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Silvia Bizio per “la Repubblica”
È arrivato anche per Leonardo DiCaprio il momento di "soffrire" con il Metodo: la recitazione che impone all' attore di trasformarsi nel personaggio e viverlo attraverso la propria memoria sensoriale. Ciò per cui Leo ha sofferto tanto è The Revenant (Il redivivo), diretto dal premio Oscar Alejandro "Birdman" González Iñárritu. Il film, che uscirà negli Usa il 25 dicembre (il 28 gennaio 2016 in Italia), è stato un inferno per tutta la troupe.
LEONARDO DI CAPRIO THE REVENANT
Ma dalle prime reazioni si annuncia un trionfo. The Revenant è ispirato alla storia vera dell' esploratore e cacciatore di pellicce Hugh Glass (DiCaprio), le cui vicissitudini nell' America selvaggia intorno al 1820 sono state narrate da Michael Punke nell' omonimo romanzo. Una storia di sopravvivenza estrema, redenzione ma anche vendetta: Glass viene dato per morto e abbandonato dai suoi compari dopo essere stato attaccato da un orso. «Non ho più paura di morire, perché sono già morto», afferma nel film un DiCaprio irriconoscibile: barba incolta, denti spezzati e neri, coperto di pelli di daino, sguardo da animale inferocito.
Nel cast anche Tom Hardy, Dominc Gleeson e Lukas Haas. Il film è stato girato per lo più nello stato dell' Alberta, in Canada, con alcune sequenze aggiuntive realizzate in Argentina a luglio e inizio agosto ( quando laggiù è inverno). «Le condizioni atmosferiche e il freddo hanno reso migliori tutti gli attori », dice Iñárritu, attualmente impegnato nel montaggio.
leonardo dicaprio e kelly rohrbach
«Gli attori sentivano freddo sul serio, non recitavano: erano davvero in uno stato pietoso!
», racconta ora il regista ridendo.
Sorride probabilmente anche DiCaprio al pensiero dell' Oscar che gli è sempre sfuggito, ma che con ogni probabilità conquisterà questa volta. «Ho pensato al Robert Redford di Corvo rosso non avrai il mio scalpo, a Dustin Hoffman nel Piccolo grande uomo e al Richard Harris di Un uomo chiamato cavallo .
Ho pensato a tutti questi grandi attori che hanno affrontato produzioni difficilissime, in mezzo alla natura, senza artifici né effetti speciali, immedesimandosi nei loro personaggi, tutti veramente esistiti, come il mio Glass in The Revenant, mettendosi alla prova fino in fondo. Questa mia interpretazione è un omaggio non solo alla storia, ma anche al cinema e a questi grandi attori».
Nel film DiCaprio percorre un tragitto di chilometri e chilometri in una natura impervia durante un inverno gelido per vendicarsi di chi lo ha tradito. «Ho patito il freddo ogni singolo giorno», racconta l' attore. «Avevo sempre le mani gelate. Alla fine dei ciak non le sentivo più. Per fortuna sul set avevamo a disposizione un sifone di aria calda, che noi chiamavamo "il polipo". Sono sopravvissuto grazie a tutti quei tubi».
Il film è stato girato in sequenza temporale - dalla prima all' ultima scena - per ottenere quel realismo narrativo e visivo cui Iñárritu e DiCaprio (qui in veste anche di produttore) tenevano tanto. «Volevamo mostrare l' odissea del mio personaggio, renderla palpabile per il pubblico, dare agli spettatori un' esperienza quanto più vicina alla realtà», dice DiCaprio.
La produzione è stata durissima per tutti i 300 membri della troupe (produzione Regency, distribuzione Fox - mega-budget di circa 130 milioni di dollari). Qualcuno ha sostenuto che la realizzazione di The Revenant sia stata l' esperienza professionale peggiore in assoluto, "un vero inferno", racconta un tecnico che non vuole essere citato.
«Il regista, il protagonista e i produttori ci hanno trascinato in una sorta di campagna mi-litare naturalistica: se mi chiedessero di scegliere tra scalare l' Everest, e conquistare la vetta, o passare altri sette mesi sul set del film, sceglierei l' Everest, così come tanti altri miei colleghi ». Eppure quasi nessuno ha mollato. Le defezioni ci sono state, ma sono state eccezioni; la produzione, pur durissima, è andata in porto con un leggero ritardo ma senza troppi incidenti. Il budget è stato sforato, certo, ma a Hollywood è praticamente routine.
Conferma il regista: «Chiaro, abbiamo avuto qualche problema. Non esiste film di questo tipo, girato tutto nella natura e con luce naturale, come Leo e io volevamo fin dall' inizio, che non abbia avuto contrattempi. Ma non è successo niente di cui mi debba vergognare. È vero, qualcuno della troupe ha deciso di andarsene, e io mi sono sentito come un direttore d' orchestra che quando sente un violino continuamente stonato deve per forza chiedergli di allontanarsi».
Buon per lui, perché non sono pochi gli addetti ai lavori a sostenere che Iñárritu sia eccessivamente esigente (come tutti i grandi, ribattono altri). «Lo so», risponde lui, «sono un perfezionista ossessivo: quando ho un' idea in testa voglio ottenere quel risultato. C' è sempre un prezzo da pagare ». Il clima poi ci ha messo lo zampino. «È stato un inverno durissimo in Alberta», racconta DiCaprio. «Uno dei più freddi e nevosi da decenni. Sapevamo che un film di dimensioni epiche girato nella natura avrebbe avuto complicazioni.
Con Alejandro e il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki cercavamo di fare tutto in luce naturale: sono le quattro del pomeriggio e il sole sta calando, e la luce non va bene. C' è un piano sequenza da fare e non c' è tempo. Per forza dovevamo rimandare al giorno dopo. C' è chi ha trovato insopportabili questi contrattempi. Ma quando hai stabilito la forma, lo stile e l' estetica di un film, non rimane che seguire alla lettera il piano di lavorazione. Qualcuno l' ha definito "di battaglia". Per me è stata una "scalata". Un vero e proprio attacco alla vetta dove l' aria è molto rarefatta...».
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