DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Ottavio Cappellani per Dagospia
In attesa della finale della Champions League, a Berlino il 6 giugno, voglio offrire un servizio a coloro che arriveranno in città per assistere alla partita Juventus-Barcellona: dove si trovano droghe e puttane.
Sensibile alle vicende occorse a Erri De Luca, e pur consapevole che la prostituzione in Germania è legale, non vorrei incorrere in una qualche versione di induzione, o apologia, o istigazione “a”, “verso”, “pro” qualcosa, per cui tengo a precisare che l'obiettivo del presente piccolo reportage è quello di avvisare la miriade di tifosi appassionati di sport (attività sana e aerobica), mariti senza mogli, bande di giuovani in preda agli ormoni, e passanti occasionali, dei luoghi dai quali è meglio tenersi alla larga per NON incappare in gentilissimi spacciatori (ti vendono lo spinello già chiuso, tutta erba senza neanche un grammo di tabacco, e c'è un listino prezzi stampato al laser con le varie tipologie merceologiche della cocaina), o per NON incontrare splendide puttane in ambienti lussuosi e rilassati a prezzi tutto sommato modici.
AVVERTENZA: IL SEGUENTE REPORTAGE E' A CURA DI UN PROFESSIONISTA. NON PROVATE A FARE LE STESSE COSE A CASA.
Al momento sono al bar di un ostello molto confortevole in Kopenicker Strass, Mitte. Il Muro di Berlino costeggiava questo caseggiato, e io mi sento innervato dalla storia e sono ancora libero, anche se oggi ho dovuto subire un piccolo interrogatorio dalla Polizie perché facevo avanti e indietro come un matto in bicicletta al Check Point Charlie.
Ho provato a spiegare che trovo la cosa molto poetica, una sorta di esplosione di libertà interiore ed euforia dovuta alla vittoria della Ragione sulla Storia, e che insieme al vento sul viso mi scorrono nella mente le immagini che quel luogo rappresenta nella memoria di tutte le persone sensibili e, appunto, poetiche, e la sensazione degli spiriti degli uomini anonimi che vicino a questo casermotto hanno perso la vita in nome della libertà, o anche dell'ideologia, quasi una commozione per gli errori umani sublimati da un perdono elargito in un futuro come questo, una riappacificazione con l'esistente e persino...
Poi ho capito che, forse, la Polizei stava chiamando la neuro, o l'antiterrorismo, e così ho spiegato che mi ero perso e non avevo accesso al Google Maps del mio smartphone causa batteria scarica e mi hanno lasciato andare.
Il bar dell'ostello è ben frequentato e hanno la Berliner (birra) ghiacciata, e dovete sapere che ogni volta che bevo il primo sorso di Berliner mi sento sempre un po' JFK (“Ich bin ein Berliner”), dovreste provare. Ho scelto quest'ostello perché a poche centinaia di metri ci sono sia il “Tresor”, un discotecone germanico dalle vaghe atmosfere cyberpunk, ultraminimimalista, per lo più in calcestruzzo e acciaio, dentro cui la techno, o quello che è, rimbomba fino a entrare in risonanza sgretolandoti quel poco che ti resta di dolore e dignità e sprezzatura e distanza, e trasformandoti all'istate un un milk shake che balla, se non fuggi via in tempo.
Accanto al Tresor c'è invece il “Kit Kat Club”, il celeberrimo locale ultrafetish di Berlino, che propone serate dedicate a svariati “dress code”, dai più classici (“Lack & Leder”, “Uniforms”) fino a spingersi a “generi” che non immaginavo neanche potessero esistere (il “tv” dress code mi lascia basito e meravigliato insieme, come se avessero intuito quale forma estrema e profonda di sadomasochismo sia insita nel guardare la televisione). Ma al Kit Kat andrò domani mattina, adesso è sabato sera, e la domenica il locale organizza un afterhour che comincia alle otto del mattino e che non voglio assolutamente perdermi per dovere di completezza e scientificità.
Un altro motivo per il quale ho scelto Kopenicker Strasse come base operativa (oltre al fatto di venire da sempre qui, nei miei curiosi momenti berlinesi, a causa di una profonda repulsione nei confronti di Kreuzberg, dove vanno i miei amici italiani a sentirsi molto intelligenti) è perché a neanche cinquecento metri, passato il ponte sullo Spree, si trova lo YAAM, acronimo di Young and African Arts Market, anche se io sospetto fortemente che l'acronimo esatto sia Young and African Arts AND Market, perché oltre all'arte, oltre alla musica, oltre alla spiaggetta rilassata sullo Spree, oltre alle camionate di sabbia che a cadenza periodica vengono scaricate nella piazzuola per dare modo all'ambaradan di sembrare in tutto e per tutto una spiaggia (ci sono anche gli ombrelloni e la gente stesa al sole sugli asciugamani), quivi si svolge, neanche in maniera tanto segreta, un vero e proprio mercatino delle droghe che a poco da invidiare a quello, più noto, di Christiania in Copenaghen: non ci sono i tavolini con la merce esposta, ma diciamoci la verità, chi ha bisogno dei tavolini?
Basta chiedere in giro e il servizio è completo e professionale, gli spinelli, a richiesta, ti vengono forniti a prezzi modici, già rollati e chiusi, senza la minima presenza di tabacco, qui allo YAAM fumano all'americana. Per le droghe più pesanti invece c'è un vero e proprio listino, stampato al laser su carta successivamente plastificata (immagino per non farsi bagnare il listino in caso di pioggia) in cui appaiono due versioni di cocaina (a 50 euro o a 100 euro al grammo), e altre cose dal nome esotico. Il rappresentante di commercio della droga mi consiglia la Cristal.
Chiedo cosa sarebbe questa Cristal, e lui sorridendo in maniera anche abbastanza inquietante, mi dice “Synthetic Cocain”, e io suppongo che si tratti di quei cristalli di metanfetamina con i quali ho goduto come un pazzo guardandomi Breaking Bad.
Gli dico che ci devo pensare, ma il rappresentante di commercio di droga, proprio come - immagino - gli avranno spiegato al corso professionale di vendita di droga, non mi volta le spalle guardandomi come un tizio che gli ha fatto perdere tempo, bensì mi mette in mano un biglietto da visita con il suo numero di cellulare e gli orari (from 8 p.m till 4 a.m). Sto quasi per chiedere se fanno finanziamenti personalizzati e all'improvviso mi rendo conto che probabilmente sì, li fanno, e non voglio neanche immaginare cosa può succedere a chi è in ritardo con le rate.
Prendo un taxi e mi faccio portare all'Artemis, quattromila metri quadrati di bordello, il più grande d'Europa. A Berlino dovrebbero esserci più o meno settecento bordelli, e quindi l'offerta non manca, ma l'Artemis gode di una qual certa affidabilità e tradizione e solidità, ed è un po' come andare a farsi fare un impermeabile su misura da Burberry a Londra, più o meno.
E' ispirato alla FKK, la FreiKorpeKultur, movimento nudista nato in Germania negli anni Venti, ed è inutile che cerchiate di capire cosa possano avere in comune il movimento naturista e alquanto vegano con un bordello, perché la risposta è una e una sola: dopo avere pagato gli ottanta euro di ingresso, la gentile receptionist ti chiede se preferisci l'accappatoio o l'asciugamano, ti mette in mano una chiave di un armadietto dell'immenso spogliatoio, e ti spiega che all'interno dell'Artemis sono vietati i vestiti. Ti spiega anche che nello spogliatoio, vicino alle docce, c'è una scaffalatura con le ciabattine di varie misure tutte disinfettate.
In un divanetto all'entrata c'è un tizio vestito in pantaloni marroni a zampa d'elefante e piega scolpita, stivaletti di pelle bianchi, e una camicia gialla di una qualche seta impalpabile aperta fino a quasi l'ombelico e capello fluente e canuto che sembra proprio un proprietario del più grande bordello d'Europa, o quantomeno uno dei suoi scagnozzi più fidati. E' seduto su un divanetto insieme a quella che sembra una scappata di casa: capelli sporchi, vestiti all'ultima moda kazaka, mascara sbavato da un recente pianto, dalla cui borsa di pelle graffiata fa capolino quello che a tutti gli effetti è un biberon.
Il tizio è comprensivo e annuisce e le sta dicendo che no, non è adatta all'Artemis, le spiega che loro esigono soltanto puttane che “vogliono” fare le puttane, non ragazze che sono “costrette” a “dovere” fare le puttane per svariati percorsi incidentali di una vita di ristrettezze e sfortune e tragedie. Non so perché mi viene in mente un impiegato di banca che spiega al cliente che loro sono autorizzati a concedere prestiti a persone già ricche.
Poi mi chiedo perché il tizio stia facendo questo colloquio di lavoro su un divanetto all'ingresso e non nel suo ufficio, e l'unica risposta che riesco a darmi è che si “spaventi” di fare entrare quella ragazza nel suo ufficio, oppure, cosa ancora più probabile, per evitare che quella presenza emanante sfortuna e cataclisma possa in qualche modo contaminare l'atmosfera di lusso e sfarzo e ricchezza che egli è convinto debba emanare dall'Artemis.
Lo spogliatoio emana atmosfera di spogliatoio.
La solita fauna maschile che si spoglia o si riveste facendo battute su questo o quel servizio, su supposte ninfomanie, o anche legittime lamentele su scarsa partecipazione di alcuni elementi.
Dopo la doccia guardo con perplessità la scaffalatura con le ciabatte di varia misura. Dopo un attento dibattito interiore mi inoltro a piedi scalzi nel più grande bordello d'Europa, e dalla mia anima sgorga un più che comprensibile, e stupefatto, e meravigliato, e persuaso: “Minchia!”.
La sala principale, con il bar ovale al centro, e miriadi di sedute, sedutini, divani e persino un paio di letti tondi con baldacchino, dentro cui chiudersi con una delle decine e decine di ragazze come quelle che mi stanno passando davanti, i cui vari look e stili sono rappresentati dall'acconciatura e dalle scarpe. Alcune, probabilmente le più freddolose, sono vestite di una catenina ombelicale, che obiettivamente deve essere parecchio di moda da queste parti.
Il design è quello di una discoteca anni Ottanta. Ci sono colonne e colonnine, e vellutini, e zebratine e leopardati, e marmi e ottoni, e divanetti bianchi un po' “porta a porta”.
Gli avventori, in asciugamanina in vita, o, i timidoni, in accappatoio, sono, come è facile immaginare, di qualunque estrazione e foggia: dall'uovo peloso in rolex al ragazzotto depilato in tatuaggi.
Dappertutto rotoli e rotoli e rotoli di carta assorbente da cucina. Il dubbio che mi sorge viene subito sopito dalla risposta: all'Artemis il pompino è libero. Mi rendo conto che sono in tanti a essere spompinati sui divani. Hanno l'aria assolutamente indifferente, e ci sono due signori di mezza età avanzata, che, in inglese, stanno discutendo seriamente, suppongo, di un qualche affare in corso, tipo trasferimenti su trasporto gommato di un carico di rondelle da staffaggio, o una cosa del genere, mentre le due tizie, in sincrono alternato, stantuffano su è giù attorno ai pistoni come in un motore a V.
Mi siedo al bar, dove, leggo, posso ordinare liberamente tutte le bevande analcoliche, mentre per gli alcolici devo pagare dai dieci euro per un wisky ai 3200 euro di una qualche mostruosità di champagne per gli avvenimenti di particolare importanza. Mi guardo intorno spaesato e subito una ragazza che sembra la versione porno di Britney Spears si siede, mi chiede se è la prima volta, e si offre di spiegarmi come funziona il club.
Mi ritrovo a pensare che in effetti è un po' di tempo che non sento notizie di Britney Spears.
Come avevo già intuito il pompino è ammesso ovunque, costa sessanta euro, cento con il CIM (cum in mouth), mentre per il rapporto sessuale si va in una delle stanze al piano superiore. Sessanta euro per mezzora, cento per un'ora. Poi ci sono i bonus, ma c'è il cartellino con i bonus nelle stanze.
Cartellino con i bonus?
Ci sono anche due cinema porno. Nei cinema porno il rapporto sessuale completo dovrebbe essere proibito, ma, mi spiega la ragazza, viene tollerato.
Io annuisco compunto, come a dire che mi sembra molto ragionevole questo tipo di tolleranza.
Quindi mi chiede se voglio un pompino lì al bar, o se preferisco andare in una stanza.
Le rispondo che ho sentito parlare della sauna e della Jacuzzi e che ho avuto una giornata stressante di lavoro e impegni, e che prima desideravo rilassarmi.
Lei resta delusa, ma cerca di essere comprensiva, e gentile, e mi chiedo che lavoro faccio. Io annuisco cercando di allontanarmi dalla ragazza dicendo: “Rondelle, qualcosa che ha a che fare con le rondelle, sai, preproduzione di rondelle, autocad, designer di rondelle”.
Scendo la scala rotonda molto hollywoodiana per andare al piano di sotto, dove viene indicata la sauna e la piscina.
Due ussare in trampoli mi seguono. Devono avere intuito che sono appena arrivato. Credo che gli “appena arrivati” siano molto gettonati per la solita e risaputa questione economica del massimo risultato con il minimo sforzo. Una delle due ussare si avvicina mentre io cerco di accelerare, ma ma lei è più abituata a quella scala, e con mossa repentina mi agguanta il pisello sgusciando sotto l'asciugamano.
Io spalanco gli occhi, sorrido cercando di essere cortese, e dico: “Rondelle, stress, sauna”. Lei mi molla il pisello come se l'avessi insultata, mi lancia uno sguardo d'odio e di promessa di vendetta, e poi, come se nulla fosse, inizia a ridere in un qualche dialetto russo con la sua collega, ignorandomi del tutto.
Mi rendo conto che, per quanto il proprietario, suppongo, obblighi le professioniste a usare un comportamento delicato e rispettoso, al fine di evitare assalti scomposti al limite del cannibalismo al cliente, nell'aria si sente un ronzio di concorrenza sessuale di una ferocia ancestrale, e non sono gli uomini a cacciare.
Entro nell'aria sauna e vedo la jacuzzi più grande che abbia mai visto. All'inizio sembra soltanto una piscina, dove sono in ammollo come in un calderone, una decina di uomini in attesa di essere cotti al punto giusto. Ma dopo qualche minuto la piscina inizia a ribollire. Mi preoccupo per un attimo che il calderone stia “bollendo” davvero, ma è solo un attimo, prima di tornare in me e capire che si tratta di un normale idromassaggio per quanto tsunamico.
Noto che in quest'area “lounge” non ci sono ragazze. Probabilmente hanno il divieto di entrare a cercare clienti in questo luogo dedicato al relax, e immagino anche sia il luogo dove si rintanano, anche un po' spaventati, quelli che per un po' non hanno intenzione di consumare prestazioni sessuali. (Immagino un John Carpenter, o persino un George Romero, girare un film su questi sopravvissuti rintanati nell'area lounge, che devono cercare di raggiungere l'uscita evitando l'ultimo e letale assalto delle prostitute).
Ci sono le saune (sessanta e novanta gradi) e un hammam, e un lettino per massaggi dove un massaggiatore maschio si dà da fare in maniera violentissima su un avventore. Alle sue spalle, incorniciato, un diploma in qualche forma di massaggio molto violento (probabilmente, nel film di Carpenter, o di Romero, il massaggiatore violento sarà il deus ex machina dei sopravvissuti, combatterà a colpi di shiatsu contro le prostitute e perirà immolandosi per la salvezza degli altri).
Esco dalla zona lounge e subisco un attacco da una coppia di prostitute di colore, faccio una finta, riesco a smarcarmi, e mi infilo sulla linea del fuorigioco nel cinema porno.
E qui, mi fanno la hola. Almeno lo credo per un momento. Poiché questo sommovimento ondulatorio, simile a un qualche mare del nord agitato da onde lunghe, è composto dalle testoline di decine di lavoranti che si danno da fare al suono della risacca del risucchio. Mi prende anche quasi una sorta di capogiro, di mal di mare, e mi aspetto, da un momento all'altro di vedere schizzare in alto uno sbuffo di balena.
Scappo al nuovamente al piano di sopra. La mia missione è infilarmi in una stanza per dare un'occhiata a questo “listino dei bonus” che mi è rimasto impresso nella mente.
Mi siedo in un divanetto. Scorgo accanto a me un rotolone scottex che ha l'aria di essere stato usato di recente, e rischizzo in piedi appoggiandomi con aria rilassata al bancone del bar.
Si avvicina ancheggiando un vikingona in trecce che sembra saltata fuori da un qualche fumettone porno. Le manca soltanto l'elmo con le corna. Si siede in uno sgabello, accavalla le gambe chilometriche, e mi chiede se le offro qualcosa. Dietro di lei c'è una sorta di codazzo di avventori che sgomitano e ridono e cercano di abbordarla. Lei li liquida con un gesto della mano. Dev'essere, tipo, la star dell'Artemis.
E' quella che cercavo, mi dico.
Scelgo dal menù la bottiglietta minima di champagne, centottanta euro, sperando che l'investimento dia qualche risultato.
- Non lavori? - le chiedo.
Lei guarda il suo orologino: - Fra dieci minuti riprendo. Abbiamo l'obbligo di fare trascorrere mezz'ora tra un cliente e l'altro.
Io annuisco comprensivissimo.
- Abbiamo una stanza di decompressione, là dietro, dove dobbiamo fare lavanda vaginale e abluzione orali antibatteriche (dice proprio così “oral ablutions antibacterical”), poi possiamo restare su un lettino a riposarci, o venire al bar in attesa che passino trenta minuti.
Mi guardo in giro e mi coglie il sospetto che sia stata mandata dalla proprietà a causa del mio comportamento evidentemente disagiato. Probabilmente mi credono un qualche maniaco dell'igiene e hanno mandato la vikingona a rassicurarmi.
- Mi dicevano dei bonus.
Lei annuisce professionalmente: - Con i sessanta euro della tariffa base hai diritto a trenta minuti in stanza, rapporto orale alla francese...
- In che senso alla francese? (Nella mia immagine il rapporto orale alla francese potrebbe anche significare tre baci alternati destra sinistra sulla guancia del pisello).
E lei mi dice: - Convertible.
Convertible? - Come convertible?
- Senza capote.
- Ahhhhh... - ma tu guarda come sono metaforiche queste troione vikinghe.
- E poi rapporto standard coperto. Nei bonus c'è Cim, Cib, Anal...
- Ma mi hanno detto che c'è il listino nelle stanze.
Lei annuisce: - Sì, il listino coi disegni, ma è per chi non parla inglese, tu parli inglese e posso spiegarti io.
- No, io voglio vedere il listino - dico.
- Sessanta euro, ti porto in stanza, e puoi guardare e toccare quello che vuoi.
- Andiamo - dico.
Lei guarda l'orologino: - Fra sette minuti mi dice.
- Non bevi lo champagne?
Lei guarda la bottiglietta con disgusto e disprezzo: - Sei pazzo? Fa schifo. E' dolcissimo.
- Ah ecco.
La stanza in cui mi porta è decorata in uno stile che definirei egiziano alieno, suppongo che il decoratore sia devoto a una qualche forma di credenza degli antichi visitatori extraterrestri.
Lei chiude la porta alle mie spalle e mi mostra il listino, appeso alla porta.
Sgrano gli occhi: il listino è una meraviglia. Ci sono i disegnini tipo segnali stradali. Ad esempio: il cazzetto che eiacula sulle tette è vietato con una croce rossa, ma accanto c'è lo stesso cazzetto che viene sulle tette, senza croce e il prezzo: + 40 euro.
Il CIM (cum in mouth) viene offerto all'onesto prezzo di “più sessanta euro”.
Un po' più caro l' “anal”: più cento euro.
- Rimming, spanking, gagging “and other” sono oggetto di libera contrattazione - mi avverte la vikinga.
Io sono ipnotizzato da quella specie di codice della strada.
- Guarda che consumi, o non consumi sono sempre sessanta euro, visto che oramai siamo entrati in stanza.
Tornati al piano di sotto, e sbrigate le pratiche commerciali in cash (c'è anche un funzionalissimo bancomat all'interno del bordello) lei mi saluta con due baci sulla guancia e mi avverte che va in decompressione. E' obbligatoria anche se non si è fatto niente. Suppongo che, oltre a una forma di rispetto per la lavoratrice e il cliente, sia anche una maniera per garantire a tutte (anche alle più bruttine) la maniera di lavorare.
La seguo con lo sguardo. Infila una porticina con lo sguardo spento. Non è l'unica. C'è una processione verso quella porticina. Entrano stanche e un po' piegate sulle spalle. Dalla porticina accanto escono solari, truccate, allegre e sculettanti. Sembra una catena di montaggio e aggiustaggio di bambole robot in un qualche film di Steven Spielberg.
Torno in albergo per un riposino e punto la sveglia alle 7,30. Non posso perdermi il “Nachspiel” del Kit Kat Club, che in parole povera vuol dire “after” o qualcosa del genere.
Sono molto indeciso sul dress code: ho i jeans qualche maglietta e un giubbotto con i quali non mi farebbero entrare neanche in un bar della stazione ferroviaria, e un abito blu standard. Indosso l'abito con la speranza di impersonare un qualche “tv code”, confido che i conduttori di programmi tedeschi si vestano più o meno come da noi.
L'angolo tra Kopenickerstrasse e Bruckenstrasse è modellato a immagine di Walking Dead, ci sono svariati tizi e tizie che vomitano negli angoli, spacciatori, prostitute da strada, ma anche hipster appena svegli dall'aria molto salutare che probabilmente sono passati per un salutino.
Infilo l'ingresso augurandomi di non essere rimbalzato.
Non mi rimbalzano. Scosto una tenda per entrare nel locale e c'è uno spogliatoio.
Cazzo, ma sono fissati con gli spogliatoi a Berlino.
Mi guardo in giro e vedo che c'è gente vestita in maniera normalissima che si spoglia, ripone accuratamente nell'armadietto l'abito, e tira fuori da borsoni sportivi tutto l'armamentario in pelle e borchie e catene e parrucche e pride e tanga e olio da spalmarsi e zepponi e frustini e guinzagli e maschere e slave e master e tutta la declinazione lgtb.
Io non ho nulla da mettermi. Rifletto se non sia il caso di togliermi quantomeno l'abito blu e di andarmene in giro in mutande per non sentirmi fuori luogo, ma indosso mutande non glamour. Quindi entro nel locale vero e proprio. La serata, o meglio la mattinata, deve ancora entrare nel vivo: mi sono presentato alle 8 a.m. in punto e credo sia una cosa da non fare. In ogni caso è appena iniziato un concertino trash metal e i tizi ci danno già pesante.
Ci sono alcuni nudisti, la solita donna che porta in giro al guinzaglio il compagno in tuta nera (li avevo già visti a Cap D'Agde, ma non posso essere sicuro che siano gli stessi), un tizio dall'aria triste, nudo, che porta al guinzaglio il suo stesso pene (probabilmente la sua master lo ha appena lasciato, nel bdsm mica sono sempre tutte rose e fiori), molte lesbo vestite soltanto di camicie di flanella a quadri (redneck nude dress code, suppongo), drag queen sparse qui e là, c'è anche una piscina, alcuni, non so perché, vestiti da boy scout (credo sia il dress code uniform in versione estiva o in quella colonizzatrice), e qui e là alcuni in svariate forme di amplesso. C'è anche una piscina coperta nella quale però al momento non è immerso nessuno.
Prendo un caffè al bar e vado a berlo in un divanetto a bordo piscina. Due lesbo si siedono vicino a me e ridacchiano. Sorrido sorseggiando il caffè.
- Italian? - mi chiedono.
Io annuisco.
- Do you wear an italian tv dress code? Right? Fabio Fazio, right?
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