DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Sandra Cerasale per il Corriere della Sera
«Quando si fa un dolce c' è il momento dell' impasto e quello delle decorazioni. Ecco, io ho impiattato»: Renato Zero ha messo da parte album, film e concerti per intraprendere un' avventura da produttore. Negli uffici romani dell' etichetta Tattica è con Vincenzo Incenzo, di cui ha realizzato il primo album Credo, da oggi nei negozi. «In un momento in cui i cantautori diminuiscono ho voluto dare un segnale - spiega Zero - Oggi è tutto un copia-copia, si perde di vista l' italianità.
Artisti come Aznavour, Aretha Franklin, Ray Charles erano unici. Noi siamo i pronipoti di Verdi, Puccini, Mascagni, però preferiamo scimmiottare il rock e il blues facendolo diventare pizza e fichi». Un discorso che non vale per Gianna Nannini e Vasco Rossi perché «salvano melodie e armonie, rispettando la cittadinanza». E per i Negramaro: «È una famiglia che amo e rispetto per tanti motivi. Uno su tutti: la meridionalità, una forma d' arte, anche se non riconosciuta».
Incenzo a 53 anni ha alle spalle una lunga carriera da autore non solo per Renato Zero, ma anche per Dalla, Venditti, PFM, Ornella Vanoni, Patty Pravo, ha composto per teatro e televisione. «Per me questa partenza è un ritorno - racconta Incenzo - A 18 anni suonavo al Folkstudio e in tanti vedevano in me un cantautore. La vita, invece, mi ha portato per 23 anni a stare dietro le quinte. Renato mi ha spinto a incidere l' album, anche se io avevo molta paura.
Ma mi ha convinto dicendo: "Se farai un lavoro sincero nessuno te lo contesterà"».
L' album, tutto scritto da Incenzo, racchiude soffici ballate o pezzi dal ritmi più movimentati, c' è anche un rap e Renato Zero che canta Cinque giorni portato al successo da Michele Zarrillo nel 1994.
«Voglio continuare a entrare in studio e aiutare altri ragazzi - racconta Zero - offrendo loro benedizione e consigli.Dovrebbe essere un dovere degli artisti per allontanare il grigio di un' età che non ha bisogno di esibizioni e per non stare in panchina».
Zero ha iniziato alla fine degli anni 70 a produrre altri artisti. «E ho continuato a farlo.
Mi piace la contaminazione.Io sono stato contaminato in tante forme, come quando Mario Schifano mi accolse a casa sua. Avevo 17 anni e mi impressionò la spregiudicatezza con cui affrontava il mondo. Se non avessi vissuto quel periodo durante il quale ho costruito i miei anticorpi, avrei mai potuto indossare piume di struzzo e paillettes?». Su tutti va orgoglioso di due progetti: l' album di inediti di Ivan Graziani, pubblicato dopo la sua morte, e l' ultimo disco di Umberto Bindi. «Ivan e Umberto avevano con me un rapporto meraviglioso, fraterno».
Adesso, invece... «La ripetitività è la nota più negativa dei rapper e di un mondo che cerca di aggrapparsi a una scuola senza tener conto del passato. La sofferenza dei grandi gratifica e amplifica le loro opere. La leggerezza di questi anni, invece, alimenta un universo in cui contano i solo i soldi. Lauzi e Bindi non erano belli, Tenco aveva uno sguardo che faceva paura, Endrigo aveva la nomea di persona triste: erano il prodotto di quello che avevano vissuto.
È un approccio che va bene per tutti. Come il vangelo degli anni 50 e 60, il rock di Chuck Berry e Little Richard. Cohen, Dylan hanno attinto alla tradizione. Lady Gaga all' inizio si proponeva in una veste quasi fastidiosa... poi ha duettato con Tony Bennett. Ora te la ritrovi nel film A star is born. Meravigliosa».
Convinto che il dovere di una canzone sia «di durare nel tempo», ammette di essersi emozionato quando «a Domenica In hanno proiettato un documentario su Stefano Cucchi sulle note della mia Più su. Quando ho saputo che Stefano era un sorcino mi è venuto in mente il suo sorriso pulito e mi sono ricordato di averlo incontrato. Come hanno potuto travisare tanta purezza?».
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