuovi gironi dove collocano tutti, senza dimenticare nessuno. Che Peccati immortali sia perciò una lucida analisi del presente e di quello che sta per avvenire domani, nel senso stretto di domani?
«Il trucco è: frullare il vero con il falso, il verosimile con il simile» viene detto nel libro in merito a un evento mondano, ma poiché ogni riga di questo libro allude ad altro, la frase è dichiarazione di poetica, svelamento di scrittura. Seguiamo allora i gironi ridefiniti secondo il parametro non del peccato, piuttosto della fama (anche la figura di Gesù, in particolare la resurrezione di Lazzaro viene riletta in questa chiave: «Impuntatura d' orgoglio di Gesù: sceso al minimo della sua popolarità, resuscita un uomo davanti alla folla e diventa una star»).
E quindi chi rimarrà nei secoli? A chi è assegnata l' immortalità della storia?
Mortali sono politici, giornalisti e giornaliste del momento (quant' è breve il momento). Persino i cardinali - vivi o morti - figure interscambiabili di secondo piano. Immortali Francesco Totti, Sabrina Ferilli, Carlo Verdone, Adriano Panatta. Immortale la contessa Marisela Federici che «ormai esce di rado dalla sua villa sull' Appia Antica, La Furibonda, luogo di feste leggendarie, dove i potenti più potenti incontravano la mondanità più sfrenata», bei tempi, i tempi in cui la contessa raccontava del suo confessore, il fondatore dell' Opus Dei, e del cilicio provato a tredici anni, chiosando «regolatevi».
Apparizione fugace quella della contessa, quanto quella di Roberto D' Agostino (avvertenza: le apparizioni brevi qui valgono come i nomi reali, ovvero segni di immortalità). E dunque Roberto D' Agostino nel buio della sera, unica vera immagine votiva di questo tempo. Roberto D' Agostino di ritorno dalla passeggiata coi cani, in una città dai nuovi punti cardinali, dove il centro non è più centro, così la periferia. E il punto più alto - simbolicamente più alto - non è la cupola di San Pietro, bensì la palma illuminata sul terrazzo di Lungotevere (casa di D' Agostino, e sede di Dagospia).
Una palma su cui i gabbiani non piombano rapaci, e attorno a cui gli animali - labrador - resistono. Intanto i gatti scompaiono, i gabbiani aggrediscono, le bambine rom scappano come uccellini, gli uomini si uccidono. Il potere è lassù, la palma il nostro vero crocefisso. Ecco come funziona questa città, per i Dario Gianese appena arrivati. Peccati immortali non è solo un giallo perfetto, è qualcosa di più. Appassiona, avverte, e spaventa: tutto potrebbe succedere, o forse è successo. E se qualcuno dovesse perdersi: occhi al cielo, alla palma, mani giunte, preghiamo.
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