REGISTI CONTRO - RICOMINCIATA LA GUERRA TRA AUTORI E PRODUTTORI: L’ANICA DEVE DECIDERE QUALE FILM MANDARE ALL’ACADEMY PER SPERARE DI ESSERE SELEZIONATO PER GLI OSCAR - IL NUOVO BELLOCCHIO, GARRONE VINCITORE DI CANNES CON “REALITY”, “DIAZ, OZPETEK, I TAVIANI - GIORDANA (“ROMANZO DI UNA STRAGE”) NON VUOLE PARTECIPARE, SORRENTINO SI È SFILATO DALLA GIURIA - FATICHE, SCONTRI, LITI. COL GRANDE RISCHIO DI NON ARRIVARE NEANCHE ALLA CINQUINA…

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Malcom Pagani per il "Fatto quotidiano"

C'è chi come Fulvio Lucisano, coriaceo produttore del '28, presenza costante delle commissioni deputate a decidere quale opera italiana far partecipare alla corsa per l'Oscar nella categoria "miglior film straniero", giunse a votare per il Grande cocomero di Francesca Archibugi da lui stesso finanziato. E chi come Aurelio De Laurentiis, geniale, organizzò una proiezione semiclandestina al cinema Palma di Trevignano a 48 ore dalla scadenza del bando dell'Academy, al solo scopo di far concorrere Pupi Avati con Il testimone dello sposo.

Messi in cornice De Sica, Petri e Fellini e impolverati i ricordi di Benigni, Tornatore e Salvatores, da anni siamo esclusi dalla festa. L'ultima a entrare nella cinquina, nel 2006, fu Cristina Comencini con La bestia nel cuore. Da allora neanche una nomination e un'aria di stanca routine inversamente proporzionale al valore dei film. Possono iscriversi alla riffa tutti quelli che, usciti in sala tra il primo ottobre 2011 e il 30 settembre di quest'anno, abbiano un produttore disposto a spendere 500 euro in burocrazia e a credere nel successo dell'operazione.

Poi, dopo tre votazioni, i 9 giurati alle prese con l'antipatico compito di scegliere, trarranno il dado. Tra Paolo Mereghetti (alla seconda partecipazione) e la direttrice di Ciak Piera Detassis (parziale risarcimento per le prese di posizione Anica pro Muller sul Festival di Roma) siederanno il già ricordato Lucisano, l'omologa Martha Capello (presidente dei giovani produttori, curriculum ancora magro), i bravi Angelo Barbagallo e Nicola Giuliano, il fondatore di Bim, Valerio De Paolis e il direttore generale del Cinema Mibac, Nicola Borrelli.

Ci sarebbe dovuta essere anche la venditrice Paola Corvino, ma agitandosi ancora i fantasmi del passato e avendo in dote sui mercati esteri il film di Carlo Verdone presentato da De Laurentiis, ha abdicato. Al pari di Paolo Sorrentino: "Questo non dev'essere il posto" si è detto, pur senza conflitto di interessi. Alla prevedibile rissa ha preferito La grande bellezza. Stremato dalla lavorazione notturna del suo film "parisiano" con Servillo e Verdone, ben prima che Venezia iniziasse, si è sfilato dalle passerelle con una telefonata.

Via dal tappeto rosso acceso delle riunioni collegiali e delle polemiche che dopo il 26 settembre accompagneranno, c'è da scommetterci, il film italiano da destinare alle fauci dell'Academy. Quattrocento votanti americani, chiamati a elaborare un'elezione che promette battaglie.

In corsa, da favoriti (fuori Bertolucci per una questione di date), reciteranno Marco Bellocchio, i fratelli Taviani e Matteo Garrone, in uscita il 28 settembre. Domenico Procacci, finanziatore di Reality, già premiato a Cannes, da Toronto è chiaro: "Candidiamo tutti i nostri film che pensiamo, assieme ai rispettivi registi, meritino attenzione. Lasciamo poi che sia il comitato a selezionare".

Quindi, dice Procacci, anche Ozpetek e Vicari con l'importante Diaz (già applaudito a Berlino e a Seattle) in veste di fastidiosa sorpresa. Se Andrea Purgatori, sceneggiatore del Fortapàsc di Marco Risi, ricorda il tentativo di farsi ascoltare dalla commissione come un'esperienza desolante: "Io insistevo sul valore della testimonianza e mi sentivo dire ‘ma perché buttate i 500 euro dell'iscrizione? tanto vince Baarìa"' altri, anonimamente, rimarcano l'assoluta esclusione dei film veramente indipendenti (per quanto Diaz, rischio produttivo solitario di Fandango, si avvicini molto alla descrizione) l'ossessiva alternanza Rai Cinema-Medusa, le beffe non solo regolamentari occorse ai pesci piccoli (pagò dazio il magnifico Private di Saverio Costanzo), le gaffes di notai troppo rapidi nel leggere le istruzioni per votare.

Un solo titolo da eleggere nel mucchio selvaggio di una produzione vastissima. Se è vero che si può candidare quasi chiunque, sul tavolo finale non cadono che una decina di nomi. Oggi l'Anica li comunicherà ufficialmente. Si chiede un dossier (articoli della stampa straniera, premi ai Festival, vendite all'estero) a corredo, poi si discute. Negli ultimi anni (aspre punture tra Virzì e Guadagnino, Bellocchio e Massimiliano Bruno: "C'è una sinistra radical chic ancorata al passato, che giudica la risata come una cosa di destra"), si è litigato spesso).

La monoposto è stretta, i meritevoli in largo numero, l'amarezza comprensibile. Riccardo Tozzi, patron di Cattleya, quest'anno elegantemente ai margini della commissione in quanto produttore di Bella addormentata, pensava di portare anche Romanzo di una strage di Giordana: "Sto cercando Marco Tullio, fosse per me non avrei dubbi". Filo di lana reciso dal regista stesso a metà pomeriggio: "Non partecipo".

L'Academy aspetta la parola definitiva entro il primo ottobre alle 17 e per definire l'invito o l'esclusione avrà un orizzonte largo fino al 15 gennaio 2013. Dicono che Angelo Barbagallo, fondatore della Sacher di Moretti e produttore galantuomo, l'uomo che avrebbe convinto suo malgrado i giudici a incontrarsi per l'ingrato compito sia preoccupato. Si aspetta inutile fumo, veleni sparsi ad arte, rancori sordi. Qualcuno alla fine non sarà contento.

Piangere, ridere, recriminare, per una corsa all'illusione da troppo tempo zoppa. il rischio è quello della liturgia inutile. L'importante non è partecipare, ma arrivare. Sul palco americano, da ospiti inattesi, senza osservare la ribalta dalla luce fioca di una candela.

 

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