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Elisa Calessi per "Libero quotidiano"
Alla fine della direzione del Partito democratico, con il solito understatement, Matteo Renzi butta lì la notizia che in molti, in sala, aspettano con ansia: «In questa settimana ci sarà una riunione di Lorenzo Guerini con i segretari regionali per le candidature alle elezioni europee e per l'inizio della campagna elettorale». Le candidature per Strasburgo. Partita a cui guardano in tanti. Specialmente quanti sono in scadenza come eurodeputati o sono rimasti fuori dalle liste alle ultime elezioni politiche.
A cominciare da Massimo D'Alema, in libreria in questi giorni con un volume dal titolo "Non solo euro", l'altra sera ospite di Otto e mezzo dopo tre mesi di assoluto silenzio e ieri gran protagonista della direzione Pd con un intervento che è stato di gran lunga il più applaudito. Le aspirazioni di D'Alema, da lui naturalmente negate, si incrociano con il dilemma davanti al quale Renzi si trova: candidare o no il rottamato per antonomasia e però oggettivamente il dirigente più autorevole, a livello europeo e per quanto riguarda i rapporti con il Pse, che il Pd può vantare?
«Sarà dura farlo correre, per una questione di coerenza, ma sarà dura dirgli di no, anche solo per i rapporti internazionali che ha», sintetizza un uomo molto vicino al premier. E sarà dura anche per le preferenze che D'Alema può raccogliere, visto che alle Europee ciascun candidato deve guadagnarsi voto su voto.
L'ex ministro degli Esteri intervenendo ieri di fronte al parlamentino del Pd, non ha mancato di ricordare come lui sia uno che «gira il mondo», impegnato come è a presiedere la Foundation of European Progressive Studies. Il Pse, ha spiegato, è una forza «in movimento, non è che hanno aspettato noi per un'opera di rinnovamento, diciamo. Sarà che giro il mondo, ma c'è vasta consapevolezza sul fatto che siamo oltre il XX secolo».
E a Beppe Fioroni che aveva annunciato il suo voto contrario all'ingresso del Pd nel Pse (mentre il renziano Matteo Richetti si è astenuto), non volendo «morire socialdemocratico», ha risposto che «c'è tra di noi chi teme, non senza ragione, di morire democristiano. Io mi limiterei alla prima parte che ci unisce tutti». Per il resto, l'«aspetto drammatico della crisi» è «il ritorno in campo di elementi nazionalistici». Dunque, il Pd deve entrare nel Pse per imprimere una «svolta» all'Europa. Non è una «resa», ma «un passo in avanti».
La posizione di D'Alema, che poi è la stessa di Matteo Renzi, è passata a grande maggioranza. Con 121 sì, due astenuti e un voto contrario, il Pd ha deciso di aderire al Pse. Molti gli assenti, anche tra le fila dei cosiddetti renziani. Segno del malumore con cui in tanti, specie ex Margherita, hanno vissuto questo passaggio.
Renzi, chiudendo la riunione, ha ironizzato sul botta e risposta tra i due notabili del partito: «Comprerò i pop corn per assistere all'epico scontro D'Alema-Fioroni sul ruolo dei cattolici nella sinistra europea». Ma il problema delle candidature per le Europee esiste. Sarà il primo test per il neopresidente del Consiglio e segretario del Pd. E i sondaggi per il Pd sono tutt'altro che incoraggianti. La concorrenza del M5S sarà fortissima. In uno scenario simile, Renzi non può permettersi di candidare sconosciuti o inesperti. Difficile rinunciare a D'Alema.
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